Pagine

Tuesday, February 22, 2005

Bush in Europa/L'agenda Vladimir

Bush (s)piega a Putin...
«Il futuro della Russia è all'interno della famiglia europea e della comunità transatlantica. L'America sostiene la membership della Russia nel WTO... ma per fare progressi come Nazione europea, il governo russo deve rinnovare l'impegno verso la democrazia e lo stato di diritto. Sappiamo che la riforma non avviene in una notte. Dobbiamo sempre, tuttavia, ricordare alla Russia che la nostra alleanza si fonda su una libera stampa, un'opposizione vitale, la condivisione del potere, e lo stato di diritto - e gli Stati Uniti e tutti i Paesi europei dovrebbero porre la riforma democratica al cuore del loro dialogo con la Russia».
Il presidente americano George W. Bush ha pronunciato queste frasi ieri a Bruxelles, dinanzi ai suoi alleati europei, e incontrerà il presidente russo giovedì a Bratislava.

«Se il presupposto al dialogo è la messa sotto accusa della nostra democrazia, a Bratislava il dialogo non ci sarà». Questa la reazione irritata di Putin secondo fonti russe riprese da la Repubblica. Queste prime schermaglie fanno ipotizzare che mentre Bush potrebbe accontentarsi di queste prime parole, non ritornando sull'argomento democrazia in Russia giovedì, almeno non pubblicamente, Putin si prepara a reagire e chiederà a Bush - anticipa una fonte - di non intromettersi nelle vicende interne alla Russia, di non occuparsi del caso Yukos, di non proseguire sulla strade delle rivoluzioni democratiche finanziando l'esportazione dei casi georgiani e ucraini in Moldavia, Bieolorussia e nell'Asia Centrale.

L'orso è tornato è il titolo dell'analisi di Ilan Berman, su National Review, che fa riferimento alla nuova politica "aggressiva" del Cremlino in Medio Oriente. Sotto la presidenza Putin, soprattutto nell'ultimo anno, il Cremlino ha moltiplicato gli sforzi per ristabilire un proprio ruolo regionale in Medio Oriente a spese della strategia americana. E ovviamente non nella direzione della stabilizzazione democratica, anzi dando ossigeno ai regimi nel mirino di Washington.

Diplomazia "attiva" in Siria (cooperazione e sostegno economico per riequilibrare la debolezza del regime di Assad nella regione), in Palestina (ripresa del ruolo di mediazione), Arabia Saudita (vendita di armi) e Iran (legittimazione internazionale e aiuto per il nucleare). I legami tra Mosca e Teheran si stanno rafforzando. Alla base della cooperazione nucleare russo-iraniana, c'è il reattore di plutonio di 1000 megawatt nella città sudoccidentale di Bushehr, che è stato ufficialmente completato nell'ottobre 2004. I negoziati finali riguardano ora le forniture di carburante per l'impianto, che si teme possa produrre plutonio adatto per armamenti e il know-how necessario per accelerare la corsa iraniana all'atomica. I russi, tuttavia, sono andati oltre, alludendo pubblicamente all'intenzione di costruire una serie di reattori nucleari per la Repubblica islamica e difendendo Teheran dalle accuse di mirare a un uso militare delle tecnologie nucleari.

Proprio la Russia di Putin, fanno presente James M. Goldgeier e Michael McFaul sul Weekly Standard, costituisce il primo test per la dottrina della libertà esposta dal presidente Bush nel suo secondo discorso inaugurale. Le parole da sole non sono mai sufficienti, ma contano: «Gli autocrati nel mondo ascoltano e si innervosiscono. I democratici nel mondo ascoltano e traggono ispirazione». Putin ha conquistato il controllo delle televisioni, imprigionato o esiliato oppositori, rinazionalizzato le più grandi compagnie petrolifere del Paese, abolito l'elezione dei governatori, e minacciato i suoi vicini. Nell'incontro bilaterale con Putin a Bratislava, se Bush fallisse nel chiedere conto di tutto questo a Putin, minerebbe la credibilità della sua dottrina, che pone la libertà al centro della politica estera americana, e dei principi a cui si ispira. E dire di aver parlato in privato di queste cose con Putin non sarà sufficiente agli occhi delle opinioni pubbliche.

