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Thursday, January 22, 2015

Ecco cosa non vi è andato giù di American Sniper

Il modo in cui divide American Sniper è il segno del suo successo. Ancora una volta mission accomplished, Clint. Non sarà un film perfetto, un capolavoro dal punto di vista cinematografico, estetico, ma è un film riuscito. Non lascia indifferenti. Le reazioni prevalenti al film si dividono infatti tra quelle di chi lo liquida come una rozza propaganda militarista, e quelle di chi invece ha vissuto quelle due ore al cinema con estremo coinvolgimento, riconoscendo il dramma umano ma anche i valori in gioco. E, soprattutto, rispettando Chris Kyle e ciò che la sua storia rappresenta.

Un esempio perfetto per capire cosa intendo è il commento di Francesco Costa pubblicato proprio ieri sul Post. Sarebbe troppo rozzo per un raffinato intellettuale come Costa cadere nella trappola di accusare il film di «propaganda militarista». Quindi fa passare i motivi della sua contrarietà per pseudo-critiche cinematografiche: «Prendere la storia di Chris Kyle e raccontarla così è un torto alle storie in generale». Perché? Perché a suo avviso il film manca di complessità e sfumature.

Quella di Kyle è senza dubbio «la storia di un uomo con qualità militari formidabili e un carisma fuori dal comune», ma i tre anni passati in guerra a fare «cose dell'altro mondo» non l'hanno affatto distrutto. L'hanno messo a dura prova, l'hanno segnato, l'hanno messo in crisi e cambiato. Ma no, non distrutto, nemmeno nel senso che l'hanno portato ad essere ucciso.

Su una cosa Costa ha ragione: Kyle «non è un eroe-senza-macchia ma un essere umano». Ed è proprio questo che si vede nel film, anche grazie alla sorprendente interpretazione di Bradley Cooper. Ha drammaticamente torto, invece, quando sostiene che la sua è una di «quelle storie in cui non si capisce fino in fondo chi sono i buoni e chi sono i cattivi». E' esattamente il contrario: il film è riuscito proprio perché rispetta una storia in cui in fondo, nonostante tutto, si capisce in modo cristallino chi sono i buoni e chi i cattivi. Ed è questo che forse vi dà fastidio. E' pateticamente falso che il film manchi di complessità e sfumature: ci sono i traumi, i dubbi, anche la pura fifa di non poter rivedere la propria famiglia (altro che supereroe...). E c'è la drammaticità delle scelte, i «dilemmi morali». Solo che poi una scelta c'è, è quella giusta e Kyle non la rinnega. Nemmeno una volta tornato a casa con tutti i problemi del reduce. Che alla fine una scelta ci sia, e non venga rimessa in discussione, che si distinguano i buoni dai cattivi, non significa fare un torto alla complessità del reale.

Ovvio che il rientro è stato tremendamente difficile per Kyle e che le situazioni estreme in cui si è trovato l'hanno segnato. Nel film si vede e si capisce. Allora è una questione di quantità di pellicola: troppo ridotta la parte del film dedicata al rientro, ai problemi psicologici? Ma probabilmente Clint Eastwood ha voluto evitare che il racconto del ritorno a casa facesse cadere il film nel solito topos cinematografico, che piace tanto alla sinistra, del reduce che esce di testa, ce l'ha col suo Paese e diventa pacifista... Guardo in faccia la guerra > mamma mia che brutta > mai più guerre, sembra per alcuni l'unico schema accettabile. Volevate vedere sullo schermo ogni particolare delle sofferenze del rientro per potervi auto convincere che qualsiasi guerra non ne vale la pena? Se la vostra riflessione è stata "povero ragazzo, si è rovinato la vita a forza di maneggiare armi", è ovvio che avreste voluto vedere un altro film, un'altra storia.

Ma avevamo bisogno dell'ennesimo film sui drammi del reduce? Era questa l'essenza, la specificità della storia di Chris Kyle? Ovvio che la vita di Kyle è stata "anche" questo, ma in questo identica ai problemi di rientro che si trova ad affrontare qualunque reduce. Forse la sua eccezionalità sta invece in quello che è riuscito a fare laggiù, nelle sue «qualità militari formidabili» e nel «carisma fuori dal comune», nel sacrificio e nella sua idea di "missione" (proteggere), poi proseguita a casa. Forse a dare fastidio è che alla fine manca una condanna morale, anche implicita, della guerra in Iraq al pari di quella del Vietnam, e quindi che il film non sia un nuovo "Nato il 4 luglio".

Rispetto per tutti i reduci, qualsiasi siano le loro storie, le loro convinzioni al rientro. Ma quella di Chris Kyle è, appunto, un'altra storia, «un'altra America». Almeno questa lasciatecela, e voi tenetevi Obama...

2 comments:

Stefano said...

Ho come l'impressione che da parte progressista si confonda spesso l'esser buoni con l'essere perfetti, i valori con l'ideologia, la verità' con il suo possesso ed abuso.
Sono tutte cose che possono capitare, ma e' interessante notare come capitino molto più' spesso ai "progressives". Chiederei perché sarebbe già un passo avanti ma i pochi che lo fanno vengono ostracizzati piuttosto in fretta.

Anonymous said...

Francesco Costa raffinato intellettuale? Se uno si bevesse una boccia di Grand Marnier forse lo potrebbe considerare tale. Mi sa che volevi dire pretenzioso intellettuale.