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Tuesday, October 14, 2008

Non è ancora il tramonto del secolo americano

Molto si è parlato e si è scritto sulle cause della crisi finanziaria e sui possibili rimedi. A tentare di allungare lo sguardo, cercando di scorgere le possibili conseguenze geopolitiche della crisi, è stato Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera di venerdì scorso. E' in atto una «ridistribuzione del potere internazionale», il «definitivo passaggio» dall'odiato «unipolarismo» yankee al più saggio e politically correct «multipolarismo»? La crisi economica e di modello culturale ridimensioneranno l'influenza degli Stati Uniti nel mondo? Assisteremo al tramonto definitivo del cosiddetto «secolo americano»? La globalizzazione reggerà all'urto delle spinte protezioniste e del ritorno all'interventismo statale?

In America il dibattito è più che mai aperto. «Quando la marea lambisce alla vita Gulliver, di solito significa che i Lillipuziani sono già dieci piedi sott'acqua», scrive oggi Bret Stephens sul Wall Street Journal. Sul blog del Council on Foreign Relations è stata avviata una discussione alla quale sono intervenuti con i loro commenti autorevoli studiosi e analisti dello stesso CFR e di altri think tank. Molti ritengono che l'«era americana» sia lungi dall'essersi conclusa.

Ciò che più preoccupa Adam Posen è che gli Stati Uniti abbiano perso la leadership del «model setting», cioè la capacità di proporre al resto del mondo modelli di riferimento. Tuttavia, le nazioni che «intraprendessero vie alternative al mercato, o politiche eccessivamente illiberali, finirebbero con il danneggiare le proprie economie più di quanto abbia fatto l'eccesso del nostro laissez-faire». Se gli altri paesi trarranno una lezione anti-mercato da questa crisi, intende dire Posen, sarà a loro danno, mentre il potere Usa ne verrebbe paradossalmente consolidato.

Nicholas Eberstadt, dell'American Enterprise Institute, sottolinea come il potere economico e l'influenza geopolitica siano misure «relative». «Concentrarsi sulle vulnerabilità dell'America senza cimentarsi nello stesso esercizio per le altre potenze esistenti o emergenti ci lascerà con un'analisi incompleta, per non dire distorta». Anche Russia, Cina e India hanno «enormi vulnerabilità economiche, che potrebbero rallentare in modo significativo o persino far fallire i loro attuali ambiziosi obiettivi di crescita». Insomma, si chiede sarcasticamente Eberstadt: «Scambierei le nostre vulnerabilità economiche per le loro (o per quelle dell'Europa o del Giappone)? Mai in questa vita».

Nel dibattito sul blog del CFR è intervenuto anche Joseph Nye, docente di relazioni internazionali ad Harvard e teorico del "soft power". «Quando scrissi "Bound to Lead", nel 1989, l'opinione comune era che gli Stati Uniti (e la loro economia) fossero in declino. Non ci ho creduto allora, e non ci credo oggi», «ma pagheremo un prezzo per la recente debacle nel nostro "soft power". L'apparente efficienza del nostro mercato ha rappresentato un'importante fonte di attrazione verso gli Stati Uniti». La domanda da porsi è «se recupereremo il nostro "soft power", o se una volta scottati tutti si terranno ben alla larga».

Sebastian Mallaby osserva che «dopo tutto il sistema politico americano ha dato una risposta politica forte in tempi brevi», mentre «in Europa, al contrario, le autorità sono in difficoltà nel dare una risposta coordinata». Insomma, «almeno relativamente all'Ue», gli Usa non se la passano così male. «Non molto tempo fa gli europei si compiacevano del fatto che la super-finanza americana stesse avendo ciò che si meritava; ora le banche europee sembrano deboli almeno quanto quelle americane». Nemmeno l'Asia è immune a una stretta creditizia globale e il modello asiatico basato sulle esportazioni è «vulnerabile» ad una stagnazione della domanda globale.

Ancor più che il potere americano, a rischiare è la globalizzazione nella sua forma attuale, secondo Mallaby. E' da sempre un fenomeno controverso, ma finché rimane un progetto «liberale», è «accettabile l'idea che degli stranieri possiedano compagnie o asset americani», cercando di massimizzare i loro profitti. Tuttavia, più gli stati accresceranno il loro ruolo nell'economia globale, più aumenterà la diffidenza e sarà difficile aprirsi alla concorrenza e agli investimenti stranieri, presupposti della globalizzazione. Due esempi: «L'Europa avrebbe tranquillamente potuto fare affidamento sul gas russo, se il governo di Mosca non si fosse intromesso. Invece si è intromesso, e molto, così che il gas è divenuto una questione di politica estera. Gli Stati Uniti avrebbero tranquillamente potuto contare sui risparmiatori esteri per finanziare il loro debito, se i governi stranieri non si fossero inseriti. Banche centrali ed enti governativi sono divenuti fornitori chiave di capitali degli Stati Uniti, e così i finanziamenti esteri sono divenuti una sorta di cavallo di troia» in mano a potenze rivali.

4 comments:

Anonymous said...

Una cosa è certa: in Italia ho visto delle commentatrici di sinistra sghignazzare per la presunta morte del Capitalismo. Le analisi da noi, quasi sempre, sono molto pensate guardando alla piccola bottega sul retro.

E non ho usato la parola retro a caso.

Saluti.

Adduso said...

Nella vicenda dell’intervento pubblico in favore del sistema finanziario, non viene detto che i nostri governi, Italia compresa, stanno in realtà “giocando” in borsa, ma con i nostri soldi (cioè fanno i “finocchi” con il nostro cu..).

Da noti Economisti, ho sempre sentito dire in passato, cioè fino a qualche mese addietro, ma ora guarda caso tutti tacciono, che nessuno può andare contro il “mercato” neanche le nostre blasonate Banche Centrali.

Se i nostri politic-anti stanno facendo uno “sbaglio” non sufficientemente ponderato oppure solo per opportunismo personale, dei loro amici, compari, parenti, concubine e gigolò, cominciamo a cercarci un “posto sotto i ponti”, perché saremo noi gente comune a finirci, mentre “loro” già i “remi in barca” se li sono chiaramente tirati da un pezzo.

Anonymous said...

No no, non finisce il secolo americano, ci mancherebbe altro! Dormi traquillo, Jim, è tutto a posto.

Unknown said...

autorevole opinioni, prospettano il graduale declino americano, a fevore, come dice panebianco, bensì una multipolarizzazione del sistema