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Tuesday, April 18, 2006

Non confondere democrazia e geopolitica

Uno dei miei blog preferiti, riportando la notizia dell'accordo del fronte arancione Yushchenko-Tymoshenko in Ucraina, avverte i sedicenti "realisti" che la politica «non basta studiarla, bisogna anche sentirla. Ma quello, come il coraggio, uno non se lo può dare».

La completa analisi della situazione ucraina fatta da Mario Sechi per Emporion rischia di cadere in un clamoroso equivoco laddove si apre, e si conclude, con un giudizio sulla "rivoluzione arancione" che si fonda su parametri distorti. Leggiamo:
La storia è piena di rivoluzioni che durano lo spazio di un mattino e quella "arancione" in Ucraina, sotto molti aspetti, è destinata ad esser catalogata tra le meteore. La strada verso la democrazia è lastricata di buone intenzioni e clamorosi errori, il prossimo governo ucraino dovrà fare un grande sforzo di realismo per evitare di finire tra le braccia di una distruttiva utopia. I paesi ex satelliti dell'Unione Sovietica infatti sono ancora attratti dall'enorme forza gravitazionale della Russia e il risultato delle ultime elezioni ucraine ne è la testimonianza. Chi prevedeva una vittoria schiacciante dei partiti della rivoluzione arancione ha lasciato la posta sul banco, chi pensava a un'affermazione dei filo-russi dopo le tensioni sulla crisi energetica ha fatto male i conti al gasometro, chi continua a vagheggiare l'Ucraina sganciata dall'influenza di Mosca si illude.
(...)
La democrazia non è un fatto cromatico, meglio prender atto che la rivoluzione arancione si è un po' sbiadita, perché pensare di far uscire subito Kiev dall'area di influenza russa per ora è una chimera.
Il successo della "rivoluzione arancione", la tenuta della debole democrazia ucraina, viene qui misurata con il grado dell'influenza russa su Kiev. E' l'equivoco di fondo che ha accomunato molte delle migliori analisi, che sembrano confondere piani diversi. L'esito della rivoluzione democratica coincide con le sorti elettorali di uno dei suoi artefici? A mio avviso no. Sognavamo un'Ucraina democratica o solo filo-occidentale? O tutt'e due le cose? Occorre avere presenti queste domande prima di valutare lo stato di salute della democrazia arancione.

Se l'indubbia influenza russa avesse di nuovo impedito lo svolgimento di elezioni libere, allora Sechi e gli altri commentatori avrebbero ragione. Ma per quanto sia deleterio il successo dei filo-russi, comunque al 30%, oggi il loro peso politico si misura con consensi reali, non con la forza. Le elezioni, per oltre 2 mila osservatori, sono state libere e corrette. Oggi alternanza, libera espressione della volontà popolare, dialettica parlamentare, istituzionalizzazione delle crisi, danno sostanza alla democrazia ucraina. Certo, è ancora fragile ed esposta a influenze esterne, ma un ritorno al passato appare improbabile. Tra l'altro, uno studio dell'autorevole Freedom House dimostra che è tipico delle rivoluzioni nonviolente che il fronte democratico si divida una volta avviata la transizione alla democrazia. Le forze civiche e politiche che avevano fatto fronte comune contro il regime si presentano divise alle elezioni, ma ciò non pregiudica il processo democratico, è anzi fisiologico.

Se invece la nostra preoccupazione fosse squisitamente geopolitica, cioè sottrarre l'Ucraina all'influenza russa, allora il problema è un altro: è l'Europa che, totalmente priva di qualsiasi politica estera, con facilità tende una mano e con altrettanta facilità la ritira. E' vero che l'emancipazione dalla Russia è un processo molto complicato, che non può avvenire con le sole forze nazionali, ma non è pensabile - per la loro storia, la cultura e la posizione geografica - che a Kiev, o a Minsk, si governi contro o senza Mosca. L'importante è che i rapporti e gli equilibri, più o meno svantaggiosi per l'una o l'altra parte, non costituiscano un protettorato de facto, come rischiava d'essere prima della "rivolzione arancione".

Dunque, anche qui il problema, a lungo termine, è la democrazia in Russia. Solo con una Russia compiutamente democratica le ex repubbliche sovietiche potranno essere sicure di intrattenervi buoni rapporti di interdipendenza, e non di subalternità, che non mettano a rischio il loro assetto democratico.

1 comment:

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Ciao Federico:

Spero che tu sappia scusare l'off-topic. Da tempo volevo rivolgere una questione ai radicali della Rosa nel Pugno che, come Capezzone, sembrano innamorati di Zapatero. Com'è possibile questo? È una questione che me faccio come spagnolo e liberale. Forse non è adeguato fare questa questione nel tuo blog, ma chissà se puoi trasferirla a Capezzone.

Per mostrare chi sia Zapatero, tento di tradurre certe parole sue che lui scrisse nel prologo di un libro di Jordi Sevilla, attuale ministro nel governo di Zap. Dico tento perchè non è facile la traduzione. Eccola:

"Ideologia significa idea logica ma nella politica non ci sono delle idee logiche, ci sono delle idee sottoposte a dibattito che vengono accettate in un processo deliberativo, mai dalla evidenza di una diduzione logica"

"... se in politica la logica non serve cioè se nel dominio della organizzazione del vivere insieme non sono validi ne il metodo induttivo ne il metodo deduttivo, ma soltanto la discusione sulle diverse opzioni senza filo conduttore che orienti le premesse e gli obiettivi, dunque tutto è possibile e acettabile dato che non abbiamo principi, valori ed argomenti razionali che ci guidano nella resoluzione dei problemi".