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Friday, February 24, 2017

La "sveglia" di Trump alla Nato e all'Europa

Versione ridotta pubblicata su L'Intraprendente

Rassicurazioni sull'impegno Usa nella Nato e i rapporti con la Russia, ma il vice presidente Pence e il segretario alla difesa Mattis "suonano la sveglia" agli alleati. "Americans cannot care more for your children's security than you do"

La realtà ha già cominciato a smentire le previsioni apocalittiche sulla presidenza Trump e gli "esperti" non sanno ancora decidersi se criticarlo quando "attenta" all'ordine e alle istituzioni internazionali del dopoguerra, o quando adotta una linea più convenzionale, apparentemente tornando sui suoi passi e contraddicendo se stesso. Non hanno capito nulla di Trump prima, durante e dopo... E ora si arrampicano sugli specchi per spiegarci come mai le prime, ragionevoli mosse della nuova amministrazione Usa non sembrano coerenti con i loro scenari catastrofici.

I suoi critici "a prescindere" non accetteranno mai di vederla, ma c'è una logica nella politica estera dell'amministrazione Trump, che ha appena cominciato a prendere forma. Innanzitutto, l'idea secondo cui allo slogan trumpiano "America First" debba corrispondere un'America chiusa in se stessa che abbandona gli alleati al loro destino si sta sempre più scontrando con la realtà dei primi passi dell'amministrazione, come dimostrano le calorose accoglienze riservate da Trump ai premier di Regno Unito e Giappone a Washington e i recenti tour in Europa del vicepresidente Mike Pence (alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e a Bruxelles), del segretario alla difesa Jim Mattis (al vertice Nato e alla conferenza di Monaco) e del segretario di Stato Rex Tillerson (al G20 di Bonn). E' chiaro: se si sono prese alla lettera, ma non sul serio, le parole di Trump in campagna elettorale, rivolte all'elettore medio americano, allora le parole dei suoi uomini oggi, prese altrettanto alla lettera, possono apparire distanti, persino divergenti. Ma se, con uno sforzo di onestà intellettuale, si prendono sul serio le une e le altre, si vedrà che i concetti espressi coincidono, che pur nelle diverse sensibilità prevale la sintonia, non un presidente "sotto tutela" come qualcuno insinua.

I suoi critici sono disorientati, ma un filo logico nella politica estera di Trump sta emergendo, ha scritto sul WSJ lo studioso dell'American Enterprise Institute Michael Auslin. Sulle questioni di politica estera che hanno un impatto diretto sul fronte interno, come gli accordi commerciali e la globalizzazione, persegue un cambiamento radicale; sulle questioni di pura politica estera, come i rapporti con gli alleati, la Russia o la Cina, sta adottando un approccio più tradizionale. "Almeno finora, Trump è stato molto coerente. I critici da sinistra e da destra dovrebbero accettare che i prossimi quattro anni di politica estera americana saranno definiti da un mix di tradizionalismo e di radicalismo". In una parola: pragmatismo, gli interessi dell'America al primo posto.

Il candidato Trump ha suscitato scandalo quando ha posto, in modo a volte provocatorio, il tema del giusto contributo degli alleati ai costi della difesa comune, e quando ha parlato di un'alleanza "obsoleta", perché non a sufficienza rivolta a contrastare la minaccia del terrorismo islamico, e di migliori rapporti con la Russia. Su questi tre fronti non potevano certo esprimersi come il candidato Trump, ma sia il vicepresidente Mike Pence sia il segretario alla difesa Mattis hanno "suonato la sveglia" agli alleati della Nato e all'Europa, recando il messaggio del presidente nel modo più chiaro, esplicito e ultimativo possibile (anche se, chiusi nella loro bolla e nei loro pregiudizi, gli europei fanno sapere di restare disorientati sulle reali intenzioni della Casa Bianca). Washington non intende abbandonare a se stessa la Nato - ma pretende giustamente che gli alleati contribuiscano alla sicurezza comune almeno quanto pattuito - né fare regali alla Russia, con la quale cercherà un "terreno comune" di cooperazione, ma al tempo stesso richiamandola alle sue responsabilità.

Naturalmente i media europei hanno evidenziato le rassicurazioni di Pence e Mattis sull'impegno americano, lasciando persino intendere che stessero correggendo il loro presidente o in qualche modo ridimensionando le sue dichiarazioni (nonostante entrambi abbiano esplicitamente, più volte, premesso di parlare a suo nome), mentre molto meno rilievo è stato dato alle parti dei loro discorsi in cui recavano le richieste della nuova amministrazione Usa.

