Pagine

Thursday, October 13, 2016

Per decine di milioni di americani l'Apocalisse si chiama Clinton

Pubblicato su L'Intraprendente

Altro che superamento delle divisioni. Durante il doppio mandato di Barack Obama la politica americana è a tal punto polarizzata che entrambi i candidati alla Casa Bianca dei principali partiti evocano addirittura l'inferno per descrivere l'avversario. Se Trump aveva paragonato Hillary Clinton al diavolo, dalle colonne del New York Times l'ex first lady lancia un drammatico appello agli elettori: "Sono l'ultima cosa che c'è fra voi e l'Apocalisse". E naturalmente l'accostamento Trump-Apocalisse è talmente piaciuto ai conformisti media italiani che è stato rilanciato su tutte le prime pagine, in edicola e online, senza alcun esercizio critico.

Se decine di milioni di americani sono pronte a preferire un salto nel buio con Trump, piuttosto che una collaudata e preparata ex segretario di Stato, forse qualche domanda è il caso di porsela. Forse è il caso di impegnarsi a spiegare ai lettori italiani che per metà degli americani - poco più o poco meno lo vedremo l'8 novembre - l'Apocalisse è il futuro prospettato loro da una presidenza Clinton dopo ben otto anni di Obama. Per questi elettori, che alle primarie repubblicane hanno fatto fuori tutti i candidati tradizionali del Gop scegliendo Trump, l'Apocalisse è rappresentata dal sistema-Clinton e da altri quattro anni dei Dem alla Casa Bianca. A tal punto che sembrano perdonare a Trump qualsiasi cosa. Per il 74% degli elettori repubblicani infatti il partito dovrebbe continuare a sostenere Trump nonostante le volgarità del video diffuso dal Washington Post, mentre solo per il 13% non dovrebbe.

E' con la vittoria della Clinton che questi milioni di elettori vedono evidentemente spalancarsi le porte dell'Apocalisse. L'Apocalisse che vedono è la deriva socialdemocratica che sta già mutando il dna del Paese. In generale sulle politiche socio-economiche e su temi come il possesso di armi, la deindustrializzazione, l'immigrazione, con Hillary alla Casa Bianca, dopo otto anni di Obama, temono un'ulteriore "europeizzazione" degli Stati Uniti. Deriva da fermare a qualsiasi costo, anche assumendosi il rischio di eleggere un candidato controverso e impreparato, una totale incognita come Trump.

L'impopolarità della Clinton anche a sinistra è tale che per restare in corsa ha dovuto fare appello al "popolo di Obama", in pratica proponendo agli americani un "terzo mandato" del presidente uscente, senza però averne il carisma, e ha dovuto spostarsi ulteriormente a sinistra per cercare di conquistarsi le simpatie dei "sanderisti". Peccato che oltre il 70% degli americani ritiene che il Paese stia andando nella direzione sbagliata, di solito un indicatore sfavorevole per il partito alla Casa Bianca, e il 55% pensa che il Paese sia ancora in recessione. Nonostante il segno più del Pil, Obama è l'unico presidente Usa che non ha mai centrato il 3% di crescita in almeno un anno di mandato. Dalla Clinton quindi ci si può aspettare il tentativo di implementare le stesse politiche che hanno prodotto crescita lenta, redditi stagnanti, fuga delle imprese e un altissimo debito pubblico. Proprio la situazione che ha esasperato il ceto medio e le classi operaie che guardano a Trump. Se il marito Bill nel 1992, e lei stessa alle primarie del 2008, hanno corso da centristi, oggi l'agenda di Hillary è persino più a sinistra di quella di Obama, socialdemocratica "dalla culla alla tomba".

Basti guardare ai piani fiscali agli antipodi dei due candidati. Secondo i dati del Tax Policy Center, riportati dal Wall Street Journal, il piano fiscale di Trump, accusato di favorire solo i più ricchi, offre al quintile centrale dei contribuenti americani un aumento di reddito al netto delle tasse nove volte superiore rispetto a quello che offre la Clinton (+1,8% contro +0,2%). Mentre Trump riduce le tasse a tutte le fasce di reddito, di fatto il piano della Clinton non offre alcuna riduzione di tasse ad alcuna fascia di reddito. Nessuna impresa e nessuna persona fisica pagherà meno tasse. E prevede un ulteriore gettito fiscale dalle tasche degli americani di ben 1,4 trilioni di dollari. Se non è questa una "Apocalisse fiscale", ci siamo vicini...

