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Tuesday, August 10, 2010

Si sta gonfiando anche il caso Tulliani-Rai

L'impressione è che si stia gonfiando anche il caso Tulliani-Rai. Che dopo Dagospia e l'articolo di Bechis di qualche giorno fa su Libero sbarca sul Corriere della Sera, con un'intervista a Roberto D'Agostino, che racconta:
«Giancarlo Tulliani, il fratello di Elisabetta, aveva ottenuto quattro puntate in prima serata su Raidue... Con ascolti bassissimi. Ma lo scandalo non erano nemmeno gli ascolti: piuttosto il fatto che la sua società non fosse registrata tra i fornitori della Rai. Insomma nessuno riusciva a capacitarsi di come uno comparso dal nulla fosse riuscito a infilarsi...».
Poi sulla madre, la signora Francesca Frau.
«Altra storia pazzesca. Allora: ai Tulliani chiudono per incapacità la porta di Raidue, e loro bussano a quella di Raiuno. E chi c'è a Raiuno?... c'è un altissimo dirigente che è molto, ma proprio molto vicino a Fini... E che colpaccio riesce alla signora Frau, che ha il 51 per cento di una società, la Absolute Television, pur non avendo mai messo piede in uno studio televisivo e avendo fatto invece per anni la casalinga? Riesce a piazzare un format nel contenitore di Festa italiana, il programma di Raiuno condotto dalla Balivo... 183 puntate da 50 minuti l'una, ciascuna al costo di 8.120 euro. Per un totale di 1 milione e 485 mila euro. In Rai, che non è esattamente il posto più trasparente di questo Paese, s'è indignata, credimi, un sacco di gente».
Quindi D'Agostino torna sulla rottura tra il dirigente Rai Paglia (in quota An) e Fini, di cui ha scritto anche Bechis:
«Paglia, il direttore delle relazioni esterne della Rai, aveva rotto l'amicizia trentennale con Fini perché non aveva voluto aiutargli il solito Giancarlino. Che, non pago di avere messo le mani sui programmi d'intrattenimento, voleva mettersi a produrre fiction... un tipo, questo Giancarlino... si presentava dicendo d'essere il cognato di Fini... arrogante, presuntuoso... Paglia non ha smentito il succo della storia. E allora io mi chiedo: ma è normale che la terza carica dello Stato faccia pressioni su un alto dirigente Rai per raccomandargli il fratello della moglie?».
Del caso parla anche Mario Landolfi (ex An in Vigilanza Rai), a il Giornale, e spiega che è diverso dalle solite raccomandazioni o lottizzazioni:
«Lo è per due ragioni. La prima è che Tulliani è il fratello di una persona alla quale Fini è legato. La seconda è che non aveva i requisiti necessari... Dubito che Fini sapesse che cosa significhi davvero "contratto con minimo garantito"... Tutti siamo portati a pensare che la Rai sia territorio di conquista. Per fortuna non è così... Ma una volta scoperto che ci sono delle regole... Fini avrebbe dovuto fermarsi. Un conto sono le nomine dei direttori, un altro scavalcare le procedure per far entrare in Rai persone prive di curriculum. Doveva fidarsi di Paglia, persona che Fini conosceva da decenni. Avrebbe dovuto dire al giovanotto Tulliani di tornare dopo aver fatto la gavetta... Conosco Fini da molti anni, anche se non l'ho seguito nelle sue ultime scelte. Credo che tutto sia dovuto a pressioni familiari. Gli avranno rottole le scatole. Gli avranno detto 'non ti fai rispettare'. E lui avrà ceduto. Il malcostume politico sta qui, nell'aver insistito».
Landolfi intravede quindi su Fini un «forte condizionamento» famigliare.
«Spero che questo condizionamento non agisca anche su altro. Mi auguro che non abbia influenzato anche le recenti scelte politiche di Fini».
Riporto tutto questo non perché ritenga sufficienti questi elementi per chiedere le dimissioni di Fini. Riguardo la Rai davvero il più pulito ha la rogna, come si dice a Roma, e non mi stupisce che Fini, come tutti, spinga i "suoi" quando è in condizione di farlo. Altri spingeranno i loro, è un sistema malato e come tale va affrontato politicamente e non "moralisticamente", brandendo i singoli casi a seconda di chi convenga colpire. Va registrato però per smascherare ancora una volta il doppiopesismo di certa stampa e magistratura, che in passato non hanno esitato ad aprire inchieste, poi finite nel nulla, e a invocare dimissioni, mentre Fini - da quando e finché vi intravedono la kerkaporta per espugnare la cittadella berlusconiana - sembra degno di tutt'altra prudenza. Queste vicende dimostrano anche quanto sia strumentale e demagogico da parte di Fini - come di chiunque altro - ergersi oggi a paladino della legalità e della trasparenza, della "questione morale", cavalcando l'onda giustizialista contro Berlusconi, il Pdl e ogni singolo sottosegretario. Non è più insospettabile di altri di cui chiede sbrigativamente le dimissioni e dovrebbe piuttosto riflettere su come sia facile divenire oggetto di veleni e sospetti.

Rimango convinto piuttosto che Fini dovrebbe dimettersi dalla presidenza della Camera per il suo ruolo politico ormai incompatibile con quello di una carica di garanzia, dopo che è arrivato a dar vita a propri gruppi parlamentari con lo scopo conclamato di contrapporsi al presidente del Consiglio, o quanto meno di esercitare una dialettica parlamentare (e non solo) esplicita sulle iniziative del governo. E' fuor di dubbio il suo diritto a fare politica, nel suo partito o fuori di esso. Non mi pare invece che la Costituzione attribuisca ai presidenti delle camere il potere di condizionare l'indirizzo politico (e la tenuta stessa) dei governi e delle legislature. In che veste, in caso di crisi provocata dai gruppi "finiani", il presidente della Repubblica consulterebbe Gianfranco Fini? Un problema istituzionale di non poco conto, ma che i custodi della Costituzione preferiscono non porsi finché possono illudersi che sarà Fini a dare la spallata definitiva a Berlusconi.

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