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Sunday, December 11, 2016

Tutti gli errori di Renzi e il fattore 40%

Gli errori di Renzi da una parte, le incertezze sulla reale motivazione degli elettori del No dall'altra. Hanno prevalso i primi. L'aspetto positivo dell'esito del voto referendario del 4 dicembre è che una pessima riforma costituzionale è stata bocciata. Quello negativo è che per chissà quanti anni nessuna maggioranza si azzarderà a toccare una delle Costituzioni più brutte, illiberali e disfunzionali tra le democrazie occidentali (e se lo farà, la riforma sarà il frutto di un compromesso ancora più al ribasso e andrà incontro al medesimo esito). Sul piano politico, l'aspetto positivo è che se ne va a casa un governo che in modo quasi criminale ha sprecato tre preziosissimi anni in cui, tra flessibilità sui conti concessa dalla Commissione europea e quantitive easing di Draghi, si erano create condizioni irripetibili per rilanciare l'economia del nostro Paese. E li ha sprecati buttando dalla finestra miliardi di euro (conto che ci ritroviamo ogni anno nelle clausole di salvaguardia) in mance elettorali e spesa pubblica improduttiva. L'aspetto negativo è che i governi futuri saranno molto probabilmente peggiori.

I vecchi partiti sembrano ancor di più impegnati in trame e trucchetti che lungi dallo sgonfiare il M5S, rischiano di alimentare la rabbia popolare che lo fa crescere nelle urne. Ricordate uno dei principali argomenti che fu usato nel 2013 a sostegno di un governo di legislatura, nonostante il "pareggio" elettorale, anziché un rapido ritorno al voto? Ve lo ricordo: "Bisogna far ripartire l'economia e fare le riforme per sgonfiare il voto di protesta al M5S"... Ecco, allora proprio su questo blog (febbraio/marzo 2013) fui facile profeta. Nel 2013 il M5S prese il 25%, oggi dai sondaggi gli viene attribuito più del 30%. E nel frattempo sono riusciti a bruciare la "carta Renzi"... Un nuovo governo che dovesse essere ricordato per il salvataggio di Mps tramite bail in e una legge elettorale "anti-cinquestellum" rischia di offrire due formidabili assist a Grillo. Se c'è un filo rosso che lega la vittoria della Brexit, quella di Trump e quella del No al referendum italiano non è certo il populismo, né i vincitori, che in comune hanno solo la spinta anti-establishment, la rivolta contro lo status quo (Trump e i Brexiters da una parte e M5S dall'altra sono politicamente agli antipodi).

Il filo rosso è il rifiuto di un'immigrazione senza freni, della retorica politicamente corretta dell'"accoglienza", che nel caso italiano si coniugano ad una politica economica che produce stagnazione, che deprime le aspettative di vita del ceto medio produttivo, di fatto escluso da anni dall'agenda politica. Un mix esplosivo che ha causato un drastico calo di consensi soprattutto tra gli elettori (ceti medio-bassi e di centrodestra) che più servivano a Renzi per vincere il referendum (non bastando i voti di un Pd diviso). Pensionati, esodati, insegnanti, in ultimo gli statali... Renzi ha finito con il rivolgersi all'interno del solito recinto della sinistra. Non poteva bastare. [UPDATE 18 dicembre] A sentire la sua relazione all'assemblea del Pd di domenica ha capito di aver sbagliato a voler parlare del merito della riforma, quando il voto era politico, ma non ha capito che il problema non è nella narrazione, bensì nell'azione di governo. 1) I ceti produttivi dovrebbero tornare al centro dell'agenda politica, basta con le leggi del politicamente corretto; 2) cambio rotta sull'immigrazione (Merkel docet). Se non lo capisce, caput...

