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Monday, September 15, 2008

Dalla Georgia lezioni per Taiwan

La dimostrazione di forza della Russia in Georgia e la debolezza della risposta dell'Occidente potrebbero avere effetti di lunga durata ben al di là del Mar Nero e del Caucaso, e conseguenze negative non solo nei rapporti tra Washington e Mosca. I drammatici eventi dello scorso mese di agosto sono stati seguiti con interesse e preoccupazione anche in parecchie capitali dell'Estremo Oriente.

Due analisi, provenienti da due think tank americani politicamente molto distanti tra loro – una dall'istituto clintoniano Brookings Institution, l'altra frutto della rivista neoconservatrice Weekly Standard – convergono nel ritenere che la rapida occupazione della Georgia da parte delle truppe di Mosca, e la debolezza dimostrata dall'Occidente di fronte al fatto compiuto, compromettano la credibilità globale degli Stati Uniti e sollevino dubbi sulla loro reale volontà e le loro reali capacità di difendere gli alleati, sia agli occhi delle giovani democrazie asiatiche, come Taiwan, sia agli occhi di grandi potenze in ascesa e con ambizioni egemoniche come la Cina.

"Dalla Georgia lezioni per Taiwan", scrivono Jeffrey A. Bader e Douglas Paal. Come la Georgia, anche Taiwan si trova alla periferia di una grande potenza: la Cina. Se le reali intenzioni di Mosca nei confronti di Tbilisi non sono ancora del tutto chiare, è inequivocabile la rivendicazione di sovranità della Cina su Taiwan ed è manifesta l'intenzione di Pechino di riunificare l'isola al continente nel lungo periodo. Nel 2005 l'Assemblea popolare ha approvato una legge anti-secessione, che autorizza il governo di Pechino ad usare la forza militare contro ogni tentativo secessionista. Taipei è dunque avvertita: una dichiarazione formale di indipenza non verrebbe lasciata impunita.

In entrambe le partite, quella per il Caucaso e quella asiatica, la politica degli Stati Uniti è determinante per i calcoli di tutti gli attori in gioco. Gli Stati Uniti vorrebbero portare la Georgia nella Nato, mentre la difesa di Taiwan in caso di attacco cinese è un impegno di lunga durata e uno dei pilastri della sicurezza e della stabilità in Asia. Ma i segnali di debolezza non passano inosservati, né a Taipei né a Pechino. Alla luce degli eventi in Georgia molti a Taiwan potrebbero cominciare a interrogarsi sulla credibilità della protezione americana. Come gli Stati Uniti non hanno soccorso l'alleato georgiano, così in futuro potrebbero non correre in aiuto di Taiwan di fronte a un colpo di mano da parte di Pechino.

Ancora più esplicito Michael Auslin, nella sua analisi sul Weekly Standard: «Quando l'autocrazia starnutisce, l'Asia si prende il raffreddore». Le democrazie asiatiche che da tempo contano sull'aiuto degli Stati Uniti per la loro difesa da possibili aggressioni sono allarmate. Qualsiasi sia il pretesto – risorse naturali, movimenti separatisti, vecchie dispute territoriali – una grande potenza come la Cina potrebbe agire nei loro confronti come la Russia ha agito contro la Georgia, senza che l'alleato americano sia disposto ad alzare un dito in loro aiuto. Il mancato soccorso Usa alla Georgia può indurre la Cina e le altre autocrazie in Asia a concludere che l'America sia disposta a difendere le democrazie alleate solo a parole. Se l'America non dimostra di essere pronta a difendere i propri alleati, nazioni come Taiwan o Corea del Sud potrebbero infine prendere atto di non poter più contare sull'aiuto degli Stati Uniti per la loro sicurezza e saranno spinte a cercare protezione sotto l'ala di Pechino.

La Cina è ritenuta un «attore responsabile» se paragonata alla Russia di oggi. I cinesi sanno che agendo come Putin perderebbero questa immagine positiva; ma alla luce della esitante e inadeguata risposta della Nato e degli Stati Uniti in Georgia potrebbero prendere coraggio e forzare la mano per conseguire i propri obiettivi egemonici in Asia. Se il prossimo presidente americano non dimostrerà un rinnovato impegno nel proteggere gli stati democratici, accompagnandolo con azioni concrete, tutti in Asia capiranno da che parte il vento sta soffiando.

P.S. E' l'argomento della puntata di oggi di Think Global, su Velino Radio.

1 comment:

Anonymous said...

Aspetto con ansia il post a commento della fine del capitalismo, finalmente, rappresentato dal crollo della Lehmann, la banca dei tre affaristi ebrei della Baviera, guarda caso (la patria degli Illuminati), arricchitisi sfruttando i neri dell'Alabama nel lontano 1850. Aspetto con ansia parole di rassicurazione come quelle che il criminale ubriacone diede ai tempi della Enron e del suo amichetto Lay.

Questa è la fine del capitalismo selvaggio come lo avete difeso. Non si può che gioire, e purtroppo sempre sulle tragedie che colpiscono i poveri lavoratori, non i signori Lehmann, che cadranno in piedi, fra incappucciati, cabalisti e apprendisti stregoni che gli pareranno il culetto israelita.