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Thursday, January 24, 2008

A Gaza torna in scena il cinismo arabo

Ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza in questi giorni è un paradigma dell'ambiguità e del cinismo arabo nello sfruttare le sofferenze della popolazione palestinese, usata come vero e proprio "scudo umanitario". Un territorio già devastato da mal governo e corruzione, trasformato in un avamposto terroristico da cui far partire migliaia di missili contro Israele: negli ultimi due anni e mezzo, dopo il ritiro da Gaza, circa 9300. Ma Israele si trova costretto, per ragioni "umanitarie", a sostenere i suoi stessi nemici. Il paradosso infatti è che Gaza dipende in tutto e per tutto da Israele, il quale però, se non vuole essere denunciato al pubblico ludibrio internazionale, non può permettersi di negare neanche i rifornimenti di elettricità e carburante a chi poi lo ricambia del favore bombardando senza sosta le sue città.

Ad un certo punto, il governo israeliano ha detto basta e proclamato il blocco totale di Gaza, pur continuando a fornire energia agli ospedali e a garantire assistenza nei propri ai malati palestinesi. A seguito delle prime scandalizzate denunce di "emergenza umanitaria" e delle dure critiche nei confronti della reazione israeliana, definita «incomprensibile» anche dal nostro ministro degli Esteri D'Alema, le forniture sono riprese e i primi camion hanno ricominciato ad attraversare il confine. Ma subito sono ripresi anche i lanci di razzi Qassam (ieri una ventina sono caduti in territorio israeliano). Agli ospedali di Gaza provvede Israele, ma non manca mai l'energia per le officine in cui si costruiscono i missili da lanciargli contro per riconoscenza.

Israele non è l'unico stato ad aver posto ai propri confini un "muro" per impedire ai terroristi di attraversare i suoi confini. Ieri mattina Hamas ha fatto saltare la barriera di metallo che per 14 km separa la Striscia di Gaza dall'Egitto. Decine di migliaia di palestinesi si sono recati nei vicini centri abitati egiziani per procurarsi merci divenute introvabili a causa del blocco israeliano.

Dopo aver caricato, martedì scorso, donne e uomini che tentavano di oltrepassare il valico di Rafah, ieri i militari egiziani che lo presidiano non hanno reagito. Sotto pressioni anche interne, il governo egiziano ha dovuto chiudere un occhio. Il presidente Mubarak ha spiegato di aver autorizzato l'ingresso dei palestinesi «perché avevano fame», ma di aver ordinato alle guardie di confine «di farli poi rientrare, purché senza armi». Una decisione giudicata «pericolosa» da Tel Aviv: «La responsabilità del corretto funzionamento della frontiera è dell'Egitto, come dicono gli accordi siglati», e Israele «si aspetta che gli egiziani risolvano il problema». «L'Egitto intende rispettare gli accordi di confine», ha assicurato un portavoce del Ministero degli Esteri del Cairo. Il rischio è che attraverso il valico di Rafah riprenda il contrabbando di armi ed esplosivi e il transito di terroristi.

Sarebbero questi i veri motivi per cui Hamas ha provocato lo sfondamento della frontiera. La tattica dei terroristi è sempre la stessa: provocare "crisi umanitarie" per gettare discredito su Israele, trarre profitto dal senso di colpa occidentale e, insieme agli aiuti, che immancabilmente non allevieranno le sofferenze della popolazione, riprendere i propri traffici destinati ad alimentare altri attacchi.

E infatti il leader di Hamas, Haniyeh, ha subito rivolto all'Anp e all'Egitto la richiesta di un incontro per discutere «accordi sull'apertura del valico di Rafah, così come degli altri valichi». Prima che Hamas prendesse violentemente il controllo della Striscia lo scorso giugno, il valico era gestito da guardie dell'Anp e dell'Egitto, con l'assistenza di osservatori europei. Dopo il golpe di Hamas, il confine è stato chiuso e la missione degli osservatori sospesa.

E' evidente come Hamas abbia bisogno dell'apertura di quel valico per continuare la sua guerra, ma anche per motivi politici: sta tentando di "regionalizzare" la crisi di Gaza, ricattando e minacciando apertamente tutti i leader arabi, ma in particolare Mubarak, con l'obiettivo di rompere l'isolamento politico.

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