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Thursday, March 15, 2012

Come ci siamo arresi alla trappola indiana

Una ricostruzione, quella finalmente fornita dal ministro Terzi in Parlamento, che scagiona la Farnesina in merito alla "consegna" dei nostri marò alle autorità indiane (si è trattato di un vero e proprio arresto, al quale la nostra diplomazia ha tentato di opporsi); che chiama in causa – quanto meno per ingenuità – la Difesa; ma che soprattutto porta alla luce per la prima volta in tutta la sua gravità il comportamento indiano, rendendo così ancor più evidente l'inadeguatezza della risposta del governo italiano.

Sono due i dettagli emersi rispetto a quanto già sapevamo, ma di grande rilevanza. La vera natura dell'«azione coercitiva» messa in atto dalle autorità indiane nei confronti dei nostri marò: sono stati costretti a scendere dalla Enrica Lexie, nonostante «la ferma opposizione delle nostre autorità presenti», sotto la minaccia delle armi. E l'ingenuità dei comandi della Difesa e della Farnesina, che non hanno avanzato obiezioni rispetto all'intenzione del comandante della nave e dell'armatore di accogliere la finta richiesta di collaborazione da parte indiana.

Non sembra da escludere, inoltre, che l'«azione coercitiva» abbia avuto inizio già in acque internazionali, anche se all'insaputa dell'equipaggio e del nucleo della Marina militare a bordo. L'armatore, infatti, tramite il suo legale riferisce che dopo la finta richiesta di collaborazione inoltrata dalle autorità indiane un elicottero ha cominciato a sorvolare la Enrica Lexie, mentre il radar segnalava la presenza di due motovedette ai suoi lati.

Ora sappiamo che da parte indiana ci fu malafede, un'imboscata, una vera e propria aggressione militare ai nostri marò. A maggior ragione, proprio per la gravità di tale comportamento, e per il manifesto e attuale pericolo di vita che i nostri uomini stavano correndo – «in un ambiente fortemente ostile che si era subito determinato nell'intero Stato del Kerala», riconosce lo stesso ministro Terzi – la reazione del nostro governo appare oggi ancor più inadeguata, molle, di quanto non sia apparsa in queste settimane. Avrebbe dovuto essere molto più dura, fino a prendere in considerazione l'ipotesi di una missione di recupero.

La maggior parte dei parlamentari e degli osservatori punta l'indice sulle norme che regolano l'impiego di militari sui nostri mercantili in funzione di scorta anti-pirateria, in particolare sul fatto che si trovano sottoposti alle decisioni del comandante della nave. Alla luce di quanto emerso, norme e convenzioni possono certamente essere migliorate, e forse basterebbe perfezionare le comunicazioni tra il comandante da una parte e Difesa e Farnesina dall'altra, ma nel valutare la vicenda non si possono tacere due elementi chiave: l'ingenuità con cui le autorità italiane, e in particolare la Difesa, sono cadute nella trappola indiana; e l'inadeguatezza della risposta iniziale messa in campo dal nostro governo, assolutamente non commisurata alla gravità del comportamento indiano, equiparabile ad un atto di aggressione armata.
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