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Wednesday, November 28, 2012

Scomode verità sulla sanità pubblica

L'ultima uscita del prof Monti, sulla sanità pubblica, ha scatenato i riflessi pavloviani della sinistra.
«La sostenibilità futura dei nostri sistemi sanitari, incluso il nostro servizio sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento e di organizzazione dei servizi e delle prestazioni».
Un'affermazione meramente descrittiva di una realtà incontestabile, persino banale. Il premier non ha accennato a "privatizzare" alcunché, probabilmente per nuove forme di finanziamento intendeva fondi integrativi, ticket per fasce di reddito e spending review. E anzi, ha detto che c'è motivo di andare «fieri» dell'attuale sistema, quindi anche della sua natura pubblica ed universalistica.

Ma tanto è bastato a suscitare la levata di scudi, all'unisono, del segretario del Pd Bersani e della segretaria della Cgil Camusso. E' allarmante la negazione, da parte di chi si candida a governare il paese, anche della più elementare e conclamata realtà: la difficoltà finanziaria in cui si troverà, in un futuro non lontano, il sistema sanitario, per l'invecchiamento della popolazione e, quindi, l'allungamento delle cure. Bersani non chiede agli italiani di piacergli, ma di essere creduto perché dirà loro soltanto la verità. Eppure, di fronte alla verità - banalissima - raccontata da Monti preferisce chiudere gli occhi. Rifiutare la realtà e biasimare chiunque la richiami, piuttosto che rinnegare l'utopia in cui si è vissuti per troppi decenni, è tipico, purtroppo, di una vecchia sinistra.

Sulla sanità pubblica c'è bisogno, invece, di un discorso di verità. Se l'obiettivo era di garantire a tutti gli italiani standard dignitosi di assistenza sanitaria, allora bisogna riconoscere che siamo di fronte a un fallimento. Già oggi la sanità pubblica non è universale né gratuita, è spaccata in due sia per territorio – a livelli europei in alcune regioni, nordafricani in altre – che per classi sociali: i ricchi possono permettersi di evitare inefficienze e lungaggini del pubblico. E già oggi, anziani a parte, la gratuità del servizio è rara. Non solo i ricchi, anche i ceti medio-bassi pagano due volte le prestazioni più comuni, come visite specialistiche ed esami diagnostici: il ticket "a consumo", più le tasse versate allo Stato. A chi non è capitato di dover sborsare cifre non lontane, anzi quasi coincidenti, a quelle chieste dai privati, dovendo poi rassegnarsi a lunghe attese e inefficienze? Che significa? Come hanno speso le tasse che in teoria, così ce l'hanno raccontata per decenni, dovevano servire a rendere "gratuito" il servizio?

Facile pontificare sulla sanità pubblica come "principio sacro", diritto inalienabile. Molti di quelli che pontificano, però, questo il guaio, non vivono sulla propria pelle inefficienze e costi diretti della sanità pubblica, o perché possono permettersi di rivolgersi ai privati, o perché iscritti a fondi negoziali, casse e mutue varie (circa 6,4 milioni di italiani, per un totale di 10 milioni di assistiti). Anche loro pagano due volte, ma non se ne accorgono.

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