Pagine

Thursday, April 05, 2007

Luigi Castaldi è uscito dal gruppo

V Congresso di Radicali italiani. Il tavolo della presidenzaDopo qualche falsa partenza e qualche ripensamento, sembra essersi chiusa l'esperienza di Luigi Castaldi nella Direzione nazionale di Radicali italiani. Di un certo rilievo le motivazioni, le sue ragioni. Riassumendo si potrebbe dire che Malvino lascia imputando ai radicali scarsa laicità. Scarsa laicità dei radicali, o sarebbe meglio dire nei radicali?

Lo fa concludendo la sua mail alla segretaria, Rita Bernardini, in modo a mio avviso superlativo: «Resto liberale: per tutti voi sarà un po' di meno che radicale, per me – dopo la risposta data da Pannella a Litta Modignani – è un po' di più».

La risposta di Pannella a Litta, durante l'ultimo Comitato, è dunque la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nel suo intervento Litta Modignani aveva ripreso felicemente alcune espressioni del precedente intervento di Sergio D'Elia, contestandone la laicità. Per esempio, obiettava, «la "compassione come teoria dell'organizzazione" è elemento estraneo alla cultura laica: nessuna organizzazione laica fonda la sua teoria politica su sentimenti, tipo la compassione...».

Intervenendo il giorno successivo, Pannella faceva notare a Litta - con un banale trucco retorico - che dire "questo non è laico" suona come una scomunica e, quindi, non è a sua volta laico. Ma si potrebbe continuare così all'infinito, obiettando a Pannella stesso che non è laico neanche affermare che non sia laico dire "questo non è laico". Seguendo questa logica, sarebbe "liberale" dire a Ruini "non sei liberale"? Non suonerebbe come una scomunica? Alla fine si deve arrivare a un punto in cui è il merito, evidente alla ragione, il metro di un giudizio di cui ci si assume la piena responsabilità. Altrimenti il laico e il liberale non potrebbero esprimere giudizi su nulla.

Detto questo, ciò che ci importa è che Pannella, contraddicendo Litta, chiariva che la «con-passione», il «vissuto» comune, è «l'animus che ha contraddistinto gli ultimi quarant'anni radicali (...) noi stiamo proprio superando quel limite attribuito all'individualismo, contro il quale ci siamo sempre ribellati, ma la mia storia è anche quella della grossa sintonia col personalismo».

Castaldi conclude, dunque, che i radicali sono una «setta cristiana. Anticlericale, certo, ma cristiana... fatta di annuncio, incarnazione, sacrificio, resurrezione, gloria dell'avvento, apocalisse finale». Il partito (o per lo meno il suo vertice) come un corpo mistico e antropologico, che si fonda sulla "comunione" tra i suoi aderenti e di questi con il leader. Una concezione in totale antitesi da quella, proclamata dallo stesso Pannella, delle "doppie tessere", dei "tratti di strada assieme", dell'"unione laica delle forze", e dell'iscrizione annuale (o persino della condivisione di un solo obiettivo) come unica condizione per potersi dire "radicali".

La religiosità, il credere in altro, dei radicali non è un estetismo. Né si tratta del crociano "non possiamo non dirci cristiani". Non è un problema di linea politica non abbastanza laicista. Né il difetto di laicità sta nella convinzione di poter allargare lo «scisma sommerso» all'interno della Chiesa, o nel giudizio positivo che si dà del Concilio Vaticano II, o ancora nel dialogo con esponenti della "base" cattolica e del protestantesimo.

Non sta neanche nel ritenere possibile un liberalismo "cristiano", o un cattolicesimo liberale. In questo dissento parzialmente da Luigi: sono ossimori, forse, nel momento in cui si vorrebbero accostare e fare in qualche modo combaciare le due teorie, o dottrine, quella cattolica e quella liberale. Eppure, se si esce dal territorio astratto della teoria, non credo che dirsi di religione cristiana e, allo stesso tempo, politici liberali sia un ossimoro. Possono essere caratteri specifici che presenti nella stessa persona danno luogo a contraddizioni e imperfezioni rispetto ai due modelli idealtipici, del perfetto "liberale" e del perfetto "cristiano", ma indubbiamente convivono, corrispondono all'esperienza concreta di molti, oggi e in passato.

A ben vedere non è neanche l'intensa religiosità di Marco Pannella il problema, quanto piuttosto il fatto che si teorizzi una «con-passione», un «vissuto» comune, un quid antropologico, come costitutivi del "sistema solare" radicale (non galassia, ché, come ha fatto notare Castaldi, ha più soli). E intorno a un Sole unico che «si è "sempre ribellato all'individualismo" e si è sempre trovato "in grossa sintonia col personalismo", non giro», dice bene Castaldi, richiamando, appunto, quella «dicotomia essenziale – direi fenomenologica, dunque politica, ma anche psicologica ed antropologica – tra individuo e persona».

Un conto sono le passioni di cui è animato un partito, attraverso i suoi aderenti, tutt'altro conto è se il sentirsi in "comunione" diviene la sua "costituzione" materiale, al di sopra degli statuti, delle iscrizioni, degli obiettivi. Allora sì, si pone un problema di laicità che non è della linea politica espressa, ma prima di tutto della sua vita interna.