Il segretario alla difesa Mattis ha assicurato che la Nato resta un "pilastro fondamentale" per gli Stati Uniti, l'impegno per l'articolo 5 dell'Alleanza atlantica resta "solido come una roccia", ma ha anche detto chiaro e tondo che se gli alleati non aumenteranno la loro spesa militare, gli Stati Uniti non potranno che "moderare" il loro impegno nella Nato. Un vero e proprio "warning". E la notizia semmai è che, almeno a parole, la Nato abbia acconsentito alla richiesta di Trump, che in fondo è la stessa dei suoi predecessori alla Casa Bianca. "Americans cannot care more for your children's security than you do". Mattis è stato franco e diretto, il suo ragionamento non fa una piega: "Devo a tutti voi chiarezza sulla realtà politica negli Stati Uniti e porre la giusta richiesta da parte della gente del mio Paese in termini concreti... L'America terrà fede alle sue responsabilità, ma se le vostre nazioni non vogliono vedere l'America moderare il suo impegno per l'alleanza, ciascuna delle vostre capitali dovrà mostrare il suo sostegno per la nostra difesa comune". "Il contribuente americano non può più sopportare una quota sproporzionata della difesa dei valori occidentali. Gli americani non possono preoccuparsi per la sicurezza dei vostri figli più di quanto facciate voi stessi. Il disprezzo per la preparazione militare dimostra una mancanza di rispetto per noi stessi, per l'Alleanza e per le libertà che abbiamo ereditato, che sono ora chiaramente minacciate". Quindi, una sorta di ultimatum: "Dobbiamo garantire che alla fine dell'anno non saremo nella stessa situazione di oggi". Gli Stati Uniti si aspettano che gli alleati adottino quest'anno dei "piani", con "date e scadenze precise", che assicurino "progressi costanti" verso il raggiungimento della quota del 2% del Pil di spesa militare, come pattuito. La ricca Germania, per esempio, spende solo l'1,19%...

Riguardo la necessità di rinnovare la "mission" dell'Alleanza, sempre Mattis ha spiegato che per rimanere credibile la Nato deve adattarsi ai nuovi scenari geopolitici. I Paesi membri "non possono più negare la realtà" del terrorismo islamico e degli altri rischi geopolitici e devono essere "unificati da queste crescenti minacce alle nostre democrazie". E' esattamente la questione posta da Trump quando ha parlato di Nato "obsoleta": modernizzare una proiezione dell'alleanza fossilizzata sull'inevitabilità della minaccia proveniente da est, dalla Russia, come ai tempi della Guerra Fredda. La correzione chiesta dal presidente Trump è ragionevole e non diversa da quella di cui già da tempo si discute e verso la quale spingono soprattutto i membri del fronte sud dell'Alleanza: riorientare la Nato verso le minacce provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Come sugli oneri della difesa, anche su questo l'iniziativa della nuova amministrazione Usa sembra aver accelerato processi già in corso: i 28 hanno dato il via libera al cosiddetto "hub per il Sud", all'interno del Joint Force Command di Napoli, e approvato un generale riorientamento strategico verso sud, per meglio affrontare le minacce che arrivano, appunto, dal Medio Oriente e dal Nord Africa (Libia compresa, essendo giunta dal governo al-Sarraj la richiesta formale di un supporto Nato).

Quanto ai rapporti con la Russia, nessuno a Washington ha intenzione di abbandonare gli alleati dell'Europa orientale, né di cedere alle ambizioni putiniane, né di tradire i valori dell'Occidente. La Russia resta tra le principali sfide alla sicurezza transatlantica, ma si tratta di guardare con realismo al ruolo che può giocare Mosca su altri fronti. Se la Nato è "essenziale", ha spiegato infatti il segretario Mattis, nel "bloccare gli sforzi russi tesi all'indebolimento delle democrazie", lo è anche nel "contrastare l'estremismo islamico e rispondere a una Cina più assertiva". Certo, ha avvertito, "bilanciare collaborazione e confronto è certamente una sgradevole equazione strategica". Se da una parte Mattis ha confermato l'apertura del presidente Trump "alle opportunità di restaurare una relazione cooperativa con Mosca, allo stesso tempo - ha aggiunto - restiamo realisti nelle nostre aspettative e raccomandiamo ai nostri diplomatici di negoziare da una posizione di forza". Ciò significa, ha assicurato, che "non siamo disposti ad abbandonare i valori di questa alleanza, né a lasciare che la Russia, attraverso le sue azioni, parli con voce più alta di chiunque in questa stanza".

E se Mosca, tramite il suo ministro alla difesa, si dice "pronta per ristabilire la cooperazione con il Pentagono", il capo del Pentagono dice che no, "in questo momento" gli Stati Uniti non sono pronti per una collaborazione militare con la Russia. Prima di una collaborazione con gli Stati Uniti e la Nato, la Russia deve "dimostrare" di voler rispettare le leggi internazionali, ha spiegato Mattis parlando a Bruxelles. "In questo momento non siamo nella posizione di collaborare a un livello militare con la Russia, ma i nostri leader politici si incontreranno e cercheranno di trovare un terreno comune o una via d'uscita".

