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Friday, September 24, 2010

Quale dialogo?

Pare che le sanzioni ultimamente imposte dall'Onu all'Iran, e quelle unilaterali americane ed europee, funzionino meglio del previsto. Pare. Non ho elementi per contraddire questa tesi, ma prendiamola per buona. D'altra parte, il divieto firmato dal presidente russo Medvedev di vendere armamenti a Teheran e soprattutto lo stop alla vendita del sistema di missili S-300 è un risultato innegabile e per nulla scontato. Pare, che gli iraniani stiano addivenendo a più miti consigli ed acconciandosi a riaprire al dialogo. Anche qui: pare. In effetti, le ultime uscite - al netto delle solite sparate - sembrano più aperturiste.

Ma il problema è: quale tipo di dialogo, quello fine a se stesso, nel quale gli iraniani e in genere i mediorientali sono maestri assoluti, o il mezzo per arrivare ad un risultato diplomatico concreto? Troppo spesso si dà per scontato il secondo, per poi scoprire che si trattava del dialogo del primo tipo (e intanto sono trascorsi altri mesi). Il problema della politica della «mano tesa», ora pare sia diventata una «porta aperta» (arriveremo anche al «cappello in mano»?) è di fondo. Senza un termine preciso e invalicabile, una sorta di ultimatum, è una politica che si presta a mille strumentalizzazioni. Una porta non può rimanere aperta indefinitivamente senza che qualche ladro o male intenzionato non si decida prima o poi a varcarla. Allora, forse, meglio chiuderla. E se qualche pecorella smarrita busserà, le sarà aperto.

Non mi stupirei se Teheran aprisse al dialogo. Ma con l'intenzione di dimostrare finalmente gli intenti pacifici del suo programma nucleare, oppure con l'obiettivo tattico di allentare le maglie delle sanzioni e dell'isolamento internazionale, e quello personale di Ahmadinejad di placare i suoi critici all'interno? Si dirà che l'amministrazione Obama è consapevole e ha calcolato questo rischio; si dirà che bisogna andare a vedere comunque le carte di Teheran. E sì, bisogna. Ma se non si mette un punto, questo giochetto potrebbe durare anni, senza cavare dal buco nulla di concreto. Dopo di ché, un bel giorno, la «mano tesa» te la tagliano.

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