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Tuesday, August 06, 2013

L'unica via di Berlusconi per una rivincita è la politica

Tasse e presidenzialismo: l'unica "agibilità politica" che il Cav può recuperare

Anche su Notapolitica e L'Opinione

Berlusconi e gli esponenti del suo partito dovrebbero essere i primi a mostrarsi convinti della fondatezza delle loro denunce sullo strapotere delle toghe. Viviamo davvero in una "Repubblica delle Procure". Dopo una lunga sfilza di atti di resa della politica dal 1992 ad oggi - varchi aperti innanzitutto dalla sinistra, bisognosa di concedere ai magistrati spazi e poteri necessari per abbattere per via giudiziaria i nemici che non riusciva a battere politicamente - si sono impossessate del potere di cassare la classe politica selezionata da colui che, in teoria, secondo la nostra Costituzione è ancora sovrano: il popolo. Il nostro, dunque, è di fatto un sistema misto, una democrazia sotto tutela giudiziaria, o mutilata.

Se così stanno le cose, Berlusconi dovrebbe prendere atto che non può vincere la sua battaglia sul piano giudiziario. Non ci si può realisticamente aspettare che il presidente Napolitano restituisca al leader del Pdl l'"agibilità politica" revocatagli dai giudici. A cosa serve parlare di grazia, o evocare altre fantasiose formule, se comunque altre condanne sono dietro l'angolo, e se la legge Severino ha praticamente consegnato i requisiti di eleggibilità nelle mani della magistratura?

Maldestra è stata la salita al Colle, con armi del tutto spuntate, dei capigruppo Brunetta e Schifani. Non è nella disponibilità di Berlusconi nemmeno la decisione di farsi la galera vera e propria, dal momento che i giudici non gli faranno questo "regalo" politico. Potrà scegliere tra i domiciliari e i servizi sociali, e dovrebbe soppesare molto attentamente, e pragmaticamente, quale delle due situazioni gli lascerebbe maggiori spazi e tempi di interazione con la sua famiglia e il suo partito, e di comunicazione con l'opinione pubblica.

Berlusconi e i suoi dovrebbero al più presto convincersi - ma avrebbero dovuto convincersene anni fa - che l'unica vittoria cui possono ambire è sul piano morale e politico. E lottare, dunque, per essa, dato che margini di manovra ancora ci sono. Dovrebbero smetterla di agire come se una linea politica o l'altra potesse influenzare l'esito delle vicende giudiziarie, ottenendo a conti fatti solo il contrario, e cioè che le vicende giudiziarie influenzano - e negativamente - il loro agire politico. Non c'è mossa o atteggiamento politico che possa salvare Berlusconi dalle sentenze: né un sostegno passivo al governo né la sua caduta, né una resa né una rottura, insomma né la linea delle cosiddette colombe né quella dei cosiddetti falchi possono salvarlo giudiziariamente. Ma ci sono scelte e comportamenti politici che possono ancora farlo vincere politicamente.

Una gran parte degli elettori, ovviamente di centrodestra, hanno capito che il Cav è stato ed è oggetto di un accanimento giudiziario, una vera e propria persecuzione, da quando è sceso in campo, ma non si appassionano per le polemiche sulla giustizia, tanto meno per la grazia e l'amnistia. Come hanno sempre fatto, concedono o revocano la loro fiducia a Berlusconi sulla base di considerazioni politiche, dei loro interessi. La rimonta alle elezioni di quest'anno è stata possibile, nonostante un'immagine devastata dal caso Ruby e una deludente stagione di governo, perché Berlusconi ha messo al centro della sua campagna l'economia, e in particolare l'oppressione fiscale, mantenendo il più possibile lontane le sue vicende giudiziarie e le polemiche con la magistratura.

E il consenso di cui secondo gli ultimi sondaggi dispone oggi il Pdl deriva sì dall'assenza di alternative - l'operazione Monti si è rivelata inconsistente, e i grillini incompetenti - ma anche dall'atteggiamento responsabile di Berlusconi, che ha reso possibile la nascita del governo Letta, anzi ne è stato uno dei promotori, anteponendo gli interessi del paese a quelli di parte. Facendo cadere ora il governo Letta, come rappresaglia per la sentenza della Cassazione, Berlusconi e il Pdl farebbero un grande regalo ai loro nemici, finendo per avvalorare le accuse di irresponsabilità e disperdendo quindi il patrimonio di consensi ritrovato. Viceversa, la rottura con il governo Letta dovrebbe eventualmente consumarsi su questioni di governo che interessano gli elettori, quando fosse conclamato il suo immobilismo.