Uno dei punti forti di Hillary rispetto al suo avversario doveva essere l'esperienza da segretario di Stato. Ma l'eredità di Obama-Clinton in politica estera (dal ritiro dall'Iraq e le incertezze sulla Siria, che hanno lasciato il vuoto riempito dall'Isis e una crisi di rifugiati che destabilizza l'Europa, fino al caos libico, passando per l'accordo sul nucleare iraniano, le tensioni con Israele e l'avanzata della Russia) è talmente disastrosa da far apparire davvero vicina l'Apocalisse: un mondo "mai così pericoloso dalla fine della Guerra Fredda", ha scritto il WSJ. L'accusa rivolta a Trump di "intelligenza col nemico" semplicemente perché vuole normalizzare i rapporti con la Russia di Putin, soprattutto in funzione anti-Isis, non è credibile se viene da chi otto anni fa proponeva di premere il pulsante "reset" nei rapporti con Mosca e sfotteva il repubblicano McCain come residuato della Guerra Fredda. Sulle "connections" tra l'allora segretario di Stato Clinton e il Cremlino ai tempi del "reset" è istruttivo un articolo, apparso sul WSJ, di Peter Schweizer, autore del libro "Clinton Cash".

A far temere ancor di più una "Apocalisse clintoniana" ci sono poi le minacce alla Costituzione e il controllo delle istituzioni. Un tema cruciale emerso finalmente anche nel dibattito tv dell'altra notte è quello della Corte Suprema. Con Hillary alla Casa Bianca sarebbe lei a nominare il giudice mancante dopo la morte di Antonin Scalia e per la prima volta dai tempi di Nixon (1971) la Corte avrebbe una maggioranza progressista che potrebbe restare tale per decenni. La Clinton ha confermato i peggiori timori dei conservatori. Non ha mai menzionato le parole "rispetto della Costituzione", ha ammesso di voler cambiare "direzione" alla Corte, di voler scegliere una figura che vada oltre quella del rispettato giurista, qualcuno che "comprenda come funziona il mondo, che abbia esperienza di vita reale". Praticamente un attivista politico. Fondamentalmente ha lasciato intendere di volere una Corte "legislativa". E' in gioco quindi l'identità stessa dell'America dei prossimi 30 anni. Ci sono equilibri politici (nel partito e nel Paese) che si possono cambiare, ma non la maggioranza della Corte Suprema una volta messa nelle mani della Clinton. Per gli elettori repubblicani sarebbe una vera Apocalisse, perché la giurisprudenza della Corte può trasformare in profondità il Paese.

Per il WSJ, che non sostiene certo Trump, la decisione dell'FBI di non incriminare la Clinton per l'emailgate (ben il 56% degli americani non l'ha condivisa) puzza talmente di doppio standard da gettare un'ombra inquietante sulla tenuta dell'indipendenza e dell'imparzialità delle istituzioni e delle agenzie governative.

Un ruolo non indifferente nella percezione dell'"Apocalisse clintoniana" lo gioca poi il pensiero unico del politicamente corretto che domina i mainstream media, sempre più avvertito come una minaccia alla libertà d'espressione e anche alla funzione critica della stampa. Tempo fa dalle colonne del Washington Post, lo scrittore Jim Ruth avvertiva che c'è una "nuova maggioranza silenziosa", una fetta importante della classe media americana, a cui Trump non piace ma che è pronta a votarlo lo stesso, perché "ha una sola qualità redimente: non è Hillary Clinton. Non vuole trasformare gli Stati Uniti in una democrazia sociale sul modello europeo, basata sul politically correct". È un bullo, un demagogo, ma anche l'unico in grado di "preservare l'American way of life come la conosciamo. Per noi, il pensiero di altri quattro o otto anni di agenda progressista che inquini il sogno americano è anche più pericoloso per la sopravvivenza del Paese di quanto lo sia Trump".

"L'epoca della discordia", così il WSJ ha definito gli anni di Obama. E attenzione: una radicalizzazione che non è destinata ad arrestarsi. Con Obama si è radicalizzato il Partito democratico, diventato una socialdemocrazia europea degli anni '60. L'establishment repubblicano è rimasto moderato, ma non la base del partito. E se Trump dovesse perdere, c'è il forte rischio di ritrovarsi fra quattro anni con due candidati ancor più anti-sistema, ancor più "apocalittici", sia a destra che a sinistra.

No comments: