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Tuesday, October 11, 2005

La libertà sulla propria vita, anche nel suo finire

Magistrale intervento di Claudia Mancina su il Riformista, anche parzialmente in disaccordo con il suo giornale, sul tema del testamento biologico:
«Se per suicidio intendiamo la scelta volontaria di abbandonare la vita, per qualunque ragione, e di darsi liberamente la morte, allora è evidente che non di questo si tratta quando si tratta di rifiutare trattamenti medici. Nel primo caso, infatti, si desidera e si decide la propria morte, una morte che non è altrimenti presente. Nel secondo caso la morte è già lì, è incombente, e ciò che si decide è solo il tempo e il modo; ciò che si desidera non è lasciare la vita, ma esercitare un controllo sulle circostanze della morte, allo scopo di salvare, per quanto possibile, la propria dignità umana nella fase finale della vita. Questa differenza dovrebbe bastare per evitare di imbarcarsi, a proposito del «testamento biologico», in una discussione sull'ammissibilità morale del suicidio; ammissibilità che è peraltro acquisita dalla tradizione occidentale moderna, a partire da Montesquieu e da Hume, ed è oggi asserita da qualunque (bio)etica laica».
La vera discussione dovrebbe riguardare i casi in cui un testamento biologico non esiste, ma mettere in questione, come fa il Comitato Etico, la volontà espressa dal paziente in modo formale e consapevole «è veramente inaccettabile». Dopo tutte le belle parole e le considerazioni che si possono fare su quanto sia bello sperare e vivere, non abbandonare chi si ama, «in ultima analisi giudice della sua vita è l'individuo». Se Locke, a fondamento della sua teoria della tolleranza, diceva che ciascuno è responsabile della salvezza della propria anima, figuriamoci se non lo dovrebbe essere del proprio corpo.

La disponibilità della propria vita non è solo un diritto individuale, ma anche un dato di fatto incontestabile. Significa che non dovrebbe essere soggetta «al comandamento di un soggetto estraneo». Al contrario, siccome Dio ha i suoi rappresentanti in terra e la società, o lo Stato, sono entità puramente astratte nelle quali non c'è piena realizzazione dell'eticità e della ragione, sancire l'indisponibilità della propria vita significherebbe affidarla comunque nelle mani di altri individui.

Dei comitati etici avevo già parlato qui.

2 comments:

Anonymous said...

Ma è sul "darsi" o sul "farsi dare" la morte da un soggetto esterno che si gioca la questione? la contrapposizione tra interno ed esterno si rivela sempre più un espediente retorico, e nemmeno di gran caratura...

Anonymous said...

sono assolutamente d'accordo con te...
www.camelotdestraideale.it