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Monday, May 25, 2009

L'antiterrorismo di Obama/1 La riabilitazione dei sette anni di Bush

In America si è riacceso il dibattito su Guantanamo, sulla detenzione dei terroristi e sui metodi di interrogatorio della Cia, e in generale sulle politiche anti-terrorismo e la sicurezza nazionale. La settimana scorsa il Senato Usa ha negato a Obama i fondi richiesti per chiudere Guantanamo e trasferire alcuni dei più pericolosi detenuti in prigioni americane. In un discorso pronunciato giovedì scorso il presidente ha cercato di spiegare cosa intende fare. Dopo pochi minuti, intervenendo a un incontro promosso dal think tank neoconservatore American Enterprise Institute, l'ex vicepresidente Dick Cheney ha replicato, difendendo l'operato dell'amministrazione Bush e attaccando le scelte di Obama sulla sicurezza nazionale. Praticamente i due si sono confrontati in diretta tv, sia pure indirettamente, uno dietro l'altro.

Obama ha spiegato di voler mantenere la sua promessa di chiudere Guantanamo, anche se rimane aperto il problema di dove trasferire i 241 terroristi ancora detenuti. Quelli che hanno organizzato o partecipato ad attentati, saranno giudicati da tribunali federali e detenuti in penitenziari di massima sicurezza. Gli altri saranno divisi in diverse categorie: alcuni verranno processati da tribunali militari «perché hanno violato le leggi di guerra»; alcuni saranno rilasciati; e una cinquantina «saranno consegnati ad altri paesi».

Ci sono poi i casi più difficili da risolvere, come ha ammesso Obama, di coloro che non possono essere perseguiti ma pongono una «chiara minaccia alla nazione». Il presidente ha assicurato che non verranno rilasciati, aggiungendo solo che l'amministrazione lavorerà con il Congresso per elaborare un appropriato regime legale. Nei confronti di essi si prospetta comunque una detenzione a tempo indeterminato senza processo, cioè uno status per lo meno molto simile a quello vigente a Guantanamo.

Ma tutti questi diversi sbocchi giuridici per le varie tipologie di detenuti sono gli stessi già individuati e praticati dall'amministrazione Bush. E' la dimostrazione che comunque la si pensi non ci sono i "torturatori" da una parte e i "buoni" dall'altra, che lo status e la detenzione dei terroristi è un problema di natura squisitamente giuridica di grande complessità, che andrebbe affrontato senza demagogie e strumentalizzazioni, in modo bipartisan e trovando una soluzione il più possibile uniforme tra le democrazie.

Se Obama ha rivendicato una «nuova direzione rispetto agli otto anni precedenti», e se c'è chi lo accusa, come Cheney, di mettere in pericolo la nazione, c'è anche chi, invece, dice che nella sostanza le sue politiche non sono molto diverse da quelle di Bush.

Così la pensa, per esempio, il Wall Street Journal:
«Nella retorica, il suo discorso si sforzava di dichiarare una direzione morale nettamente nuova. Nella sostanza, tuttavia, insieme agli altri eventi della settimana, è sembrato più una riabilitazione dei sette anni trascorsi».
Riguardo i detenuti che dovrebbero essere trasferiti negli Usa, il WSJ ricorda che lo stesso direttore dell'FBI, Mueller, ha riferito al Congresso che trasferire dei detenuti in prigioni americane «solleva serie preoccupazioni», di natura finanziaria ma anche legate all'eventualità di potenziali attacchi di singoli individui negli Stati Uniti. Per altri detenuti, osserva il WSJ, il presidente «rimane fermo alle commissioni militari del suo predecessore, sia pure aggiungendo alcuni abbellimenti procedurali come copertura politica per giustificare la sua opposizione in passato». Ma in pratica, riconoscendo che è «difficile processarli davanti a tribunali civili, perché molte delle prove contro di loro o sono segretate per motivi di sicurezza nazionale o non sono state prese all'epoca sui campi di battaglia».

Riguardo i 50 da trasferire in altri paesi (un decimo di quanti ne trasferì Bush), «gli europei che hanno contrastato così veementemente Guantanamo negli anni di Bush si sono improvvisamente accorti che questi detenuti sono pericolosi. Altri paesi non sono in grado di impedire ai terroristi di tornare sui campi di battaglia». Rimangono coloro che non possono essere perseguiti ma pongono una «chiara minaccia alla nazione». Sono i casi «più difficili che abbiamo di fronte», ha ammesso Obama, non dicendo però come intende risolverli. Ha assicurato solo che non verranno rilasciati e che sarà studiata una soluzione legale.

«Il che - conclude il WSJ - ci riporta a Guantanamo. E' un fatto - sottolinea il quotidiano - che negli oltre sette anni in cui è stata operativa, il territorio americano non è stato attaccato». E secondo un rapporto del Pentagono, citato dal New York Times, «non meno di un settimo dei detenuti rilasciati da Guantanamo sono tornati alla jihad». Il «vero caos» non è quello che Obama dice di aver ereditato, ma quello creato da lui, annunciando la chiusura di Guantanamo «senza avere un piano su cosa fare dei detenuti più pericolosi, e dove metterli».
«Ora ha scoperto che i suoi alleati della prima ora al Congresso e gli europei non vogliono avere nulla a che fare con essi. Ci spieghi ancora perché Guantanamo dovrebbe essere chiusa?»

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