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Friday, November 07, 2008

I blocchi che vorrei

Volevano bloccare la stazione della metro Piramide (Roma), impedendo così a qualche incolpevole lavoratore di scendere alla propria fermata per tornare a casa dopo una giornata (e una settimana) di lavoro. Non gli è stato permesso, per fortuna. «Caricati», accusano i manifestanti, anche se dalle foto sembra piuttosto un assedio ai cancelli della stazione.

Avrei preferito invece che fossero bloccati i concorsi già banditi per 7 mila nuovi posti (2 mila da ricercatore, 4 mila di professore ordinario e associato, e a breve altri mille da ricercatore), contati sul Corriere di alcuni giorni fa da Franceso Giavazzi, che chiedeva al governo di intervenire. Ma sarebbe scoppiata una rivoluzione.

Sono soprattutto i 4 mila posti da professore i più odiosi, perché «semplicemente promozioni di persone che sono dentro l'università», svolti «secondo le vecchie regole, cioè con concorsi finti», perché «di ciascun concorso già si conosce il vincitore». Tutto questo gli studenti che tentano di bloccare le stazioni lo ignorano. Non capiscono, o non vogliono capire, «l'importanza di meccanismi di selezione rigorosi, in assenza dei quali le università che frequentano vendono favole». I professori, ovviamente, se ne stanno zitti e ci lucrano su.

Il ministro che ha ereditato questi concorsi «non pare aver la forza per cambiarli», scriveva Giavazzi. Invece, il ministro qualcosa ha fatto, facendo approvare il decreto che invocava il professore. Non il blocco, purtroppo, ma neanche il solito rinvio. Piuttosto, un segnale di discontinuità. Cambierà, infatti, il meccanismo per la composizione delle commissioni di valutazione: sorteggio.

Io li abolirei del tutto i concorsi, perché in un sistema in cui la sopravvivenza delle università e il posto di ciascun docente dipendessero solo dai risultati, la chiamata diretta sarebbe il metodo di selezione più efficiente. Ma almeno il decreto Gelmini cerca di "disturbare" i piani dei truccatori di concorsi.

Il decreto contiene anche una «deroga» al blocco del turn-over previsto dalla legge 133. «Per favorire il ricambio generazionale» il blocco passa dal 20 al 50%, ma con un vincolo di spesa: il 60% dei fondi dovranno essere usati per assumere giovani ricercatori. Praticamente, mi pare di aver capito, ogni due docenti che andranno in pensione le università potranno sostituirne uno, ma il 60% delle sostituzioni dovrannno riguardare giovani ricercatori. E tenete presente che uno stipendio da professore ne vale due, o anche tre, da ricercatore.

Nel decreto anche 135 milioni di euro per 180 mila borse di studio ai ragazzi più meritevoli e 500 milioni di euro alle università più meritevoli, sulla base della qualità scientifica della ricerca prodotta. Ma anche le «linee guida» per quattro riforme dell'università: reclutamento dei docenti, dottorato di ricerca, sistema di valutazione e governance.

Uno degli argomenti più usati contro i tagli alle università è che non dovrebbero essere generalizzati, a pioggia, ma colpire chirurgicamente gli sprechi e le inefficienze. D'accordo, ragionevole. Ma pochi sanno, e tra questi pochi dicono, che il governo non può farlo, non si può fare dall'alto. In ragione dell'autonomia delle università, infatti, cose come razionalizzazione dei corsi di laurea, eliminazione di quelli inutili, diminuzione di cattedre e chiusura di sedi decentrate, spettano agli organi di governo degli atenei: rettore e senato accademico. E' contro questi organi che dovrebbero indirizzarsi le proteste per come vengono spese le risorse.

Una cosa che poteva fare il governo l'ha fatta. Ci sono atenei che spendono in stipendi più del 90% del fondo ordinario. Un'impresa con un bilancio del genere non potrebbe andare avanti. Basta un semplice ragionamento: con quali soldi tutte queste persone possono fare ricerca? E' evidente che la scelta effettuata dalle università è garantire a più docenti possibili uno stipendio non da poco, senza preoccuparsi del fatto che poi quegli stessi - anche i più preparati e volenterosi - non hanno fondi sufficienti per produrre risultati. Il decreto prevede il blocco totale del reclutamento di ricercatori, associati e ordinari nelle università in cui più del 90% del fondo statale se ne va in stipendi. Una soglia che dovrebbe essere portata progressivamente al 60%. Meno docenti, migliori, ma con i soldi per fare ricerca, invece di un baraccone che mantiene assistiti di lusso.

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