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Wednesday, June 17, 2009

Iran, la lotta tra caste e l'ultima sfida Rafsanjani-Khamenei

Sempre più analisi confermano la tesi dello scontro tra elite all'interno del regime di cui ho già parlato in precedenti post. Nonostante indubitabilmente le manifestazioni oceaniche a Teheran e in altre città (si parla di un milione di persone, quantità "rivoluzionarie", mai così dal 1979) sono anche il segno evidente di quanto siano diffuse nella società iraniana le richieste di cambiamento e le istanze di maggiore libertà, probabilmente in gioco non c'è la democrazia. In queste ore nelle strade di Teheran l'anima più rivoluzionaria della protesta - fatta di migliaia di cittadini, donne e giovani iraniani che detestano il regime e possono sfogare i loro sentimenti sostenendo l'unica candidatura che il regime ha messo loro a disposizione - si confonde (ma non è detto che al dunque si saldi) con l'anima "riformista", pezzi importanti, i più pragmatici e moderati, dell'establishment clericale sciita (quali Mousavi, Rafsanjani, Khatami), convinti che il regime khomeinista sia riformabile dall'interno e soprattutto timorosi di perdere i propri privilegi e le proprie ricchezze, e persino di venire epurati.

Quello in atto dunque sarebbe uno scontro di potere tra due caste, quella dei sacerdoti e quella dei militari, ed in gioco ci sarebbe la natura stessa della dittatura, se cioè debba essere una dittatura clericale o militare. Da una parte, la strana alleanza tra il pragmatico Rafsanjani e il "riformista" Khatami, di cui Mousavi sarebbe espressione; dall'altra, la Guida Suprema Khamenei, che avrebbe deciso di servirsi di Ahmadinejad e delle forze militari e di sicurezza a lui fedeli, per esautorare di fatto, o persino per liquidare, i suoi avversari all'interno del clero sciita. Bisognerà vedere se le due parti riusciranno a trovare un compromesso e, in questo caso, se Rafsanjani e Mousavi tradiranno le aspettative "rivoluzionarie" di milioni di persone, o se decideranno di tenere duro e passare dall'altra parte della barricata, diventando a tutti gli effetti dissidenti.

Danielle Pletka e Ali Alfoneh, sul New Yok Times, scrivono che «la vera rivoluzione è passata inosservata... Nel più drammatico cambiamento dalla rivoluzione del 1979, l'Iran si è trasformato da stato teocratico a dittatura militare». Una rivoluzione i cui «semi sono stati piantati quattro anni fa con la prima elezione di Ahmadinejad». Nonostante abbia deluso l'opinione pubblica iraniana, con una disastrosa performance economica, le forze a lui fedeli ora controllano il paese. C'è da chiedersi perché la Guida Suprema, Ali Khamenei, abbia «deliberatamente liquidato il clero a cui egli stesso appartiene. Per sopravvivenza», è la risposta. L'ayatollah Khamenei, che non aveva i titoli religiosi per succedere a Khomeini nell'89, «ha ripetutamente dimostrato di voler liquidare l'attributo "islamica" dalla rivoluzione islamica». Nel fare ciò, concludono Pletka e Alfoneh, «si è messo in un angolo, in un'alleanza permanente con Ahmadinejad e le Guardie rivoluzionarie. E questa frode elettorale li avvicinerà ancora di più».

Robert Baer, per vent'anni agente operativo della CIA, spiega sul suo blog su The New Republic, che l'Iran «non è una teocrazia. E' una dittatura militare guidata da Khamenei con la consulenza di una consorteria di generali della Guardia rivoluzionaria e dell'esercito, nonché dell'ala dura della polizia segreta. Ahmadinejad è poco più che un portavoce di questo gruppo di potere. Può avere voce in capitolo nella gestione corrente dell'economia di altri settori dell'amministrazione iraniana - ma tutte le decisioni importanti, in particolare quelle riguardanti la sicurezza nazionale, inclusi i brogli alle elezioni presidenziali, sono prese da Khamenei».

