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Wednesday, November 30, 2005

Non è che il modello danese ci mette a sedere?

Io Giavazzi lo capisco, poveraccio. Come fare a non farsi impallinare alla prima uscita i suoi cinque punti specifici di politica economica liberale in un mondo di statalisti? Probabilmente ha creduto di togliere un pretesto mettendo da parte «l'odioso liberismo americano» e prendendo invece come esempio un modello europeo, quello danese. A nulla è servito: il saggio ha indicato la luna... e quelli guardano il dito. Vi pare operazione onesta intellettualmente quella di sottolineare le evidenti differenze tra Italia e Danimarca, che Giavazzi avrà sicuramente a mente, per affossare la «luna» del suo discorso, cioè il licenziamento libero e tutti gli altri quattro punti?
«Ciascuno finge di non vedere e passa oltre la provocazione contenuta nell'editoriale di Giavazzi. Che non è infilare di forza l'abito della ricca Danimarca alla nostra povera Italia, ma segnalare l'accoglimento del principio più licenziamenti, più riassunzioni...»
Come tutti i paesi scandinavi si parla di pochi milioni di abitanti abituati a ben altra efficienza e senso civico. Premesso questo, Tito Boeri si è dimostrato il più ricettivo: pur spaventato dai tremendi costi del welfare danese, ha tentato comunque di declinare quel modello in Italia e ha individuato il problema vero di qualsiasi riforma:
«... vi sono costi politici da pagare nello spalmare le protezioni su tutti, rendendole meno vantaggiose per le categorie maggiormente rappresentate. E vi sono anche costi fiscali, perché costruire un moderno sistema di ammortizzatori sociali costa».
Già, i costi. Un sussidio di disoccupazione che garantisce tre quarti del salario precedente anche tre anni dopo aver perso il lavoro (il 90% per quattro anni, secondo il Riformista) deve costare parecchio. Pressione fiscale al 60% e spesa per il welfare 7 volte la nostra. Pare inoltre che il modello danese abbia portato in vent'anni a un milione di persone in età lavorativa che vivono di sussidi pubblici, il 20% della popolazione. Il 61% degli adulti vive di trasferimenti o è occupato nel settore pubblico (e l'Istituto Bruno Leoni ha recentemente pubblicato un focus che demolisce il "glorioso" modello svedese). Proviamo a immaginare cosa accadrebbe in Italia. Che goduria, per tre o quattro anni con quasi tutto l'ultimo stipendio. E chi ci torna a lavoro? Vi vedo, tutti già seduti sulle vostre sdraio.

Meglio lasciar stare modelli che comunque li rigiri vengono impallinati e andare al sodo dell'"agenda Giavazzi". Cremaschi e Ferrero di Rifondazione, Bersani e Visco dei Ds, opporranno il loro corpo, mentre attendiamo con qualche speranza Treu e un Prodi che non si rimangi le parole di domenica. Almeno, prova a rilanciare Di vico, «la provocazione di Giavazzi ha animato il dibattito, mentre le bozze programmatiche fin qui uscite non hanno acceso alcuna passione». Il guaio è che «un pezzo consistente del centrosinistra finisce per indulgere al programmismo. Il programma per loro è la sommatoria delle domande sociali e la forma lessicale che prende è l'ossimoro... il tentativo di conciliare l'inconciliabile». E «guai a produrre indicazioni precise di governo per i primi cento giorni, guai a fare i conti con le contraddizioni in seno al popolo».

Da parte nostra pieno appoggio alla "linea Giavazzi", con qualche integrazione: 1) piena libertà di licenziamento (e quindi di assunzione) per le aziende sotto i cento dipendenti e nell'impiego pubblico; 2) sussidi di disoccupazione più generosi e per tutti, ma sul livello della mera sussistenza, legati alla formazione e con decadenza immediata alla prima occasione lavorativa; 3) scioperi politici perseguibili come violazioni contrattuali; 4) innalzamento dell'età minima per la pensione a 68 anni; 5) abolizione del sostituto d'imposta e delle trattenute sindacali; 6) abolizione del valore legale della laurea e degli ordini professionali; 7) abolizione dei contratti collettivi nazionali.

Il sistema centralizzato e concertativo delle relazioni industriali, dominato da un gruppo ristretto di sindacati e padronati non è più sostenibile al di fuori di quelle protezioni cadute con la competizione globale. Grazie al contratto collettivo nazionale i sindacati sono di fatto dei fornitori in monopolio di manodopera a particolari industrie. Si tratta della più grave forma di rigidità del mercato del lavoro, in violazione della basilare legge della domanda e dell'offerta. Sostenere i redditi più bassi è un compito del sistema fiscale e del welfare, non di un rigido sistema di stipendi regolati dall'alto.

5 comments:

Anonymous said...

di sicuro giavazzi non vuole quel sistema di relazioni industriali. Vuole quel tipo di mercato del lavoro. COn alcuni distinguo, io sono con lui, Basterebbe abolire i sussidi alle imprese per finanziare un sistema del genere, ciao, aa.

Anonymous said...

OT: non riesco a capire perchè si sia creato su Tocque-Ville un tale casino per le parole di Rocca.
Chi ne sa di più?
Saluti

Anonymous said...

Che goduria, per tre o quattro anni con quasi tutto l'ultimo stipendio. E chi ci torna a lavoro? Vi vedo, tutti già seduti sulle vostre sdraio.

JimMomo, non so in Danimarca, ma io ho vissuto e lavorato nel cantone Zurigo e c'è un sistema simile, solo che se rifiuti un lavoro "adeguato" alla tua professionalità, ti sospendono il sussidio, mi pare logico. Piuttosto, in Italia vedo un aumento del sommerso (persone che campano col sussidio e fanno lavoretti in nero...)
watchdogs

Anonymous said...

ho "lanciato" una piccolissima iniziativa relativa ai Pacs...se ti interessa...vieni al mio blog...ciao

JimMomo said...

Caro Phastidio, sulla fiducia le tue obiezioni sono accolte :-))

Da non economista c'ho provato...

ciao