Ma il peccato originale di Renzi è aver avuto troppa fretta, essere voluto arrivare a Palazzo Chigi senza passare per le urne (e per di più alla guida del partito sbagliato...): la sua è (era?) una leadership che per attuare il cambiamento promesso avrebbe richiesto di essere spinta da un forte mandato elettorale (e sostenuta da una coerente maggioranza parlamentare). Invece, si è messo alla guida di un governo "di minoranza" nel Paese, minato da una consistente fronda interna, pretendendo di trasformarlo in qualcos'altro. Molti dimenticano infatti che nel 2013 la legislatura era iniziata con un governo di coalizione per fare alcune riforme e tornare non subito ma presto al voto. Privi di maggioranza al Senato e dopo aver conquistato il controllo della Camera per uno 0 virgola per cento di voti e un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, i Dem - prima Letta poi Renzi - hanno trasformato il secondo e terzo governo non indicato dagli italiani in un "monocolore", grazie a una serie di operazioni trasformistiche, e si sono presi tutto (Quirinale, nomine, leggi manifesto), come se avessero ricevuto un mandato elettorale schiacciante.

Se governi come se avessi preso il 50%+1 dei voti anziché il 29, e non ti sei nemmeno candidato a premier, rompi con l'unico alleato che ti serviva per le riforme (Berlusconi), prima o poi ex amici, avversari ed elettori ti presentano il conto. Tra gli errori la scelta di Mattarella, che ha causato la rottura con Berlusconi (o almeno gli ha offerto un pretesto). Sbruffoneggiare contro chi bene o male ancora controlla un pacchetto di voti decisivo per le riforme, e in vista del referendum confermativo, sapendo che una parte dei tuoi ti avrebbe comunque tradito, non è stata una grande idea. Renzi quindi non sarebbe comunque sfuggito alla "personalizzazione" del voto: dal momento che ha deciso di votarsi da solo la riforma, era ovvio che sarebbe diventata la riforma del Governo e quindi associata alla sua sopravvivenza. L'errore è a monte.

IL FATTORE 40% - La buona notizia per Matteo Renzi è che dal referendum si ritrova con un elettorato potenziale tutto suo niente male: il 41% del 68,5% degli elettori, 13,5 milioni di voti. Non sono pochi (11,2 milioni furono gli elettori del 41% conquistato dal Pd alle Europee del 2014). Gli altri, i suoi avversari, se li dovranno dividere gli elettori che hanno votato No. Non si tratta ovviamente di voti già acquisiti, "in tasca". Ma di un elettorato potenziale. Quello del 4 dicembre è stato un voto molto politico. Non solo sul Governo, ma molto polarizzato proprio sulla persona del premier e sul "renzismo". Quasi un referendum pro/contro Renzi. Chi ha votato Sì deve avere un orientamento almeno un po' positivo verso Renzi, dargli ancora un certo credito. Si chiama, appunto, elettorato potenziale.

Il problema è che si tratta del suo elettorato potenziale. Suo di Renzi, non di Renzi leader del Pd. Quei 13 milioni di elettori voterebbero, forse, Matteo Renzi, ma non tutti Renzi candidato premier del Pd. E la differenza è sostanziale. Tra Renzi e quei voti c'è un macigno da spostare: il Partito democratico. Renzi oggi è in mezzo al guado: alla guida del Pd è troppo "di sinistra" per convincere gli elettori di centrodestra e troppo "di destra" per mobilitare tutta la sinistra. Se non riesce a superare questo guado, da solo alla guida di un nuovo soggetto politico o caricandosi sulle spalle ciò che resta del partito, il Pd rischia di essere la sua tomba politica.

Con il Governo Gentiloni Renzi è riuscito a schivare le trappole di un Renzi-bis (avrebbe perso la faccia e si sarebbe fatto logorare) e di un governissimo (l'inciucio). Un suo uomo a Palazzo Chigi dovrebbe garantirgli un ritorno al voto in tempi ragionevoli, al massimo entro fine maggio/inizio giugno. Ma come dimostra l'esperienza di Berlusconi con Dini nel 1995, anche il braccio destro più fedele può trasformarsi nel peggiore degli ostacoli, anche al di là delle sue intenzioni, se le circostanze si presentano. E una legge elettorale proporzionale, ma anche il Mattarellum, in questo contesto di fatto tripartitico, possono aiutare (forse) Renzi a guidare il partito di maggioranza relativa, ma non un Governo di cambiamento. Una nuova Dc, alleata di un Psi 2.0 (ciò che resta di FI), non corrisponde alla promessa del Matteo Renzi del 2012/2013.

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