Considerazioni che non si allontanano molto da quanto ha scritto di recente, ahimé ignorato, Biagio de Giovanni, individuando come limiti dei radicali «l'oligarchismo carismatico» e l'effetto respingente di un «senso di superiorità antropologica». E' «come se i radicali si sentissero sale della terra, mai terra». Dunque, quella politica che «si confonde con la vita», che è «la forza del radicalismo italiano», è anche la sua «debolezza»: si basa sulla carica dirompente, ma momentanea, di quelle «occasioni estreme» che proclamano il superamento di forme vecchie e stanche, ma è incapace della «proposta generale».

L'analisi sostanzialmente corretta che i radicali fanno del regime partitocratico e dell'assenza di democrazia e stato di diritto in Italia rischia di divenire un facile alibi di fronte ai propri errori e inadeguatezze. La consapevolezza di vivere situazioni estreme, da decenni sotto la costante minaccia della sparizione politica e mediatica, e del genocidio culturale ad opera dell'oligarchia, sviluppa all'interno di un gruppo ristretto che si riconosce in un leader carismatico un senso paranoico del complotto e particolari vincoli di solidarietà, di «con-passione», forme di comunitarismo e di estraniamento, tipici della setta, della confraternita, o della cellula. La famiglia, il clan radicale, più che la galassia. Il sentirsi dei radicali come un'etnia è però da considerare come la vittoria del regime sui radicali stessi.

Negli anni della segreteria di Daniele Capezzone, osserva Castaldi - addirittura del Capezzone del "De Merode" - la natura mistica del corpo radicale si era attenuata, o comunque era meno visibile ad uno sguardo esterno. Non per chissà quali posizioni politiche iper-laiciste e anticlericali di Capezzone, ma perché quel corpo mistico e antropologico aveva dovuto cedere spazio al protagonismo e all'attivismo intellettuale e politico, dall'approccio estremamente individualistico, del nuovo segretario. Quel corpo continuava a considerare Capezzone un intruso, altro da sé, nonostante le ragioni politiche che andava esprimendo dimostrassero il contrario. Ma, appunto, lo dimostravano su un piano politico e razionale, non a livello di "affinità elettive".

L'adesione di Capezzone alle ragioni politiche dei radicali nasce da anni di ascolto di Radio Radicale non certo privo di passione, e passioni personali. Si tratta però di una condivisione su base razionale - non sentimentale o "etnica" - degli obiettivi politici.

L'estraneità a quel corpo mistico e antropologico ha permesso a Capezzone di infrangere la barriera dell'"estraniamento" radicale, di ristabilire un prezioso punto di contatto tra i radicali (tutti) e il mondo mediatico di oggi e, insomma, di far uscire la comunicazione radicale dagli anni '70. Senza sacrificare i contenuti e le analisi di fondo della realtà italiana proprie dei radicali, il suo comunicare sintetico, per spot e citazioni televisive, più adatto all'epoca degli sms e dei kilobite, ha per lo meno affiancato un certo astrattismo, un certo intellettualismo radicale. Capezzone sembra oggi in grado di "laicizzare" a colpi di humour e di cultura pop la comunicazione radicale, caratterizzata nel corso degli anni da un linguaggio sempre più da chierici, a causa dei processi poco fa menzionati.

La banalizzazione del messaggio è sempre in agguato e forse le strade da battere sono altre. In un paese spaccato dal punto di vista della "dieta mediatica" dei suoi cittadini - con un terzo di essi più informato, ma spesso anche più inquadrato, che legge i quotidiani, naviga in Internet, guarda le tv satellitari, "insegue" le fonti anche fuori dal nostro paese, e i due terzi, purtroppo i più giovani e i più vecchi, dalla "dieta mediatica" povera, prigionieri della tv generalista, sempre più impermeabili ai messaggi politici - la sfida comunicativa su cui i radicali (chi se non loro?) dovrebbero riflettere, è come raggiungere queste nuove "periferie", questo "terzo mondo" dell'informazione, dove ci si imbatte in un coacervo di istanze liberali e riflessi illiberali.

Come dare forma e contenuti politici a quei mugugni e a quei fenomeni, come l'intimismo, il nuovo edonismo "menefreghista", persino l'evasione fiscale, che possono sembrare irrazionali a uno sguardo superficiale, ma che sono altrettante domande di più libertà rivolte dal vissuto, sofferente, di ciascuno in una società dalle strutture socio-economiche e politiche illiberali?

11 comments:

Anonymous said...

"Un conto sono le passioni di cui è animato un partito, attraverso i suoi aderenti, tutt'altro conto è se il sentirsi in "comunione" diviene la sua "costituzione" materiale, al di sopra degli statuti, delle iscrizioni, degli obiettivi. Allora sì, si pone un problema di laicità che non è della linea politica espressa, ma prima di tutto della sua vita interna"

Il punto di tutta la questione è proprio qui.

"Qui" trovo le ragioni anche per la conciliazione, impossibile, secondo Castaldi, tra liberalismo e cattolicesimo.

