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Tuesday, March 17, 2009

I paradossi di Tremonti e la rivincita degli statalisti

Come ha notato Panebianco nel suo editoriale sul Corriere di qualche giorno fa, c'è un gap - per fortuna - tra la «posizione culturale» di Tremonti e le sue «quotidiane decisioni» assunte da ministro dell'Economia. C'è coerenza, naturalmente, ma anche una certa distanza, dovuta forse a sano pragmatismo e ai vincoli esterni, tra il suo dire (il suo pensare) e il suo fare. Noi diciamo per fortuna, perché le sue idee su quale sia il migliore assetto, l'equilibrio più desiderabile, tra stato (sociale) e mercato, non le condividiamo, anche se la sua lettura della crisi è in parte condivisibile.

E' certamente vero che Tremonti «si è mosso fin qui con equilibrio, adottando una linea di azione che mira a tamponare gli aspetti più gravi della crisi tenendo però conto dei vincoli che gravano sul Paese a causa del debito pubblico. Ciò che l'opposizione giudica colpevole inazione sembra piuttosto il frutto di un calcolo in base al quale la massima prudenza è necessaria...». D'altra parte, questa cautela è condivisa anche da uno dei principali "avversari" di Tremonti, il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che proprio oggi ha spiegato alla Commissione Finanze della Camera che interventi di stimolo o di protezione sociale che mettessero a rischio i conti pubblici finirebbero per danneggiare ancora di più sia l'economia che le condizioni dei più deboli.
In paesi come l'Italia, dove è alto il debito pubblico, interventi di breve periodo ampi e incisivi vanno compensati da misure strutturali che diano subito la certezza del riequilibrio del bilancio nel medio periodo. Allungare lo sguardo è essenziale: la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo è fondamentale anche per assicurare l'efficacia delle politiche di breve.
Ed è una cautela, come abbiamo già osservato, condivisa anche a livello europeo. In un messaggio congiunto il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel hanno ricordato, sia alla presidenza di turno dell'Ue che e al presidente della Commissione europea Barroso, che «l'indebitamento pubblico eccessivo minaccia a lungo termine la stabilità globale» e che i paesi Ue dovranno «rinnovare l'impegno a tornare al più presto possibile agli obiettivi di bilancio di medio termine, conformemente al Patto e in sintonia con il risanamento dell'economia».

«Né sembra sbagliata - prosegue Panebianco - la tesi di Tremonti secondo cui una crisi mondiale da indebitamento ha poche probabilità di essere curata facendo ancor più debiti. Si tratta di un'implicita critica (condivisibile) alle scelte dell'amministrazione Obama e uno stop anticipato a chi vorrebbe, a casa nostra, fronteggiare la crisi dilatando ulteriormente il debito». Vedi le proposte di Franceschini e della Cgil.

Nella sua replica a Panebianco, il ministro Tremonti un po' ci tranquillizza un po' ci allarma. Ha ragione quando se la prende con una cattiva politica monetaria da parte delle autorità pubbliche, che hanno lasciato che le banche battessero la «loro moneta», «fondata sul debito», cioè «sul nulla», e lasciato quindi che la «moneta cattiva» sovrastasse quella «buona». Ma allora sarebbe il caso di ricordare che i liberisti più liberisti condividono questa lettura della crisi e sono da anni per il ritorno al Gold Standard. Ma basterebbe ad evitare le crisi?

Ancora, è persino ovvio, come dice Tremonti, che il mercato debba restare «dentro il quadrante del diritto». Non è vero però che «il mercato ha fallito» e che «nel durante della crisi e nel dopo della crisi è più probabile che la parte giusta sia quella del sociale». E non è vero soprattutto per l'Italia. Se in paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito si può discutere l'ipotesi che il pendolo abbia oscillato troppo verso il mercato, ciò non ha senso in Italia. «Nella nostra situazione, infatti, ciò che Tremonti chiama "mercatismo" ha goduto solo di un'effimera popolarità in tempi recenti. Noi veniamo da una tradizione di controllo statale sull'economia». E persino la nostra Costituzione - come ha fatto notare Alberto Mingardi, su il Riformista, a chi la ritiene immodificabile - è «antimercatista» e illiberale.

Basti pensare che l'uso dei prefetti per controllare l'attività di credito alle imprese delle banche troverebbe un appoggio costituzionale incontrovertibile nell'art. 47: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme» ma poi la stessa Repubblica «disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». E qui si aprirebbe il dibattito sulla piena applicazione della Costituzione, di cui davvero non sentiamo alcun bisogno. Tra l'altro, continuiamo a non capire come mai l'abolizione dei prefetti, che Einaudi sosteneva già nel 1944, non faccia parte della battaglia federalista della Lega.

Ciò che più ci preoccupa è che la visione di Tremonti, «grazie al suo ruolo politico e istituzionale, è ormai un pezzo importante della "identità" del centrodestra». E temiamo, siccome ad oggi nel PdL nessuno sembra avere l'autorevolezza per contrastarla, che sia in grado nel medio-lungo periodo di produrre effetti molto negativi sulle idee di politica economica sia del PdL che, per riflesso, del Pd. Allora è possibile, come teme Panebianco, che una volta superata la crisi mondiale, «l'eredità lasciata al Paese consista più in un ritorno agli antichi vizi che nell'acquisizione di nuove virtù. Al di là e contro, certamente, le reali intenzioni di Tremonti». In sostanza, nella insperata rivincita degli statalisti nostrani.

2 comments:

JimMomo said...

Non mi addentro nella difesa del Gold Standard ancora caro a tanti libertari, ma era per dire che su una certa austerità monetaria Tremonti trova i liberisti in prima linea. Non bisogna rinnegare il mercato per riconoscere che di soldi e di debiti ne sono girati troppi.
ciao

Anonymous said...

Anche perchè soldi e debiti sono stati messi in circolo da decisioni politiche e dalle banche centrali, non certo dal "mercato"..
MAX