L'unica "agibilità politica" che Berlusconi può recuperare dipende da lui: porsi - e porre alle sue controparti - obiettivi politici. Se l'unica vittoria a cui può aspirare è politica, sono i risultati politici che può e deve pretendere dal governo Letta. Se questo si dimostrasse incapace di produrre risultati - per esempio, ridurre le tasse e varare finalmente un vera riforma costituzionale - allora sì, maturerebbero le condizioni per porre fine anche a questa esperienza. E la "deadline", il momento della verità, non può che essere l'autunno prossimo. La domanda politica che il Pdl deve porsi, e porre, pretendendo una risposta dai suoi alleati di governo e anche dal capo dello Stato, in qualità di padrino dell'attuale esecutivo, è la seguente: il Pd ha intenzioni serie? E' pronto ad assumersi la responsabilità, e sopportarne i costi politici, di riformare le istituzioni insieme a un partito il cui leader è stato appena condannato, oppure sta semplicemente prendendo tempo per riorganizzarsi, mentre la magistratura porta a termine il lavoro sporco di togliere di mezzo il suo unico avversario politico? Ciò che Berlusconi e i suoi possono pretendere da Napolitano non è la grazia, o la riforma della giustizia, ma una garanzia su questo punto: che costringa il Pd a realizzare le riforme costituzionali insieme al Pdl.

Se condannando Berlusconi la magistratura si è dichiarata indisponibile a quell'atto di pacificazione le cui premesse sembravano essere poste dalla nascita del governo di "larghe intese", ora bisogna capire se il Pd è almeno disponibile ad un atto di pacificazione sul piano politico, che può consistere unicamente nel realizzare insieme al suo nemico storico, seppure condannato, le riforme costituzionali a lungo attese. Il percorso, per come è stato incardinato dal ministro Quagliariello e dalle Commissioni Affari costituzionali, rischia di essere troppo lento rispetto agli sviluppi extra-politici. Serve un segnale subito, già alla ripresa delle attività parlamentari a settembre. Se c'è la volontà politica, un accordo per una nuova forma di governo e una conseguente nuova legge elettorale si può chiudere domattina. Se non c'è, non ha più senso un governo di "larghe intese".

Come abbiamo già osservato, con la sentenza della Cassazione le possibilità di una riforma della giustizia, già ridotte ai minimi termini, si sono del tutto azzerate, e il richiamarla nella sua nota di giovedì sera è stato da parte del presidente Napolitano tra il velleitario e l'ipocrita. Mai una riforma della giustizia è stata così lontana dal nostro orizzonte politico come lo è oggi. Come ha giustamente osservato Panebianco sul Corriere della Sera, ormai «la magistratura è l'unico "potere forte" oggi esistente in questo Paese e lo è perché tutti gli altri poteri, a cominciare da quello politico, sono deboli. Non permetterà mai al potere debole, al potere politico, di riformarla». Forse qualche correttivo per introdurre un po' di efficienza sì, ma scordatevi una riforma dell'ordinamento giudiziario, come quella abbozzata nella legge delega Castelli nel 2005.

Berlusconi e il Pdl dovrebbero evitare di porla come condizione, dal momento che sarebbe del tutto velleitario. Ha di nuovo ragione Panebianco: se gli «attacchi frontali» si sono risolti in massacri per gli attaccanti, serve una «strategia indiretta», «il problema va aggredito da un'altra prospettiva», passando cioè per il «rafforzamento della politica». E c'è una sola via diretta per rafforzare la politica: il presidenzialismo. Un capo dello Stato eletto direttamente dal popolo potrebbe modificare "dall'alto" gli equilibri di potere in quelle istituzioni-chiave che si oppongono a qualsiasi riforma della giustizia. L'incandidabilità di Berlusconi dovrebbe, diciamo, facilitare le cose, togliendo al Pd un comodo alibi per dire no ad una riforma che ormai piace anche gli elettori di sinistra.

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