Le scelte personali, il vissuto come percezione soggettiva riguardano esclusivamente me come persona.
Le leggi, le norme riguardano gli individui e devono misurarsi con quel principio di realtà di cui Modignani parla a proposito della negazione di essa operata dall'intervento al comitato nazionale di D'Elia.

Una lunga militanza nell'associanismo cattolico, mi aveva resa insofferente alla mentalità gruppettara e settaria di cui Modignani parla, avevo però sperato, almeno fino all'inizio del 2006, di sbagliare, di avere una sensibiltà eccessiva, di sentire puzza di preti falsi ovunque.
Così non era e me ne rammarico, non tanto per me, quanto per i miei figli.

PS: C'è un liberale in Italia?

JimMomo said...

"C'è un liberale in Italia?"

Stiamo lavorando alla cosa ;-))

grazie

nullo said...

non ho letto malvino, ma da quello che dici tu, mi sembra che entrambi (e forse anche capezzone) assumiate il liberalismo come condizione necessaria della laicita'; forse perche' siete relativisti. Non ti chiedo di fare cio' che non puoi, cioe' giustificare il relativismo, pero' non sarebbe male se voi giustificaste almeno questo assunto del liberalismo come condizione necessaria della laicita' (o forse la considerate addirittura una identita'?)

JimMomo said...

Sinceramente? Non ho capito nullo...
;-)

salvio said...

La fuoriuscita dalla segreteria di Capezzone mi è sembrata una cosa clericale, verticistica. E i "fedeli" subito pronti a puntare il dito verso l'ex-capo.
Comunque molto interessante, come sempre, questo post.

Anonymous said...

Capisco le ragioni di Luigi.
Ma il Partito Radicale non è mai stato irreligioso, casomai, anticlericale.
Anticlericale, quindi religioso anche, di una religiosità non politicizzata (come è il cattolicesimo).
Religiosità intesa come sentimento naturale, intimo, politico.
Il partito liberale esiste, si stanno riorganizzando.
I radicali sono liberali?
Si, ma i radicali, sono innanzitutto e prima di tutto radicali.

Antonio Tombolini said...

Perché Castaldi ci ha messo un po' di più a tirare le conclusioni? Perché tu, Federico, non ce l'hai fatta ancora? Facile: ipnotizzati dal sole-Pannella pure voi. Al punto di non accorgervi che a uccidere la stagione di una speranza realmente laica e liberale in seno ai radicali è stato proprio Capezzone, che ne aveva creato le condizioni. Al congresso di Riccione decise di mandare giù la pillola della stronzata "Rosa Nel Pugno", e tutte le pillole conseguenti, allo scopo di conquistarsi lo scranno. Ora, a scranno conquistato, vorrebbe tornare a "ricostruire" quella speranza laica e liberale che, nel frattempo, è stata distrutta. Pannella andava contrastato non appena cominciò a cianciare di Rosa Nel Pugno, ora è troppo tardi. Ora si tratta, semmai, di fare altro. O meglio, altrove. E se Capezzone ne avesse voglia, di collaborare a costruire questo altrove, potrei perfino essere capace di perdonarlo, chissà...

JimMomo said...

Difficile contrastare la "Rosa nel Pugno" senza nulla di alternativo in mano. Tutte le condizioni sembravano convergere e altre soluzioni per rientrare nei giochi non se ne vedevano.

Ricordo le tue critiche, tutte fondate, ma neanche tu avevi un'alternativa in tasca.

Dunque, la Rosa era una scommessa che se anche fosse andata male, com'è andata, almeno ti ritrovavi in Parlamento e rifiatavi un po'.

A quel punto per Capezzone si trattava di indirizzare al meglio progetto. E guarda, il guaio non è stato neanche la Rosa nel Pugno, ma proprio i radicali. Cioè, tutto mi sarei aspettato tranne che si appiattissero così Marco ed Emma. E questa non è questione di "Rosa"... o di Sdi.

grazie per l'intervento e un abbraccio,
Federico

Anonymous said...

No, infatti è solo questione di rimborsi elettorali per la sopravvivenza della chiesa pannelliana fine a se stessa.
Ma fatemi il piacere!

Anonymous said...

ma scusate che sono tutte ste "pippe" mentali?
avere pochi obbiettvi ma chiari,
con la capacita' di farli capire vi è cosi' difficile?

Antonio Tombolini said...

Ahiahiahi... al Congresso di Riccione eri distratto, ma ti perdono, ipnotizzato com'eri dal tandem Pannella-Capezzone intonanti l'inno della RNP. Io un'alternativa ce l'avevo eccome, e la annunciai fin dal giugno post-referendario: Pannella o Bonino (o lo stesso Capezzone) alle primarie del centro sinistra (e si sarebbe arrivati dietro a Prodi, prima di Bertinotti) e sulla corta di quel successo *accordo elettorale, dichiaratamente elettorale* con SDI e quant'altri orfani, ciechi, storpi da invitare evangelicamente al banchetto. Altro che le roboanti (e sputtananti) mistificazioni ideologiche sulla RNP (di Capezzone non meno che degli altri).