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Monday, November 17, 2008

Opponendosi a Brunetta e Gelmini il Pd smentisce se stesso

Come ha osservato Angelo Panebianco, sabato scorso sul Corriere, Brunetta e Gelmini sono ministri che «un po' di riformismo tentano di praticarlo», aggredendo «due bubboni malati (pubblica amministrazione, istruzione)» del nostro stato, «disastrati, soffocati da una ragnatela di rendite, piccoli privilegi, cattive abitudini, sprechi, inefficienze». Eppure, proprio questi due ministri sono i più contestati dal partito che del "riformismo" fa la sua bandiera.

L'opposizione del Pd a Brunetta e Gelmini - dalla cui opera, come ho spesso scritto, molto dipenderà del successo, o dell'insuccesso, di questo governo - la dice lunga su «quali residue chance siano rimaste a quel progetto di "forza politica riformista" da cui nacque il Partito democratico», «sul suo insediamento sociale, sulle domande dei ceti che ad esso fanno riferimento».
«La ragione per cui Brunetta e Gelmini sono oggi le bestie nere della sinistra è che essi stanno operando nel suo "territorio di caccia", nel cuore stesso della sua constituency elettorale: impiego pubblico e scuola. I dati sulla geografia sociale del voto sono inequivocabili: insieme ai pensionati, i dipendenti pubblici (in generale) e gli insegnanti rappresentano una parte preponderante del bacino elettorale della sinistra, del Partito democratico in primo luogo. Purtroppo per il Partito democratico e le sue aspirazioni riformiste, molti appartenenti a questi ceti (anche se non tutti) non chiedono riforme modernizzatrici ma una difesa dello status quo».
Ne consegue che il Pd oggi è «in trappola». «Da un lato, come qualunque altro partito, deve tener conto delle domande dei propri elettori»; «dall'altro lato, se si appiattisce su quelle domande, finisce per togliere ogni residua credibilità alla piattaforma modernizzatrice con cui si presentò alle elezioni». In queste situazioni, osserva Panebianco, «solo la leadership può fare la differenza, smarcandosi dal fronte conservatore... con il fine, in prospettiva, di conquistare nuovi "territori di caccia", di agganciare elettori interessati alla modernizzazione». Ma non è il caso del Pd, con un Veltroni che dal discorso del Lingotto in poi ha sbagliato tutto ciò che c'era da sbagliare.

Ha ragione anche Ichino ad evidenziare i contributi in senso riformista degli esponenti più raziocinanti del Pd, ma purtroppo non c'è niente da fare, rimangono mosche bianche. E' evidente che non è la loro la cifra culturale e politica cui la leadership e i vertici del Pd stanno informando l'azione di opposizione in Parlamento e nel Paese, visto che quelle poche iniziative riformiste sono quasi nascoste e clandestine.

1 comment:

Anonymous said...

ma cosa volete che riformi un partito che si fa organizzare le manifestazioni dalla CIGL