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Thursday, November 17, 2005

Il materialismo dei fan del dolore

A rivelare per quello che è il bieco pregiudizio che si annida nell'argomento principe usato contro la RU486, quello che la pillola «rende meno drammatico l'aborto, lo banalizza, lo fa scivolare via senza turbare troppo la coscienza», è Claudia Mancina, oggi su il Riformista: «Si vuol dire che il tormento della coscienza è commisurato al male del corpo? O forse invece si vuol dire che lo scandalo dell'aborto deve essere pagato col dolore fisico, l'umiliazione, i disagi della degenza ospedaliera?»
Ragionare come se fosse il dolore fisico che si prova a dimostrare la consapevolezza e la moralità di una scelta è indice di puro materialismo. La Mancina risponde a tono:
«Già da tempo le tecniche adottate per l'interruzione di gravidanza tendono ad essere meno dolorose e invasive: la pillola RU 486 è un altro passo avanti in questa direzione. Non risulta che il ricorso all'aborto sia "più facile" o "meno draminatico". Questi discorsi hanno un doppio fondo, che è sempre presente quando si discute di questioni attinenti la maternità: l'idea che l'aborto sia una scelta amorale, compiuta alla leggera, quasi per capriccio; che in fondo, come si pensava e si scriveva fino a pochi decenni fa, le donne non abbiano moralità ma debbano essere sorvegliate dalla legge. E invece la decisione di interrompere una gravidanza è una decisione che puo essere considerata sbagliata, da chi ha una certa idea dei diritti dell'embrione o feto, ma mai amorale; perché è precisamente un esercizio di moralità...»

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