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Friday, November 16, 2012

E' un'altra America, il dilemma del GOP

Versione integrale su Rightnation.it

Tutte le analisi sulla vittoria di Obama che puntano l'indice sulla debolezza intrinseca della candidatura di Mitt Romney, sugli errori di comunicazione del GOP, sull'eccezionalità irripetibile della figura di Barack Obama, sull'effetto rivitalizzante che ha avuto Sandy per l'incumbent, o sull'influenza dei media, sono senz'altro fondate, colgono aspetti importanti, ma tutto sommato congiunturali delle presidenziali 2012, e rischiano quindi di assecondare uno stato di "denial" nel campo conservatore, persino consolatorio: per tornare alla Casa Bianca nel 2016 basterà presentare un candidato meno "bostoniano", meno freddino, capace di scaldare i cuori e le menti della Right Nation, e il limite dei due mandati farà il resto (difficilmente i Democratici riusciranno a tirar fuori dal cilindro uno "special one" come Obama).

E' comprensibile: più tranquillizzante sedersi in riva al fiume aspettando che l'eccezione Obama passi, come un uragano. Peccato che potrebbe non bastare. Non negare i dati strutturali della vittoria di Obama è invece il primo passo per porvi rimedio. Nella sua rielezione si intravedono mutamenti profondissimi nella composizione e nella mentalità - quindi demografici ma anche ideali e politici - dell'elettorato americano, molto diverso da quello del 2004. Il che è molto più terrificante (dal mio punto di vista di liberista) della semplice idea che Romney fosse il candidato sbagliato e Obama troppo carismatico ed hollywoodiano per essere battuto. Ma è Obama ad aver cambiato connotati all'America, o lui stesso è il prodotto di questo cambiamento? Probabilmente entrambe le cose insieme.
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Non si può non prendere almeno in considerazione l'ipotesi che la coalizione progressista messa insieme nel 20008 e nel 2012 da Obama possa costituire una "maggioranza permanente", cioè in grado di sopravvivergli politicamente e di aprire un ciclo, come suggeriscono Sam Tanenhaus nel suo "The death of conservatism" e Ruy Teixeira in "The emerging democratic majority". Prima di Obama l'unico presidente del II dopoguerra ad essere rieletto nonostante la disoccupazione oltre il 7% fu Reagan nel 1984. Un presidente che guarda caso fu capace di forgiare una coalizione conservatrice che avrebbe segnato culturalmente due decenni, gli anni '80 e '90, e retto per un soffio fino al secondo mandato di George W. Bush, nonostante fossero già in atto i cambiamenti demografici che vediamo esplodere oggi. Più saggio, quindi, non escludere che Obama possa rivelarsi il Reagan dei democratici, che insomma possa aver aperto un nuovo ciclo destinato a non esaurirsi con il suo secondo mandato.

Nel 1992 i Democratici tornarono alla Casa Bianca con Clinton, vagheggiando di "terza via" e governando dal centro un paese in maggioranza conservatore. Come i Democratici di allora anche il GOP oggi è di fronte a un dilemma simile: come reagire all'emersione in superficie di questo popolo di sinistra? Inseguirlo, smussando i propri angoli sulle social issues e attenuando la propria rigidità in tema fiscale, ma rischiando di perdere la Right Nation, o tenere il punto, se non radicalizzarsi, rischiando però di perdere indipendenti e moderati? Nel primo caso si tratta di trovare un candidato vincente per riconquistare la Casa Bianca nel 2016, ma inevitabilmente dal profilo, e su una piattaforma, più centrista, cioè più disponibile a soluzioni di compromesso con le istanze welfariste, che a quanto pare sempre più americani e nuovi immigrati non vedono come fumo negli occhi, e più aperta su immigrazione e diritti civili. Nel secondo di mantenere saldi e non negoziabili i propri principi, nella speranza che il nuovo ciclo politico passi in fretta e il riflusso spinga gli americani di nuovo a destra.

Il dibattito nel GOP è aperto: a cosa è dovuta la sconfitta? S'insinua il dubbio che sia sbagliato il messaggio, ormai non in sintonia con una popolazione in rapido mutamento, e che quindi occorrano cambiamenti fondamentali nella linea politica. Nulla di drammatico, sembra però rispondere la maggior parte del partito, soprattutto i governatori, più sicuri della sintonia con i propri elettori e già proiettati verso il 2016: candidati scadenti, errori di comunicazione e insufficienti sforzi per portare gli elettori alle urne. «E' essenziale rimanere fedeli a ciò che siamo - spiega il governatore della Virginia Bob McDonnell - dobbiamo capire come rendere i nostri principi più interessanti agli elettori emergenti, ma se abdichiamo ad essi diventiamo un'entità molto diversa».

Un problema di identità, o di comunicazione, dunque? Piegarsi alla nuova demografia o insistere nel tentativo di avvicinare i nuovi elettori ai principi conservatori? Nel primo caso i Repubblicani temono di presentarsi come "cripto-Democratici". E resterebbe un problema, diciamo, di marketing, di brand: se anche si convincessero ad offrire un prodotto politico più simile a quello dei Democratici, perché gli elettori dovrebbero preferire la copia all'originale? E se anche preferissero la copia, e un repubblicano tornasse alla Casa Bianca da liberal moderato, l'America non sarebbe comunque più la stessa. «L'America non ha bisogno di due partiti liberal», avverte il governatore della Louisiana Bobby Jindal. Fra quattro anni gli elettori potrebbero preferire una versione più edulcorata delle politiche obamiane, ma anche sviluppare una totale repulsione verso di esse.

Entrambe le strade presentano quindi degli inconvenienti. Proposte politiche specificamente rivolte verso le etnie emergenti potrebbero non bastare, ed è vero che in teoria il libero mercato crea un contesto economico più meritocratico, che offre a tutti, minoranze comprese, l'opportunità di migliorare il proprio status, ma restano pur sempre allettanti politiche che promettono (che mantengano è tutt'altra storia) un'esistenza meno ambiziosa ma comunque dignitosa con il minimo sforzo. Una via di mezzo per il GOP potrebbe consistere nell'ammorbidire la propria posizione sull'immigrazione, col rischio però di alimentare ancor più rapidamente il serbatoio di voti democratico, e aggiornarla sull'omosessualità, mantenendo invece ferma la linea di politica fiscale. Fiducia nell'impresa individuale e Stato leggero sono infatti le fondamenta dell'"eccezionalismo" Usa e del loro potere economico, il resto - forse - è aggiornabile.
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