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Tuesday, November 15, 2005

Il multilateralismo che mi piace

Condoleezza Rice incontra gli attivisti egiziani«Sangue e terrore fanno più notizia del costruire passo dopo passo strumenti di democrazia». E' il caso, commenta Emma Bonino a Radio Radicale, del passo compiuto dal Forum per il Futuro, riunito sabato scorso a Manama, capitale del Bahrein. Dunque, non sempre e solo cattive notizie da "questi islamici", di cui si lamentava con la Bonino uno sconsolato passeggero italiano giorni fa su un volo per Kiev. Nel piccolo Bahrein l'iniziativa multilateralista dell'amministrazione Bush ha cominciato a dare i suoi primi frutti, dando prova che un multilateralismo alternativo, capace di provocare cambiamenti, è possibile e preferibile a un multilateralismo che perpetua uno status quo di tirannia di cui diviene complice. E sembra parlare ai Soloni che da anni ci spiegano che la democrazia non si esporta con le armi. Ma sono in ascolto?

Il Forum – colonna portante dell'Iniziativa per il Medio Oriente allargato e il Nord Africa che coinvolge i paesi del G8 e della regione – offre ai governi, alla società civile e al settore privato, l'occasione di discutere le riforme politiche ed economiche necessarie a promuovere libertà, democrazia e crescita economica nel mondo arabo e musulmano. L'Italia, con Yemen e Turchia, guida il Democracy Assistance Dialogue, progetto rivolto agli attori della società civile. Il vuoto lasciato a Manama dall'inspiegabile assenza del ministro degli Esteri Fini viene riempito dal ruolo di primo piano di Emma Bonino, con il suo ministero degli Esteri ombra Non c'è Pace senza Giustizia. La metodologia di far sedere allo stesso tavolo attori governativi e non, inaugurata con la conferenza di Sana'a, nello Yemen, e adottata dal Forum già alla sua prima riunione in Marocco, si è dimostrata efficace.

Non deve trarre in inganno che il summit si sia concluso senza una risoluzione finale sui principi. Anzi, per una volta i governi hanno sacrificato l’unanimismo spesso ipocrita delle dichiarazioni di facciata per non annacquare il significato dei risultati concreti centrati: la nascita di due nuove istituzioni per la rivoluzione democratica in Medio Oriente. Politica, non eserciti.

Innanzitutto la "Fondazione per il Futuro", un ente internazionale no-profit che svolgerà i compiti di una vera e propria fondazione per la democrazia: fornire «assistenza politica, tecnica e finanziaria» ad organizzazioni non governative, università, associazioni professionali e altri attori della società civile. La Fondazione, che avrà sede in Medio Oriente, sarà diretta da un board internazionale presieduto da una personalità del mondo arabo e non vi farà parte alcun rappresentante governativo. Lo stanziamento iniziale prevede 54 milioni di dollari forniti da paesi dell'area (Bahrein, Giordania, Turchia, Marocco, Yemen e Qatar) e occidentali (Commissione europea, Danimarca, Grecia, Italia, Ungheria, Olanda, Spagna, Svizzera, Stati Uniti e Gran Bretagna). Entro la fine dell'anno la Giordania ospiterà una conferenza operativa per stabilire i criteri di funzionamento della Fondazione, mentre il Qatar si è già offerto di ospitarne la sede.

Ma l'effetto Ucraina e Georgia si aggira come uno spettro nei palazzi del potere della regione. Il principale dei paesi arabi cosiddetti "moderati", l'Egitto di Mubarak, ha fatto saltare dopo intense trattative la risoluzione finale che impegnava i governi nelle riforme democratiche. L'Egitto chiedeva che i soldi del nuovo fondo fossero destinati solo ai gruppi pro-democracy «legalmente registrati» dai rispettivi governi arabi. Una richiesta inaccettabile, che di fatto avrebbe posto sotto il controllo dei regimi finanziamenti e organizzazioni, snaturando il senso della dichiarazione e gli obiettivi della Fondazione. La notizia vera è che sebbene Arabia Saudita e Oman inizialmente avessero sposato le posizioni egiziane, alla fine gli Stati Uniti e gli stessi paesi arabi hanno preferito accantonare la dichiarazione formale (Leggi).

Una società civile forte, lo sviluppo economico e una crescente classe media sono i tre presupposti per il successo della democrazia in Medio Oriente. Per questo è stato istituito anche il "Fondo per il Futuro", a sostegno soprattutto delle piccole e medie imprese della regione, con l'obiettivo di stimolare la creazione di buoni posti di lavoro che permetteranno, tra l'altro, a una classe media e alla società civile di rafforzarsi e di consolidarsi. Fra i 50 e 100 milioni di giovani arabi entreranno nel mercato del lavoro fra i prossimi 5/10 anni. Sarà cruciale il "come" vi entreranno. L'impegno finanziario iniziale da parte di paesi occidentali, mediorientali e nordafricani, è di 100 milioni di dollari. La quota più consistente è a carico degli Stati Uniti (50 milioni). Egitto e Marocco contribuiranno con 20 milioni ciascuno.

Il Fondo, assicura il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, «abbraccerà tutti gli stati che scelgono la via delle riforme e della libertà economica». La via scelta è quella di legare la cooperazione e il sostegno finanziario al rispetto dei diritti umani e alle riforme politiche ed economiche. Il modello è quello degli accordi di Helsinki del 1975. Il più recente rapporto sullo Sviluppo Umano del mondo arabo, preparato da un gruppo di studiosi arabi sotto gli auspici del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, è il terzo di una serie di rapporti che individua nelle riforme politiche la prima necessità della regione, criticando in particolare l'assenza di libertà individuale e di buon governo.

Sia la Fondazione che il Fondo per il Futuro rappresentano i «grandi sforzi multilaterali» invocati dai popoli del Medio Oriente, e «riflettono un nuovo consenso internazionale sul fatto che la riforma economica e democratica è essenziale per questa regione...». Un obiettivo «una volta ritenuto impossibile, oggi comincia a sembrare inevitabile». L'aspirazione alla libertà, alla democrazia e ai diritti umani, ha detto la Rice intervenendo al summit, «trascende tutte le differenze di cultura, razza, religione...».

I democratici arabi «esistono», ma servono strutture permanenti per il loro sostegno effettivo e la loro formazione, spiegava alcuni giorni fa Emma Bonino. Una volta fuori dal carcere, come si organizza la libertà? Come si fa una campagna elettorale? I problemi possono apparire banali, ma i governi democratici devono rispondere con un impegno concreto, permanente e istituzionalizzato. Negli anni '80, per i dissidenti dell'Est, ricorda la Bonino, era uguale, e «se ne è reso conto prima Reagan di noi, tanto per essere chiari». Insomma, la dottrina Sharansky sembra aver trovato i suoi nuovi esecutori. «Per difficile e contraddittorio che sia, promuovere società più aperte è l'unica politica sensata che possiamo tentare» in Medio Oriente. «Tutto questo interessa a qualcuno nella cosiddetta "politica ufficiale" italiana?».

P.S. Meglio di me Christian Rocca, su Il Foglio:
«Quando Bush esporta la democrazia pacificamente, i paesi "arabi moderati", la sinistra italiana e anche Gianfranco Fini latitano»

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