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Monday, July 04, 2011

Una manovra comunista

E' davvero incomprensibile e autolesionistico "tagliare" le pensioni invece che allungare fin da subito l'età di pensionamento, e magari colpire i politici e i boiardi di Stato che di pensioni ne cumulano due o tre. A parità di impopolarità tra le due misure, la prima è iniqua e predatoria, e tampona solo provvisoriamente l'emorragia della spesa; la seconda è equa e liberale, e strutturale per i conti pubblici. La prima dev'essere fatta ingoiare come una medicina amara, e come tale verrà ricordata; la seconda può essere fatta digerire all'opinione pubblica come un nuovo patto inter-generazionale, dove i padri e le madri si impegnano a lavorare qualche anno in più per non lasciare sulle spalle dei propri figli i debiti derivanti dai loro trent'anni di inattività.

Ma più si entra nei dettagli di questa manovra, più affiorano misure che definire "comuniste" non è un'esagerazione, per il pesante pregiudizio anti mercato e anti ricchezza che tradiscono. Non solo torna alla mente il motto rifondarolo "far piangere i ricchi", ma come sempre capita in questi casi si scopre che a piangere non sono affatto i "ricchi", ma il ceto medio produttivo. La minore rivalutazione delle pensioni è una di queste misure, visto che il governo sembra considerare "ricco" già chi percepisce un assegno tra i 1.428 e i 2.380 euro. E' la stessa mentalità che portava il Pd a proporre un «contributo di solidarietà» una tantum ai "ricchi" che dichiarano al fisco 100 mila euro.

Anche se il risparmio annuo per le casse dello Stato è considerevole (2,2 miliardi di euro per il 2012 e altrettanti nel 2013), la mancata o parziale rivalutazione delle pensioni, come risulta dai conti dell'Inps, vale circa 8 euro all'anno per una pensione di 1.500 euro mensili lordi e 3,8 al mese per una di 2.000 euro. Ma a prescindere dal loro impatto sui singoli, che sembra piuttosto modesto, misure come il superbollo sulle auto potenti (che praticamente colpisce solo chi possiede un jet) o, appunto, l'intervento sulle pensioni, funzionano come un "manifesto" politico, cioè chiariscono agli occhi degli elettori la vera natura e identità politico-culturale di chi li governa. E se l'immagine che ne risulta non è poi così diversa da quella dei governi Prodi-Visco, non dovrà sorprendere se gli elettori che nel 2008 hanno votato per il centrodestra alle prossime occasioni se ne resteranno a casa.

Davvero scandaloso, poi, non solo perché si configura come un vero e proprio esproprio, ma per la sua logica anti economica - un autentico disincentivo ad investire il risparmio nelle attività produttive, e persino nei titoli di Stato - è l'aumento del bollo sui "depositi titoli": da 34,20 a 120 euro, quasi il 400%! Che non colpisce i grandi investitori con capitali di milioni di euro, ma i depositi sopra i mille euro, cioè tutti, anche quelli dei nonni che investono i loro umili risparmi per lasciare una paghetta ai nipotini.

Luigi Zingales ha stimato, sul Sole24Ore, che «tra imposta di bollo ed imposta sostitutiva, un risparmiatore con 10.000 euro in titoli che abbiano un rendimento medio nominale del 3% paga 180 euro all'anno di imposte, pari al 60% del proprio reddito nominale e al 180% del proprio rendimento reale (assumendo un tasso di inflazione pari al 2%)...». Un esproprio non solo «contro la logica economica, ma anche contro quella costituzionale che auspica la tutela del risparmio e la progressività delle imposte». Secondo una stima riportata oggi sul Corriere della Sera, prendendo un investitore medio (con un deposito titoli di 22.500 euro) si tratterebbe dello 0,5% in meno del totale del portafoglio. Al lordo di altre eventuali voci come le commissioni bancarie, per un portafoglio composto quasi essenzialmente dai nuovi Btp si tratterebbe di un rendimento annuo inferiore all'inflazione. E «secondo alcune stime, in base ai rendimenti attuali, per coprire l'onere del nuovo bollo sarebbero necessari i proventi di oltre 7.500 euro di Buoni ordinari del Tesoro annuali».

Oltre al vero e proprio esproprio, dunque, è evidente l'anti-economicità della misura: si punisce, infatti, chi investe i propri risparmi nel debito pubblico nazionale e, soprattutto, nel finanziamento delle attività produttive quotate in Borsa. Demenziale, ben sapendo della cronica difficoltà delle nostre imprese nell'accesso al credito e nell'attrarre investimenti. In poche parole, si scoraggiano gli italiani ad investire sulla crescita economica del loro Paese.

Attenzione, quindi, perché così Alfano o non Alfano, primarie o non primarie, il centrodestra è finito, il Pdl caput. Se fra Berlusconi e Prodi gli italiani non percepiscono differenze apprezzabili, e se fra Tremonti e Visco l'unica differenza è che il primo riesce laddove il secondo ha fallito, cioè nel vampirizzare i portafogli dei cittadini, allora non solo diventa difficile per il centrodestra rivincere le elezioni, ma il rischio oltre a quello di un tracollo elettorale, è un disfacimento culturale. E mentre i nuovi vertici del Pdl si preoccupano di come ripescare l'Udc, un popolo intero sta per rimanere privo di una rappresentanza politica.

1 comment:

Anonymous said...

infatti non è una manovra comunista, ma una vera e propria manovra berlusconiana dove il target è proprio il ceto medio ed i servizi pubblici.

niente di nuovo sul fronte occidentale, solamente che si sta grattando il fondo del barile.

giuseppe