D'altra parte, quando si hanno così le "mani in pasta" in Medio Oriente, enfatizzare la situazione interna russa potrebbe danneggiare altre importanti priorità nei rapporti con Mosca: la recente massiccia penetrazione diplomatica in Medio Oriente, di cui la cooperazione con l'Iran sul nucleare è solo il più clamoroso esempio. Nonostante le preoccupazioni di Washington, Putin non rinuncerà a concludere a breve con gli iraniani e non si asterrà dal proposito di vendere armi alla Siria.

Durante il suo primo mandato i consiglieri "realisti" di Bush consideravano le relazioni con la Russia troppo importanti per la guerra al terrorismo da poter discutere con il presidente russo anche della democrazia nel suo Paese. E' ora di ragionare diversamente, osservano i due neocon:
«Solo una Russia democratica sarà un partner credibile per i policymakers americani e gli affari. Solo una Russia democratica sarà in grado di edificare uno Stato legittimo e capace di combattere il terrorismo sul suolo russo e ovunque contribuire alla guerra globale contro il terrorismo. Solo una Russia democratica cesserà di minacciare le giovani democrazie a lei vicine come l'Ucraina e la Georgia».
Il presidente americano dovrà quindi ribadire anche a Putin il suo impegno per la libertà, o avrà dimostrato che le sue parole non contano. I passi indietro compiuti dalla democrazia in Russia sono in controtendenza con il processo iniziato in Europa a partire dal Portogallo nel 1974. Si tratta dell'unico grande paese in cui si è registrata una tale involuzione autoritaria durante la presidenza Bush. Questo fatto non può essere ignorato e a Bratislava va fatto presente.

Campagne bipartisan. Di una campagna bipartisan sulla democrazia in Russia, in vista dell'incontro tra Bush e Putin di giovedì a Bratislavia, in Slovacchia, ha scritto oggi Christian Rocca su Il Foglio. Due iniziative che sembrano già aver avuto «effetto» sul presidente americano. La prima nasce degli ambienti di Freedom House ed esorta il ritorno al pluralismo politico e dell'informazione in Russia, denunciando non solo l'involuzione autoritaria interna, ma anche le minacce ai Paesi vicini.
«Le chiediamo di sfidare pubblicamente il corso autoritario del presidente Putin. Le chiediamo di fare dei diritti umani, delle pratiche democratiche e dello Stato di diritto gli elementi essenziali del dialogo con Mosca e la precondizione per il rafforzamento dei legami bilaterali». Firmatari bipartisan: i neocon Max Boot, James Woolsey (ex capo della Cia, oggi presidente di Freedom House), Michael Ledeen, Joshua Muravchik, i sorosiani della Democracy Coalition, Zbigniew Brzezinski, liberal come Timothy Garton Ash e Ronald Asmus, conservatori come Newt Gingrich, due italiani, i radicali Daniele Capezzone e Matteo Mecacci.
Contemporaneamente i senatori John McCain, repubblicano, e Joe Lieberman, democratico, hanno presentato una risoluzione al Senato con cui chiedono al G8 di sospendere la partecipazione della Russia, proprio a causa della sua involuzione autoritaria. Pressioni verso l'amministrazione, al cui interno si confrontano due linee, una morbida e una più radicale nei confronti di Putin, sono giunte anche dai senatori Biden, democratico, e Lugar, repubblicano.

Democracy in Russia è un'analisi a firma Bruce P. Jackson e pubblicata sul Weekly Standard basata su una testimonianza fornita di fronte alla Commissione Affari Esteri del Senato americano.

No comments: