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Thursday, June 18, 2009

Il dilemma di Khamenei

Non sembra ancora arrivata l'ora della repressione più brutale ma indubbiamente pasdaran e altre milizie stanno preparando il contesto migliore. Arresti a centinaia tra gli oppositori e gli esponenti riformisti; violenze e intimidazioni soprattutto nelle città lontane dallo sguardo dei media; blocco delle comunicazioni; censura dei siti internet. Pare persino che la polizia sia passata di quartiere in quartiere per abbattere le antenne paraboliche. I corrispondenti stranieri fanno sempre più fatica a lavorare e a riprendere immagini della protesta. Le autorità hanno già fatto sapere che non rinnoveranno i visti, che sono ormai prossimi alla scadenza. L'impressione è che quando l'ultimo giornalista straniero sarà partito (sperando che qualcuno rimanga anche "clandestinamente"), calerà il buio su Teheran e le altre città iraniane, come in Tibet, e da allora in poi ogni momento sarà propizio per la repressione.

Nulla comunque dovrebbe accadere prima del riconteggio parziale dei voti, ma la presa di posizione del Consiglio dei Guardiani della rivoluzione («I nemici dell'Iran cercano di creare disordine perché sono arrabbiati per la grande partecipazione del popolo alle elezioni»), cui spetta l'ultima parola, non fa presagire nulla di buono.

E' impossibile prevedere l'esito di questa crisi. La Guida Suprema Khamenei si è ficcato con le sue mani in un vicolo cieco, sottovalutando la reazione di Mousavi ma soprattutto il seguito popolare che avrebbe avuto. Tutte le possibili vie d'uscita presentano per lui enormi costi politici. Se ordinerà la repressione, che dati i numeri sarebbe in stile Tienanmen, legherebbe irreversibilmente le sue sorti a quelle di Ahmadinejad e delle forze militari e di sicurezza del regime, cui dovrebbe concedere ulteriore potere nel governo del paese, rischiando di perdere il sostegno di gran parte del clero sciita e di veder ridotto il suo stesso potere. Il che sancirebbe il passaggio definitivo della Repubblica islamica da dittatura teocratica a una dittatura militare.

Una soluzione di compromesso con l'opposizione, cercando quindi di riacquistare una ormai poco credibile posizione di "terzietà" tra Mousavi (e Rafsanjani) e Ahmadinejad, minerebbe la sua autorità sia agli occhi dei suoi avversari che dei suoi alleati, ma soprattutto agli occhi del popolo iraniano, e non lo metterebbe comunque al riparo dalle trame dei settori del clero (da Rafsanjani a Khatami) di cui Mousavi è espressione. La sua autorità è già stata sfidata da migliaia di iraniani che sono scesi in strada disobbedendo ai suoi ordini; e la sua infallibilità come guida religiosa messa in dubbio da lui stesso, quando autorizzando il riconteggio parziale ha ammesso indirettamente che l'esito delle elezioni - solo poche ore prima definito un miracolo del disegno divino - potrebbe essere stato falsato.

Appare improbabile, ma non da escludere del tutto, che Khamenei decida di rimangiarsi la sua frettolosa proclamazione del vincitore e concedere il ballottaggio tra Mousavi e Ahmadinejad. Sarebbe un colpo devastante, forse letale, alla sua autorità. Più probabile che il compromesso passi per l'offerta a Mousavi, e alla cordata di chierici che lo sostiene, di qualche posto nel nuovo governo di Ahmadinejad. A questo punto, starebbe a Mousavi e a Rafsanjani decidere se accettare o no sulla base della forza che sentono di avere. In caso accettassero, la resa dei conti sarebbe solo rimandata ma il movimento "verde" si sentirebbe tradito ancora una volta.

Sia che decida di uscire dalla crisi dando più potere ai pasdaran e alle milizie, oppure all'opposizione clericale, Khamenei sarà costretto a giocarsi la sua supremazia. Molto dipenderà dalle manovre sia di Rafsanjani che di Khamenei presso l'establishment clericale che ha sede nella città santa di Qom, e in particolare in seno a quel Consiglio degli Esperti, composto da 86 membri, che avrebbe il potere legale di rimuovere la Guida Suprema. Consiglio che in un comunicato diffuso proprio oggi si congratula solo per l'affluenza, non menzionando la contestata rielezione. Dai rapporti di forza che usciranno nelle prossime ore a Qom dipenderà probabilmente anche la sorte delle centinaia di migliaia di iraniani che riempiono le strade, accomunati dall'odio nei confronti di Ahmadienjad e Khamenei, ma probabilmente divisi sul tipo di cambiamento che chiedono.

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