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Friday, July 06, 2012

Tagli poco ambiziosi, ma ora vanno difesi dai pescecani della spesa

Non si tratta del taglio della spesa pubblica che servirebbe, tale (non ci stancheremo di ripeterlo) da trasformare i risparmi in meno tasse su cittadini e imprese per far ripartire l'economia; e non è certo questo il passo con cui la Germania è riuscita a tagliare le sue spese di 5-6 punti di Pil in pochi anni. Nell'ultimo decennio la nostra spesa pubblica è cresciuta di quasi 200 miliardi; la spesa primaria, come certificato dalla Corte dei Conti, di circa il 5% in media l'anno. Ebbene, se nessuno ha notato clamorosi miglioramenti nei servizi pubblici e nelle prestazioni sociali rispetto a dieci anni fa (anzi!), vuol dire che almeno 100 di quei miliardi in più spesi si potrebbero recuperare senza "macelleria sociale".

Ma sapevamo che l'approccio seguito da questo governo è quello della manutenzione. Bisogna per lo meno riconoscere al premier Mario Monti di essere riuscito a non farsi spolpare il marlin appena pescato già durante la prima notte di navigazione. Al rientro in porto, però, ossia alla conversione in legge del decreto, mancano ancora parecchie notti in cui i pescecani (burocrazie, regioni ed enti locali, sindacati, partiti, demagoghi di ogni razza) ritorneranno all'assalto. E' per questo che non conviene sparare sul pianista, nonostante l’approccio poco ambizioso, il ritardo con cui il governo si è mosso (spinto solo dall'incubo spread), i dietrofront e i punti deboli.

Se non altro - dopo l'incauto rilassamento dei mesi scorsi (quando la crisi sembrava «quasi superata»), che ha contribuito al flop della riforma del lavoro - con il riacutizzarsi della tensione sul debito e la necessità di presentarsi con le carte in regola in Europa, Monti ha recuperato un certo senso di urgenza, riuscendo a superare quasi tutti i veti interni ed evitando di imbarcarsi in estenuanti trattative con sindacati ed enti territoriali, convocati solo per "comunicazioni". Non mancano, tuttavia, le retromarce: salvi i "mini-ospedali" e il fondo degli atenei, saltata la soppressione di alcuni enti, e forse anche la riduzione dei permessi sindacali e dei trasferimenti ai Caf.

Ma va detto innanzitutto che dei risparmi complessivi (4,5 miliardi nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014), una parte cospicua andrà a finanziare nuove spese: nobili, come la ricostruzione nelle aree terremotate (2 miliardi), e meno nobili (altri 55 mila "esodati", che ci costeranno 4,1 miliardi nel periodo 2014-2020). E come mai, nonostante il risparmio di 10 miliardi su base annua l'aumento dell'Iva non è ancora scongiurato, ma solo ritardato di 9 mesi (luglio 2013) e ridotto dal 2014? Probabile che i brutti dati Istat sui conti pubblici nel I trimestre 2012 abbiano indotto alla cautela, ma non sarà il caso di chiedersi se non ci sia qualcosa di sbagliato nella ricetta?

Si chiama spending review, ma solo parte dei tagli è affidata a qualcosa di somigliante ad una riforma strutturale della spesa sul modello britannico. In realtà, si fa ampio ricorso ai tagli lineari, che però qui non demonizziamo affatto.
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