Pagine

Monday, June 15, 2009

Iran, rivolta democratica o scontro tra elite?

Lotta tra caste: dittatura clericale o militare?

Qualcosa di inedito e di imprevisto sta accadendo a Teheran, se insieme a centinaia di migliaia di dimostranti, sfidando i divieti e una sanguinosa repressione, sono scesi in strada anche pezzi importanti della cosiddetta "opposizione leale" alla Repubblica islamica: l'ex premier sotto Khomeini, Mousavi, candidato alle presidenziali approvato dalla Guida Suprema; un altro candidato, membro del clero, come Mehdi Karroubi, una figura ambigua, fedele alla rivoluzione e a Khamenei ma critico nei confronti dei Guardiani e di Ahmadinejad; e persino l'ex presidente Khatami.

Nonostante le migliori aspirazioni e intenzioni di migliaia di cittadini, donne e giovani iraniani, probabilmente in gioco non c'è un futuro di democrazia, e c'è ben più che un'elezione alla presidenza di uno stato teocratico. Forse c'è in gioco il carattere, la natura dominante, della dittatura stessa, se cioè debba essere una dittatura clericale o militare. Uno scontro di potere tra due caste interne al regime, quella dei sacerdoti e quella dei militari, i cui segnali in pochi hanno saputo intravedere. Sono evidenti un colpevole difetto d'analisi da parte dell'Occidente e la sua totale assenza di iniziativa politica in un contesto nel quale forse avrebbe potuto giocare un ruolo.

Lo scenario di fronte al quale potremmo essere è quello di un golpe con il quale Ahmadinejad e le forze militari e di sicurezza a lui fedeli hanno conquistato il potere non contro il "riformista" Mousavi, non derubando il popolo iraniano di un presunto cambiamento democratico, ma contro l'establishment clericale sciita, o quanto meno i suoi settori più pragmatici e moderati, per relegarlo a un ruolo meno operativo, quasi simbolico.

La Repubblica islamica, fino a quattro anni fa governata dal clero sciita e protetta dalle Guardie rivoluzionarie, sotto Ahmadinejad si sta trasformando in un regime militare, non solo protetto ma anche governato dai militari. Forse al compimento di questo processo si stanno opponendo oggi Mousavi e Khatami.

Il blocco degli sms e delle e-mail, di facebook, twitter e di altri siti internet, e delle tv straniere, l'espulsione di alcuni giornalisti, così come le barriere a protezione del Ministero degli Interni, danno il senso di un qualcosa di pianificato. Ahmadinejad e i suoi, la generazione dei giovani rivoluzionari del 1979, oggi sui 50 anni, hanno fatto carriera all'interno delle Guardie della rivoluzione e degli apparati di sicurezza, assumendone l'assoluto controllo, ma non fanno parte della leadership clericale nelle cui mani risiede il potere vero della Repubblica islamica. Ora questa generazione potrebbe aver deciso di relegare il clero a un ruolo essenzialmente cerimoniale, di legittimazione ideologico-religiosa, e non di guida esecutiva del paese. In questo scenario la Guida Suprema verrebbe mantenuta come figura simbolica, carismatica, ma di fatto le strutture di potere del clero verrebbero svuotate a vantaggio dei ministeri della sicurezza.

E' questo uno degli elementi anche dell'analisi di Amir Taheri, giornalista nato in Iran ed esperto di vicende iraniane, autore del libro "The Persian Night: Iran under the Khomeinist Revolution", sulle colonne del Wall Street Journal.

Con il golpe da parte delle forze militari e di sicurezza fedeli ad Ahmadinejad contro la supremazia del clero sciita si spiegherebbero alcune anomalie di queste elezioni, fatti inediti anche per il record ben poco democratico della Repubblica islamica. Le autorità sarebbero state capaci di contare milioni di voti nell'arco di poche ore dalla chiusura dei seggi; le percentuali dei voti identiche in tutte le province, impossibile soprattutto in un paese come l'Iran; l'agenzia di stampa del regime non ha nemmeno aspettato che fossero resi noti i primi dati dal Ministero degli Interni per dichiarare Ahmadinejad vincitore. Bisogna considerare che l'intero processo elettorale è «rigidamente controllato» dal Ministero degli Interni fedele alle Guardie rivoluzionarie e ad Ahmadinejad. Non esiste commissione elettorale indipendente, il voto non è segreto, nessun osservatore a controllare lo scrutinio, e nessun meccanismo di verifica. E' «impossibile sapere quante persone hanno votato e per chi».

Un'altra anomalia riguarda il comportamento della Guida Suprema nelle prime ore dopo l'autoproclamazione della vittoria da parte di Ahmadinejad. Khamenei si è congratulato per la «storica vittoria» del presidente uscente senza aspettare, come aveva sempre fatto dal 1989, da quando cioè è la Guida Suprema, né la pubblicazione dei risultati ufficiali né la ratifica da parte del Consiglio dei Guardiani. Inoltre, uno studio dettagliato sul testo del discorso di Khamenei, insolitamente lungo, rivelerebbe un certo numero di anomalie, tali da far sospettare che non sia lui il vero autore.

Oltre ad annunciare di non avere alcuna intenzione di negoziare sul programma nucleare («Quella questione è chiusa, per sempre»), nel suo discorso della vittoria Ahmadinejad ha promesso di «smantellare la rete di corruzione» e di portare di fronte alla giustizia i «padrini della corruzione». Parole che a molti sono sembrate l'annuncio di una «purga di massa all'interno dell'elite al potere», che potrebbe coinvolgere persino gli ex presidenti moderati Rafsanjani e Khatami. Ahmadinejad ha intenzione infatti di «confiscare i beni di centinaia di mullah e dei loro soci in affari per redistribuirli ai poveri».

Rafsanjani, Khatami e altri mullah, spiega Amir Taheri, possono ancora esercitare le loro pressioni per «impedire una completa conquista del potere da parte della cricca di Ahmadinejad, che sembra determinata a sostituire il clero sciita alla guida della nazione». In tutto questo ancora «non è chiaro se la Guida Suprema intende stare a guardare mentre il suo potere e quello del clero viene eroso da un'elite emergente di radicali». Alcuni analisti a Teheran citati da Taheri ipotizzano che «questa elite di forze di sicurezza e militari, che ora controlla l'intera macchina statale iraniana, potrebbe aver persuaso lo stesso Khamenei a compiere passi senza precedenti».

Secondo Taheri, in ogni caso, le elezioni di venerdì scorso sono per molti versi «chiarificatrici». Innanzitutto, «dovrebbero porre fine all'illusione che il regime khomeinista sia capace di una evoluzione interna verso la moderazione». «Ahmadinejad - aggiunge - vede l'Iran come un veicolo per una rivoluzione globale messianica». La sua vittoria ha quindi «il merito di chiarire la situazione all'interno della Repubblica islamica. La scelta ora è tra un regime repressivo basato su un'ideologia bizzarra e oscurantista e la prospettiva di un reale cambiamento e di una democratizzazione. Non c'è spazio per una via di mezzo». Queste elezioni «eliminano gli elementi interni al regime che hanno inseguito l'idea di mantenere intatta la teocrazia dandole una verniciatura democratica». Ora questa «opposizione leale» alla rivoluzione islamica «avrebbe da riconsiderare la sua lealtà». «La stessa chiarezza - aggiunge Taheri - può essere applicata alla politica estera. Credendo di aver già sconfitto gli Stati Uniti, Ahmadinejad non sarà in vena di alcun compromesso».

No comments: