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Monday, August 04, 2008

Olimpiadi da sogno a incubo per la leadership cinese

Finora erano state le immagini della repressione in Tibet e della fiaccola olimpica assediata dai dimostranti nelle capitali occidentali a minacciare di rovinare la festa al Partito comunista cinese. L'attentato di oggi nello Xinjiang, a quattro giorni dall'inaugurazione dei Giochi olimpici di Pechino, dimostra quanto sia potenzialmente esplosiva la combinazione tra possibili gesti disperati da parte di dissidenti e minoranze oppresse per attirare su di loro l'attenzione del mondo e una probabile reazione nazionalista dei cinesi. Da "sogno" le Olimpiadi sembrano essersi trasformate in incubo per la leadership cinese: da non vedere l'ora che finiscano per tirare un sospiro di sollievo.

Diritti umani, inquinamento, attentati. Più che celebrare i successi economici, ogni cosa sembra ricordare al mondo intero i tristi primati e i problemi irrisolti della Cina. Se le azioni terroristiche non giovano alla causa delle minoranze, qualsiasi protesta, che assuma o meno forme violente, a questo punto può solo danneggiare l'immagine di Pechino. Ieri ha ottenuto una qualche visibilità mediatica anche la protesta, vicino a Piazza Tienanmen, di un gruppo di famiglie sfrattate.

Lo Xinjiang è una vasta regione nordoccidentale, 1/6 del territorio cinese, in maggioranza abitata dagli uiguri, prevalentemente musulmani. Pechino pratica nella regione una politica di sinizzazione identica a quella attuata in Tibet, incoraggiando da decenni la migrazione di cinesi di etnia Han, che oggi rappresentano il 40% della popolazione, contro il 5% negli anni '40. Si calcola che ormai ve ne siano tra i 6 e 15 milioni.

Il Congresso mondiale degli uiguri – movimento democratico la cui leader, Rebiya Kadeer, è stata ricevuta dal presidente Bush la settimana scorsa – ha preso le distanze dal Movimento islamico del Turkestan orientale, ritenuto dai cinesi responsabile dell'attacco. Il Partito islamico del Turkestan - sigla dietro la quale, secondo l'intelligence Usa, si nasconderebbe ora il movimento - ha rivendicato le esplosioni avvenute nelle scorse settimane su un bus a Shanghai e su due nello Yunnan, e minacciato di colpire ancora durante i Giochi. Ma le cose appaiono più complicate.

Molti esperti ritengono che Pechino esageri la minaccia terroristica per giustificare una feroce repressione nei confronti della dissidenza uigura. Il Movimento islamico del Turkestan, gruppo terroristico anche secondo l'Onu, è stato accusato di preparare migliaia di attacchi, ma bisogna essere «molto sospettosi con queste cifre», osserva Andrew Nathan, della Columbia University. Molti degli atti «terroristici» che Pechino gli attribuisce non sono che «spontanee e disorganizzate forme di malcontento civile». Così farebbero pensare gli strumenti rudimentali usati nell'attacco di oggi. Secondo Nicholas Bequelin, di Human Rights Watch, l'organizzazione potrebbe persino essere defunta, o comunque non avere legami effettivi con al Qaeda.

La Cina ha rafforzato i legami diplomatici ed economici con le nazioni confinanti che avrebbero potuto avere interesse ad aiutare gli uiguri, ottenendo così la loro cooperazione nelle politiche anti-separatiste. L'intelligence cinese si è rivolta a Pakistan e Iran, perché pare che a cavallo dei confini con entrambi si nascondano nuclei di jihadisti uiguri legati sia ai talebani che alla galassia qaedista.

Eppure, da alcune fonti sembra che i jihadisti uiguri non godano di grandi simpatie all'interno di al Qaeda. «Che interesse abbiamo a spingere la Cina contro i musulmani in questo momento?», si chiede Kasir al-Asnam, uno dei membri dei forum che pubblicano sul web la propaganda di al Qaeda. In molti esprimono irritazione per l'attacco alla Cina. «Lasciate stare la Cina, adesso abbiamo altre priorità che non sono Pechino. In questo momento la Cina non è in guerra con noi. Se ci sono attacchi contro i musulmani, questi colpiscono dei diseredati che devono lasciare quelle terre e trasferirsi in Paesi islamici. Azioni di disturbo come queste invece non rispondono né alla sharia né al buon senso». In nessuno dei messaggi apparsi sui forum si sostiene l'attentato nello Xinjiang. Viene invece ricordato più volte come nessuno dei capi, da Bin Laden ad al Zawahiri, abbia mai menzionato la Cina. Realpolitik di al Qaeda?

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