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Tuesday, May 26, 2009

Birmania, le sanzioni Ue non funzionano

Anche su Il Foglio.it

L'Italia è stata «favorevole» a «confermare le sanzioni» dell'Ue contro il regime birmano, le quali «potranno essere incrementate o ridotte a seconda del comportamento della giunta militare». Parole pronunciate del ministro degli Esteri Frattini, in una conferenza stampa tenuta questo pomeriggio insieme al segretario della Cisl Bonanni. Peccato, però, che l'Europa abbia deciso di non allargare le proprie sanzioni al settore energetico e che le sanzioni in vigore non stiano funzionando, come ha riferito oggi al nostro Parlamento un rappresentante dei dissidenti birmani in esilio. Sarebbe comunque «un segnale positivo», ha aggiunto Frattini, se «alcune compagnie, incluse quelle petrolifere», si ritirassero volontariamente. «Le imprese italiane, ma anche quelle degli altri paesi europei, dalla Francia alla Gran Bretagna», devono capire che «ci sono dei limiti alla moralità del profitto. Quando una presenza imprenditoriale importante dà alla giunta uno strumento in più per sopravvivere, è chiaro che questo limite viene superato», ha spiegato il ministro.

La Cisl, ha dichiarato il segretario generale Bonanni, chiede all'Unione europea di impedire la concessione di polizze assicurative sui progetti del governo birmano e di «congelare» gli asset dei dirigenti birmani all'estero, come hanno fatto gli Stati Uniti. Il sindacato chiede inoltre che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu deferisca la giunta militare birmana davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità, perché fa ricorso, come accertato dall'Organizzazione internazionale del lavoro, alla manodopera forzata.

Oggi è intervenuto anche Piero Fassino, inviato speciale dell'Ue per il Myanmar, per chiarire che le sanzioni sono «uno degli strumenti, ma non possono essere lo strumento unico e decisivo». «Le sanzioni – ha avvertito – hanno un valore politico e morale, sono uno strumento di pressione», ma bisogna sapere che «naturalmente, essendo state adottate soltanto dall'Europa e dagli Stati Uniti, e non dai paesi asiatici, hanno un'efficacia limitata».

E' di diverso avviso Maung Maung, segretario generale del sindacato birmano (FTUB) in esilio, ascoltato oggi alla Commissione Affari esteri della Camera. Il signor Maung spiega in altro modo «l'efficacia limitata» delle sanzioni contro il regime birmano. Sono le sanzioni adottate dall'Unione europea che non stanno funzionando. Al contrario delle sanzioni americane, ha spiegato ai commissari, quelle europee non funzionano perché «mancano forme di monitoraggio e di controllo» del loro rispetto. Di fatto sono sanzioni «approvate ma non applicate» alla dogana. Il rappresentante dei lavoratori birmani ha inoltre invitato l'Ue a includere nelle sanzioni i settori del gas, del petrolio e dei servizi finanziari. Ha fatto presente infatti che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti sui servizi finanziari stanno effettivamente creando qualche difficoltà al regime.

Maung ha inoltre denunciato le continue violazioni dei diritti dei lavoratori da parte del regime, citando in particolare il ricorso alla manodopera forzata e le restrizioni alla libertà di associazione. Si è detto convinto che il regime non permetterà che le elezioni previste per il 2010 siano libere e multipartitiche e che anzi sta cercando in tutti i modi di tenere la principale leader dell'opposizione democratica, la signora Aung San Suu Kyi, fuori dalla politica. Maung ha quindi chiesto ai paesi occidentali di esercitare pressioni, tramite l'Onu, per una revisione del processo elettorale e per una riforma della stessa Costituzione birmana. Ha poi spiegato che Russia e Cina «bloccano» il Consiglio di Sicurezza dell'Onu e che il sindacato in esilio che rappresenta chiede che la giunta militare non sia più ammessa a sedere nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a causa delle violazioni dei diritti umani fondamentali.

Riguardo alle dinamiche interne alla giunta militare, al potere in Birmania dal 1962, il signor Maung ha spiegato che «alcuni generali, a livello di comandanti di divisione, stanno cercando un contatto e un'apertura» con la società civile e i movimenti democratici, ma che «si dovrebbe mostrare ai militari che la comunità internazionale può avere un impatto» reale sul regime.

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