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Friday, June 19, 2009

Il dilemma di Mousavi

Nel suo discorso di oggi - e c'è da ritenere anche in conversazioni private - Khamenei ha ultimativamente chiesto a Mousavi di abbandonare la piazza ed è molto difficile pensare che a questo punto Mousavi decida di sfidare l'ordine esplicito della Guida Suprema, che lo porrebbe al di fuori del sistema, tra i "nemici" della Repubblica islamica. A breve dovrebbe prendere una decisione sulla manifestazione di domani, per la quale le autorità hanno già negato l'autorizzazione.

Pare che con Mousavi, privatamente, Khamenei abbia toccato il tasto del suo passato, per convincerlo a non unirsi a Rafsanjani contro di lui, suggerendogli che Rafsanjani e i suoi ambienti lo stanno semplicemente usando. Gli avrebbe ricordato i suoi anni da primo ministro (1981-89), quando era uno dei più radicali, un po' come Ahmadinejad oggi, e quando Rafsanjani, da presidente del Parlamento, lo boicottava sistematicamente, finché eletto presidente lo fece del tutto fuori dalla vita politica del paese.

Se a ciò si aggiunge che la Guida Suprema nel suo discorso ha lanciato un chiaro messaggio di pace a Rafsanjani, in sostanza rassicurandolo che nessuno intende toccare lui o la sua famiglia - l'unico passaggio in cui ha contraddetto Ahmadinejad («Non accetto le accuse di corruzione lanciate a Hashemi Rafsanjani. Rafsanjani è un'alta personalità che ha dato il suo sostegno alla Rivoluzione e non si può parlare male di lui») - potrebbe essere davvero riuscito a rompere il cartello dei suoi oppositori (Mousavi-Rafsanjani-Khatami).

Da pragmatico quale è, infatti, è probabile che Rafsanjani recepisca il messaggio e si ritiri nell'ombra, aspettando la prossima occasione, se ce ne sarà, e nel frattempo continuando a tessere i suoi rapporti negli apparati clericali per contenere Khamenei o giungere ad un compromesso. Senza troppi problemi potrebbe quindi voltare le spalle a Mousavi e all'ex presidente Khatami, con i quali dopo tutto aveva stretto un'alleanza tattica.

Mousavi a questo punto deve compiere la sua scelta. Se piegherà la testa, tradirà le aspettative di cambiamento di milioni di iraniani come già in precedenza Khatami; se sfiderà l'autorità di Khamenei guidando la manifestazione di domani, va incontro alla repressione, ma nonostante il suo passato oscuro sarà accaduto in Iran qualcosa di veramente nuovo: le istanze di libertà avranno finalmente trovato un leader anti-sistema e a quel punto a Washington e in Europa ho l'impressione che qualche strategia dovrà essere riconsiderata.

E' senz'altro vero che Mousavi, almeno fino ad oggi (e se domani non ci sorprende), non è un leader democratico da cui ci si possa aspettare un regime change, e che rappresenta un cartello tutt'altro che anti-sistema, come ho cercato di spiegare in tutti i post precedenti su questa crisi. Ma è pur vero che non si possono liquidare allo stesso modo le manifestazioni oceaniche viste da lunedì a ieri (per la prima volta dal 1979). Ed è quello, finora, l'unico fatto nuovo, che dovrebbe essere maggiormente considerato. Non mi sembra verosimile che i milioni di iraniani che hanno votato per Mousavi dopo quella campagna elettorale, in cui centrale è stata la figura della moglie, e il milione di persone scese nelle strade per giorni nella sola Teheran, possano considerarsi alla stregua di un esercito personale di una figura per altro semi-sconosciuta perché assente dalla scena da vent'anni.

Quelli non sono numeri da scontro tra fazioni e dignitari del regime, ma da "rivoluzione". E' probabile che quei milioni di iraniani domani mattina si ritroveranno di nuovo senza un leader, ma non c'è dubbio che le elezioni e i brogli hanno fornito lo spazio politico, il pretesto, per l'eruzione di istanze e sentimenti repressi che vanno ben oltre l'elezione di Mousavi e le sue stesse intenzioni. Sono istanze di libertà e sentimenti anti-regime, che vanno oltre il programma e il passato politico di Mousavi, che per ora è solo un accidente, un pretesto. E' una crisi che investe per la prima volta l'autorità della Guida Suprema, la legittimità del regime, e quindi la sua tenuta. Indipendentemente da come andrà a finire, oggi sappiamo che per davvero gli iraniani detestano il regime, che tra la società iraniana e la sua leadership c'è ormai una distanza incolmabile, che il fondamento stesso dell'autorità è in crisi profonda. Queste sono cose sulle quali fino a ieri forse solo Ledeen scommetteva. Forse davvero non bisogna chiedersi se, ma quando.

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