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Thursday, June 03, 2010

Israele non ha alternative

La Turchia gioca con il fuoco

Il voto contrario dell'Italia, insieme a Stati Uniti e Paesi Bassi, alla risoluzione approvata dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu (alias Consiglio per i diritti umani secondo i dittatori) contro il blitz israeliano è uno squarcio di luce in una politica estera fin qui tutt'altro che entusiasmante e coraggiosa. Un testo squilibrato rispetto a quello uscito dal Consiglio di Sicurezza dopo il blocco Usa ad una versione più dura. Al di là di come siano andati i fatti, e di quanto sia stata ingenua e sproporzionata la reazione israeliana, smettiamola di chiamare "pacifisti" quelli che in realtà non sono che militanti anti-israeliani, filo-Hamas, che non hanno nulla di pacifico e che per la causa di un'organizzazione terroristica sono disposti ad offrirsi come scudi umani e «mine diplomatiche». Come molte delle organizzazioni filantropiche islamiche, infatti, anche quella turca che ha organizzato la flottiglia ha legami con l'estremismo, in particolare con la Fratellanza musulmana, Hamas e persino al Qaeda.

Si fa presto a dire che Israele è «caduto nella trappola». Certo che ci è caduto, ma che altro poteva fare? Come altre volte in passato paga a caro prezzo politico e d'immagine scelte necessarie a difesa della credibilità della propria deterrenza (solo un assaggio di ciò che avverrà quando dovrà affrontare da solo la minaccia iraniana). Non aveva alternative: o permettere che il blocco si trasformasse in un colabrodo, o prendersi le rampogne internazionali. Non so se quella flottiglia di navi turche dietro i presunti aiuti nascondesse o meno armi per Hamas, ma non è questo il punto. Il blocco israeliano della Striscia di Gaza è politico, ma non è un assedio, nel senso che cibo, medicinali e assistenza umanitaria vengono forniti alla popolazione da Egitto e Israele.

Le autorità israeliane avevano offerto agli attivisti di consegnare direttamente il carico di aiuti umanitari ai palestinesi, purché senza violare il blocco e dopo regolari controlli sulla merce. Ma il loro obiettivo reale era esattamente la violazione del blocco, non la consegna degli aiuti. Qualcosa che Israele non poteva assolutamente permettere. Chiunque minimamente in buona fede è in grado di capirlo: la violazione del blocco avrebbe significato un'importante vittoria politica per Hamas, la legittimazione del suo governo terrorista a Gaza, per la quale gli attivisti - parola di alcuni di loro - erano pronti anche al «martirio». L'incidente quindi è stato deliberatamente provocato, gli attivisti erano armati e pronti allo scontro.

C'era un modo indolore, per esempio il sabotaggio, per fermare le navi dei militanti filopalestinesi, come Max Boot ha ipotizzato sul Wall Street Journal? Difficile dirlo, ma qualsiasi azione avrebbe comunque scatenato l'indignazione internazionale. E al di là della retorica ufficiale, sempre dura nei confronti di Israele (le cui reazioni sono sempre «sproporzionate» a quanto pare), il blocco di Gaza continua a essere sostenuto dagli Stati Uniti e dalle altre potenze occidentali. Altro che un'inchiesta internazionale, in un mondo non sottosopra internazionale dovrebbe essere il blocco di Gaza, in modo che Israele non debba sopportare da solo il peso di difendere la propria esistenza.

Piuttosto, l'incidente aggrava le preoccupazioni sulla partita che sta giocando la Turchia. Erdogan sembra avere l'intenzione di usarlo come pretesto per modificare in profondità le relazioni con Israele, che «non saranno più le stesse». Di recente protagonista, insieme al Brasile di Lula, dell'accordo con Ahmadinejad sul nucleare per far uscire dall'isolamento Teheran, la Turchia sembra volersi allontanare sempre più dalla sua tradizionale vocazione euro-atlantica e volgersi verso Russia, Siria e Iran, non per giocare un ruolo di mediazione in Medio Oriente, ma per contribuire a creare un nuovo ordine nella regione, del quale potrebbe condividere la leadership con Damasco e Teheran.

La progressiva de-occidentalizzazione della politica estera turca, così come le tendenze "bolivariane" e anti-Usa in America Latina, che sembrano ora coinvolgere anche il Brasile di Lula, sono effetti imputabili almeno nel loro aggravarsi alla disastrosa politica estera smart della coppia Obama-Clinton nei confronti dell'Iran e del Medio Oriente, ma certamente anche alle incertezze europee sulle prospettive di adesione della Turchia. Certo che le ultime mosse di Ankara giustificano più di un dubbio sulla genuinità delle sue ambizioni europeiste.

3 comments:

Anonymous said...

ottimo.

io ero tzunami

Anonymous said...

l'Israele l'alternativa l'aveva: poteva essere uno stato democratico, multietnico, socialista. invece ha preferito imitare i carnefici nazisti ed ecco qui.

Jean Lafitte

Costanzo said...

Al di là delle modalità dell'assalto alle navi e dei torti e delle ragioni, rimane la sensazione che Israele si arroghi il diritto di difendere la propria sicurezza con strumenti che violano le leggi internazionali. Le persone sono state 'sequestrate' e impedite nelle loro comunicazioni. La limitazione della libertà individuale è una delle violazioni per la quale uno stato è considerato 'non democratico'. Un semplice servizio televisivo 'trasparente' durante le operazioni di blocco delle navi avrebbe evitato le dispute su chi ha lanciato la prima pietra. Ma è evidente che a nessuna delle parti conviene si sappia la verità.