Della ricerca di un "terreno comune" con Mosca ha parlato anche il segretario di Stato Rex Tillerson in una breve dichiarazione alla stampa dopo l'incontro con il ministro degli affari esteri russo Lavrov a margine del G20 di Bonn. Ma gli Stati Uniti si aspettano che la Russia "onori gli impegni presi con gli accordi di Minsk e lavori per una de-escalation della violenza in Ucraina". Usa e Russia devono lavorare insieme laddove i loro interessi siano coincidenti, concordano Tillerson e Lavrov. Anche se nell'esprimere lo stesso concetto il segretario Tillerson ha usato parole un po' diverse: "Come ho già detto nella mia audizione di conferma al Senato, gli Stati Uniti considereranno la possibilità di lavorare con la Russia quando sarà possibile trovare aree di cooperazione pratica che potranno portare beneficio agli americani". In ogni caso, la nuova amministrazione Trump, ha chiarito, "non prevede di andare contro gli interessi e i valori dell'America e dei suoi alleati".

Sulla Russia i vertici dell'amministrazione Trump parlano con una voce sola e "terreno comune" è l'espressione ricorrente. Mentre gli Stati Uniti, ha spiegato il vicepresidente Pence, "continueranno a ritenere la Russia responsabile e ad esigere che rispetti gli accordi di Minsk cominciando a diminuire la violenza nell'Ucraina orientale, seguendo le direttive del presidente Trump tenteremo anche in nuovi modi di trovare con la Russia un terreno comune". Fermo restando, ha aggiunto, che "alla luce dello sforzo della Russia di ridisegnare i confini dei Paesi con la forza, noi continueremo a sostenere la Polonia e gli Stati baltici attraverso la presenza avanzata rafforzata della Nato" in quei Paesi.

A conferma di tutto ciò, gli Stati Uniti stanno mobilitando unità corazzate nei Paesi baltici, in Polonia, Romania e Bulgaria, per "sostenere e integrare l'impegno Nato a favore della deterrenza" nei confronti di Mosca. Via libera dall'amministrazione Trump anche al rafforzamento della presenza navale Nato nel Mar Nero, annunciato dal segretario Stoltenberg, "per addestramento avanzato, esercitazioni e consapevolezza situazionale". Una mossa che, ha assicurato, "sarà misurata, di natura difensiva, in nessun modo volta a provocare un conflitto né ad alimentare le tensioni".

Anche del discorso del vicepresidente Mike Pence a Monaco è stato dato maggiore rilievo alle rassicurazioni, ma nei confronti degli alleati il suo monito è stato ancor più duro. "Il presidente mi ha chiesto di essere qui oggi per trasmettere il messaggio che gli Stati Uniti sostengono fortemente la Nato e che noi saremo incrollabili nel nostro impegno verso l'Alleanza atlantica", ha detto Pence. Gli Stati Uniti, ha aggiunto, saranno "più forti di quanto non siano mai stati" sotto la presidenza Trump, che ha intenzione di "ripristinare l'arsenale della democrazia". Così come, a Bruxelles, Pence ha riferito, sempre a nome del presidente Trump, "il forte impegno degli Stati Uniti ad una continua cooperazione e partnership con l'Unione europea". Ma la seconda parte del messaggio è che il popolo americano potrebbe perdere la pazienza (che "non durerà per sempre") con i membri della Nato se questi non condividono i costi della difesa comune. Oggi "non pagano la loro giusta parte" e questa mancanza "corrode le fondamenta della nostra alleanza". "E' venuto il tempo di fare di più... It is time for actions, not words", ha detto prendendo in prestito uno slogan dal discorso di insediamento del suo presidente. Anche da Pence una sorta di ultimatum: il presidente Trump si aspetta "progressi reali entro la fine del 2017" da parte degli alleati che non rispettano l'impegno a investire il 2% del Pil in spesa militare.

E nel caso qualcuno ancora non avesse compreso il messaggio, Pence ha esortato i Paesi Nato che non spendono il 2% del loro Pil nella difesa ad accelerare i loro piani per arrivarci: "E se non avete un piano, datevene uno". Ad essere onesti, la realtà è che l'ingresso di Trump alla Casa Bianca ha già impresso una positiva accelerazione nel dibattito sulla e nella Nato. E nonostante mugugni, piagnistei e moti di sdegno un po' ipocriti, l'Alleanza sta facendo l'unica cosa possibile: allinearsi.

P.S.
La questione è semplice: pare che per qualcuno la difesa ce la debbano assicurare i contribuenti americani (e il debito i contribuenti tedeschi...). Troppo comodo, no? Se si crede nella Nato, si è coerenti e si contribuisce (almeno) quanto pattuito. Se si crede nell'Unione europea, si taglia il debito prima di chiederne la mutualizzazione. Altrimenti, la figura dei soliti furbastri e inaffidabili è assicurata.

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