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Monday, November 07, 2005

La sinistra che torna sulla terra?

Nell'intervista di domenica a La Stampa Piero Fassino dice il dovuto. Sorprende, certo, che dopo anni all'opposizione in cui la sinistra decide sempre di dar sfogo alle sue pulsioni più irresponsabili, vedendo la prospettiva di tornare al governo, oggi i vari leader cerchino di ritornare sulla terra.
«Se vinceremo collaboreremo lealmente con Bush. E' stato scelto dagli elettori. Chi governa l'Italia fa i conti con il presidente americano che c'è... Tutti a casa è un'espressione che non mi piace perché dà l'idea di rinunciare ad assumersi le proprie responsabilità... Il ritiro delle nostre truppe deve essere deciso alla luce di un ragionamento politico: il 2005 non è stato solo un anno di attentati».
L'elezione dell'assemblea costituente; la nomina di un governo sovrano e di un curdo a presidente della Repubblica; l'approvazione della costituzione; presto l'elezione di un nuovo Parlamento. Fassino sembra persino parlare di ritiro delle truppe italiane dall'Iraq a missione compiuta e non prima.
«Sono tutti atti che possono consentire nel 2006 un pieno trasferimento di poteri alle nuove autorità irachene e quindi anche il rientro delle truppe straniere... Insieme agli iracheni, agli americani e agli inglesi discuteremo un calendario di ritiro utile alla transizione irachena... anche noi vogliamo che l'Iraq non torni indietro».
Se quindi passo dopo passo i vecchi errori sembrano essere riconosciuti, i nuovi già si affacciano. Sull'Iran bisogna evitare di «precipitarsi alle sanzioni senza un negoziato vero», occorre «dialogare» e così via. Si capirà con il solito ritardo, e non prima di aver ripetuto gli stessi errori commessi con Saddam, che con il regime dei mullah, per la sua stessa natura, non c'è negoziato e dialogo in grado di dare frutti e che l'unica via per evitare una guerra è la destabilizzazione del regime e la sua caduta.

Restare in Iraq è il messaggio contenuto nella sua «lettera agli italiani» pubblicata oggi dal quotidiano La Stampa. Il messaggio viene rilanciato dagli schermi del Tg1: per noi iracheni il vostro ritiro sarebbe una catastrofe, ripete il presidente iracheno in visita in Italia, il leader curdo Jalal Talabani, quello contrario alla pena di morte. Il ritiro del contingente italiano «dovrebbe essere deciso insieme al governo iracheno». «La vostra presenza, seppur ridotta di numero, è molto importante per il morale degli iracheni, lo tiene alto. Vogliamo vedere in Iraq non solo gli americani e gli inglesi, ma anche gli altri europei. E' importante per noi ma anche per loro».

Le attività terroristiche «stanno diminuendo molto» e «c'è sempre meno boicotaggio».
«Quattro mesi fa c'erano dai dieci ai quindici attentati con autobomba al giorno, oggi solo da uno a tre. E, ancora quattro mesi fa molte città erano sotto il controllo dei terroristi. Oggi non ce ne sono più... La maggioranza degli iracheni ha partecipato al processo democratico andando alle urne per il referendum e per le elezioni. Ed ha partecipato anche chi ha detto no».
Incontrando oggi il presidente della Repubblica Ciampi e del Senato Pera, Talabani ha colto l'occasione per commemorare ancora i caduti di Nassiriya definendoli «tutti eroi». Domani incontrerà Berlusconi, il ministro degli Esteri Fini e il presidente della Camera Casini. Giovedì, infine, l'immancabile udienza in Vaticano, da Papa Ratzinger.

Nell'altro campo dopo la politica estera dove la sinistra è più retriva, cioè nelle riforme economiche, Luca Ricolfi - il primo studioso a mettere in guardia la sinistra dal «complesso dei migliori» che l'affligge - scrive che i «congelatori» del sistema, i difensori dello status quo «garante di privilegi, rendite di posizione, vantaggi corporativi», spuntano fuori come funghi lungo tutto il perimetro del sistema politico. Sono anche al centro, nei partiti "moderati", e non solo alle ali estreme degli schieramenti. Guarda caso i riformatori coincidono con le sparute componenti liberali nelle due coalizioni. Chissà se qualcuno è in ascolto.

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