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Thursday, January 10, 2008

Aborto. Vedremo Benedetto Della Vedova a 8 e mezzo?

Altro che Bandinelli, altro che Pannella, altro che Bonino, la quale non ha saputo far altro che insultare. A sistemare Ferrara e la sua campagna per una moratoria sull'aborto, a denunciarne le furbizie retoriche e i sotterfugi anti-legge 194, ci ha pensato Benedetto Della Vedova, nella lettera che oggi Il Foglio gli pubblica nell'inserto IV. A mio modo di vedere un ko tecnico-dialettico.

Radicali e laici nel loro arroccarsi sdegnato sulla difensiva palesano una sorta di complesso di inferiorità. E' come se non si fossero ripresi dalla "sveglia" del referendum sulla fecondazione assistita. Non fanno che abbaiare, ma non riescono a mordere, perché non perdono occasione per lanciare anatemi o iniziative dalle quali emerge che essi stessi si sentono minoranza, pur essendo la società italiana largamente secolarizzata.

Tutt'altro smalto e capacità di incrociare le lame ha dimostrato Benedetto Della Vedova, pur non appartenendo a coloro che hanno preferito difendere la laicità nei recinti appositamente predisposti nel centrosinistra, sentendosi un po' gli ultimi e unici mohicani.

In quella ferrariana «difesa incondizionata di ogni forma di vita nascente, anche quella biologicamente più lontana dalla "figura" della persona umana», senza ricorrere «alla criminalizzazione giuridica e alla colpevolizzazione morale», in questo inedito «anti-abortismo compassionevole», Della Vedova sente «puzza, non di incenso o di zolfo, ma – in termini puramente logici – di bruciato». Difficile identificare l'aborto, qualsiasi aborto, come un omicidio, e pretendere di farlo senza al tempo stesso, almeno implicitamente, criminalizzare. E' una «mera iperbole retorica» per muovere comunque le acque dello stagno politico italiano, oppure no?, si chiede Della Vedova.

Ecco un lungo estratto della lettera, che merita di essere letta integralmente. E chissà se Giuliano Ferrara vorrà discuterne proprio con Della Vedova a 8 e mezzo.

«Non sta in piedi, caro direttore, l'immagine di un olocausto che si origina dalla macchinazione burocratica degli stati, ma che non comporta la criminalizzazione dei carnefici che liberamente e consapevolmente vi partecipano (i medici, gli infermieri, i primari, gli amministratori locali, i politici, e innanzitutto le donne che provvedono a emettere la condanna a morte del nascituro e a disporne l'esecuzione). Non persuade l'idea di un genocidio quotidiano che ha vittime "personali", ma colpevoli sempre "impersonali" (la cultura, le leggi, le politiche, il costume sociale). A proposito dell'aborto non si può proprio dire, se non ostentando una benevolenza un po' furbetta: "... non uccidere. Puoi farlo, e nessuno tranne la tua coscienza ti può giudicare, ma la cosa sarà nominata con il suo nome". Ma ancor meno mi convince l'idea che questo radicalismo ideologico non solo non fondi una politica coerente con i suoi presupposti (se l'aborto è tout court un omicidio, si richieda che in questo modo sia trattato!), ma dia anche voce a una passione etica che si sente tanto più forte e "giusta" quanto più manichea e indifferente a ogni differenza reale o apparente. Lei, che (giustamente) si fa vanto di non poterne più della Donna – con la maiuscola: come ipostasi ideologica della modernità – non dovrebbe parlare dell'"Aborto", ma degli aborti: ed è tutto un altro parlare.

Caro direttore, a rendermi assai poco partecipe della sua campagna è questo spaventoso indifferentismo etico, per cui l'aborto è identico all'omicidio e ogni aborto è un identico uccidere: quello dei sicari di Pechino, che sventrano le donne nelle campagne cinesi e quello delle donne di Torino o New York che non hanno la fortuna o la forza di ripudiare una possibilità che la legge offre loro, e continuano a ricorrervi, considerandola non un bene, ma certo un "meglio" rispetto alle conseguenze di gravidanze indesiderate o disgraziate. E' lo stesso indifferentismo, a proposito dell'altra moratoria (quella sulle esecuzioni capitali), che ha portato per anni numerose organizzazioni umanitarie a confondere la pena di morte con l'omicidio politico e il boia notoriamente previsto al termine di un equo processo con il serial killer legale addetto alle pratiche di uno stato assassino.

Potrà sembrare curioso e paradossale che a un "relativista" come me tocchi muovere a lei un'accusa – di indifferentismo etico, appunto – da cui, secondo la logica comune (e forse anche secondo la sua, direttore), dovrebbe più difendersi. Ma io preferisco distinguere, non chiamare tutte le cose con lo stesso nome: neppure per un'onesta urgenza morale, neppure quando le "cose cattive" suscitano un moto di ribellione, che si vorrebbe, per semplicità, indistinto e comune. L'esecuzione di Saddam e l'omicidio di Anna Politkovskaya non sono un identico uccidere. Il dottor Mengele e il dottor Viale non fanno lo stesso mestiere. Una donna che angosciosamente chiede la diagnosi pre-impianto o attende i risultati dell'amniocentesi, per poi magari risolversi all'aborto, è sicuramente mossa da un complesso di complicatissime ragioni, a volte anche censurabili quando non disprezzabili: ma nessuna di esse rimanda alle teorie di Alfred Rosenberg. Capisco e rispetto il rigore astratto e intransigente della chiesa di monsignor Cafarra che mette su un identico piano di condanna etico-religiosa l'omicidio, l'infanticidio, l'aborto e l'uso del preservativo chiedendo l'obiezione di coscienza ai farmacisti.

Ma, direttore, quella stessa chiesa, in nome della sacralità della vita, con coerenza condanna indifferentemente l'aborto e la guerra; qualunque guerra. Anche quella del Golfo, quella in Iraq e in Afghanistan, che lei e io abbiamo sostenuto caricandoci sulle spalle gli inevitabili "omicidi" di civili innocenti. Perché, appunto, sappiamo di poter e dover chiamare con nomi diversi e politicamente trattare in modo diverso cose diverse. La morte in guerra è la morte in guerra. L'omicidio è l'omicidio. L'aborto è l'aborto. Le scorciatoie sono efficaci, potenti sul piano dialettico e meno faticose della distinzione, ma sono politicamente sterili quando non pericolose».

3 comments:

Anonymous said...

La invidio.
perchè è uno dei pochi che è riuscito a capire le frecciatine (benevole, ben inteso) che Bordin mandava a Bandinelli nella rassegna stampa.

ancora buon 2008 e a presto, GB
http://lostonato.ilcannocchiale.it/

Anonymous said...

benevoli? 'nzomma :)

Anonymous said...

Io spero francamente che Della Vedova non vada da quel tricheco di Ferrara. E' un isterico grossolano quando ha qualcuno davanti. Ed un signore come Della Vedova può solo soccombere....