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Tuesday, September 20, 2005

Quelli dello Sdi ci sono o ci fanno?/3

Dobbiamo concludere che Enrico Boselli ci è. Nell'intervista di oggi a la Repubblica inciampa più volte. Due affermazioni semplicemente non esatte. Affermare che «... in primo luogo, in Germania ha vinto la socialdemocrazia, cioè SPD e Verdi...» e che quella di Schröder sia stata «una riforma dello stato sociale rigorosa, netta, dura» non regge alla constatazione dei fatti. Stando ai numeri la CDU ha la maggioranza relativa e tre seggi in più, quindi secondo le consuetudini tedesche le dovrebbe spettare la cancelleria. Certo, lo scenario politico è complesso e neanche questo si può affermare in modo univoco, ma Schröder non può cantare vittoria più di quanto può fare la CDU, il mandato degli elettori non ce l'ha.

Il voto dei cittadini tedeschi non è che il frutto di una campagna giocata sulle paure degli elettori. Invece di chiedere un forte e preciso mandato riformista, Schröder ha colto due spettacolari rimonte a colpi di antiamericanismo e antiliberismo. Nell'arco di due legislature ne sono scaturite riforme timide e insufficienti, sotto lo scacco dei sindacati e dei lander orientali.

Lo scivolone più grave però avviene quando Boselli, nella fretta di incoronare Schröder re della socialdemocrazia europea, astro vivente cui i socialisti riformisti dovrebbero guardare seguendone gli esempi, si scorda che il cancelliere, fregandosene dell'unità della sinistra tedesca, si è rifiutato di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. Al contrario del centrosinistra italiano guidato da Prodi, Schröder una chiara scelta riformista l'ha fatta, anche se i frutti sono ancora poveri.

Così, quando l'intervistatrice ha osservato che «la SPD ha escluso un patto con la Linke» e chiesto se anche il centrosinistra intendesse «ridimensionare» il peso della sinistra massimalista, Boselli ha risposto che "per carità", qui Schröder non è da esempio, «noi dello SDI non abbiamo mai considerato marginali le sinistre radicali. Il problema non è quanto conta la sinistra radicale, ma è che la guida della coalizione deve essere improntata a una sfida riformista, la stessa che ha fatto Schröder». Ennò, è la cosa opposta di quella fatta da Schröder.

Molto meglio Gianni De Michelis su l'Unità, che da Schröder coglie la lezione più utile ai socialisti: «Il successo di Schröder ci aiuta», dice, ma proprio per il motivo disconosciuto da Boselli. Aiuta, «perché fa capire che si governa facendo scelte coraggiose, rifiutando l'alleanza con le componenti estremiste e massimaliste. Il contrario di quel che fa Prodi». Un concetto che De Michelis ribadisce, quasi a far intendere che solo in un centrosinistra non più alleato di Bertinotti ci sarebbe spazio per il Nuovo Psi e l'unità socialista.
«Ci pare che l'aggiunta dei radicali sia assolutamente coerente, ci aiuta a rendere più evidenti i contenuti. Il progetto deve apparire forte, per questo non basta dire che abbiamo fatto una scelta di campo. Noi questo campo lo vogliamo arare profondamente e cambiarlo. Ripeto, ci aiuta l'esempio tedesco, perché apparirà chiara la necessità di prendere le distanze dal massimalismo alla Lafontaine».
Necessità che così chiara non deve apparire a Boselli, mentre nell'intervista di oggi al Corriere della Sera lo stesso Pannella afferma:
«Uno scontro tra sinistra liberale e sinistra neocomunista è necessario e salutare... La politica di Prodi e quella di Bertinotti sembrano le stesse della Confindustria: protezionismo e cassa integrazione, a spese di cittadini e disoccupati».
«Prodi dovrebbe scaricare Bertinotti e vincere senza di lui, cosa per niente impossibile. Il problema non è vincere le elezioni ma governare il paese», conclude De Michelis, che sull'Avanti!, ma forse è solo tatticismo, sembra più aperto all'ipotesi che il Nuovo Psi lasci Berlusconi, mostrandosi capace di andare oltre alla patetica questione dell'unità socialista:
«Il problema non è, come dice Bobo Craxi in modo semplicistico, il cambio di campo, ma il modo in cui noi affrontiamo la questione dell'unità socialista e la questione di questa più vasta unità dei socialisti e dei Radicali, cioè di quell'area che chiamiamo laico-riformista. C'è un problema di autonomia e di identità, e mi fa piacere che mentre Bobo Craxi non lo coglie, Capezzone lo coglie».
Il quale Daniele Capezzone:
«Ricordo ai compagni socialisti e agli amici laici e liberali che dobbiamo puntare a un fatto politico completamente nuovo. La questione dell'unità socialista rischia di incartarsi se affrontata con la testa rivolta all'indietro e con solo la speranza di riunire le famiglie socialiste divise».

1 comment:

Anonymous said...

Il discorso di De Michelis avrebbe senso soltanto se fosse già stata approvata la riforma in senso proporzionale della legge elettorale, e se nel nostro paese all'opposizione ci fossero tre partiti e non sette o otto.