Tuttavia, «un segnale certo della debolezza politica di Khamenei è emerso quando Ahmadinejad ha accusato l'ex presidente Rafsanjani di corruzione durante la campagna elettorale. Rafsanjani è, ed è sempre stato, una minaccia per la legittimità di Khamenei. E' presidente del Consiglio degli Esperti, che ha il potere di rimuovere Khamenei e nominare una nuova Guida Suprema. Khamenei quindi vede in Rafsanjani una minaccia permanente al suo potere. Si dice che Rafsanjani si sia recato nella città santa di Qom, dove ha sede il Consiglio, per complottare contro Khamenei, per verificare di avere sufficienti voti in seno al Consiglio, che ha 86 membri, per rimuovere Khamenei», il quale quindi all'ultimo momento avrebbe dato via libera ad Ahmadinejad autorizzando il ribaltamento dell'esito delle elezioni.

In Italia questa lettura degli eventi è sostenuta da Tatiana Boutourline, che su Il Foglio ha parlato di «resa dei conti tra due volti del regime» (Rafsanjani e Khamenei): «Se dietro alla "dolce vittoria" di Ahmadinejad c'è la mano di Khamenei, dietro all'insubordinazione di Mir Hossein Moussavi c'è la regia di Rafsanjani». «L'obiettivo visibile è quello di tornare alle urne e liberarsi di Ahmadinejad», ma dietro c'è un «disegno ben più ambizioso», come dimostrano le «febbrili consultazioni» di Rafsanjani con gli ayatollah di Qom e i membri del Consiglio degli esperti: eliminare Khamenei, sostituire la Guida Suprema «con un consiglio costituito da 3-5 leader religiosi». Una riforma costituzionale della Repubblica islamica, nel tentativo di «riequilibrare i rapporti di forza tra i turbanti e i fucili». Rafsanjani è convinto che l'«evoluzione del regime khomeinista sia possibile» e caldeggia una «riforma dottrinale» per «portare lo sciismo nell'era moderna», spiega Boutourline. Il che indebolirebbe la figura della Guida Suprema e le forze militari e di sicurezza fedeli ad Ahmadinejad e oggi al governo.

«Probabilmente - ipotizza Vittorio Emanuele Parsi su La Stampa - proprio l'ultima grande manifestazione pre-elettorale, così affollata di giovani festosi e colmi di speranza, come non se ne vedevano dai tempi dell'elezione di Khatami, ha convinto il titubante Khamenei a rompere gli indugi e a sottoscrivere la nuova alleanza tra i conservatori, i cui interessi egli rappresenta, e i radicali (armati) di Ahmadinejad». Tuttavia, «accettando di avallare brogli elettorali probabilmente giganteschi, Khamenei ha sancito la fine del regime inventato da Khomeini». Dopo due tentativi "riformisti" falliti, potrebbe riuscire un tentativo reazionario di Ahmadinejad, che «non ha mai fatto mistero della sua insofferenza per il ruolo dell'alto clero. Il paradosso è che l'operazione gli potrebbe riuscire, proprio grazie all'aiuto del supremo garante di quell'ordine che lui vuole radicalmente trasformare. Se Ahmadinejad prevarrà, se riuscirà a reprimere una rivolta che sembra sempre più una "quasi rivoluzione", il regime che sorgerà sarà cosa sostanzialmente diversa da quello fin qui conosciuto».

Quanto tempo passerà, e soprattutto quali rassicurazioni dovrà dare l'ayatollah Khamenei in persona ai settori del clero rappresentati da Mousavi e Rafsanjani, perché rientrino le proteste? Per ora Mousavi continua a ripetere che le proteste proseguiranno fino a quando non ci saranno nuove elezioni: «Noi protestiamo pacificamente contro la frode elettorale e tutto quello che vogliamo è l'annullamento del voto e nuove elezioni senza brogli». E, particolare importante, respinge con forza l'accusa di manipolazioni dall'esterno: «La protesta dell'Onda verde è solo il riflesso di una richiesta interna e indipendente... legare l'Onda verde a forze esterne è assurdo».

2 comments:

Anonymous said...

toglimi una curiosità. perchè nella testata del blog appare Conan? sei anche tu comunista come Miyazaki?

Jean Lafitte

Anonymous said...

potresti almeno rispondere alle domande. sei più reticente del nano!!!

JL