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Tuesday, January 25, 2005

Corriere Standard

La «fiducia nel potere della libertà» è un merito che al presidente Bush (e a Blair) va riconosciuto

Mi piace questo Corriere della Sera, che da sinistra mette libertà e democrazia al centro delle sue analisi di politica estera. Oggi l'editoriale di Angelo Panebianco rappresenta una di quelle rare occasioni (Il Foglio a parte) in cui la stampa italiana spiega con onestà la natura della visione del presidente Bush - la cui politica estera non è stata sequestrata da un manipolo di golpisti, ma rientra in una delle correnti di pensiero storiche, e nobili, dell'America, che pur con delle precisazioni potremmo definire wilsonismo.

Un altro merito di Panebianco è quello di riconoscere ai radicali di aver per primi, e finora da soli, sostenuto l'idea di un'Alleanza delle Democrazie come la prima istituzione di un nuovo multilateralismo, al quale si stanno convertendo sia l'amministrazione Bush sia i democratici più ragionevoli, di area clintoniana. Ai radicali spetta il compito di trainare la politica italiana verso tali prospettive che possono rilanciare i rapporti transatlantici.

Questa visione - la fine di tutte le tirannie e la promozione della democrazia nel mondo - corrisponde a un ideale condiviso, in America, anche da molti politicamente distanti dal presidente repubblicano. «Nell'articolo pubblicato ieri dal Corriere, lo storico Michael Ignatieff la ritiene una "buona idea"», ricorda Panebianco. Più democrazie nel mondo, vuol dire più sicurezza, più libertà vuol dire più sviluppo. Democrazia e libertà sono quindi le ricette contro guerra e povertà.

L'Europa invece sposa l'approccio "realista": «Meglio sarebbe rifarsi a una antica sapienza diplomatica, che accetta il mondo così come è, e negozia anche con le tirannie per limitare i danni». Per due motivi: ha un diverso modo di intendere la libertà e non ha mai pensato che esportarla attivamente fosse un suo interesse o una sua missione. Questo spiega perché, conclude Panebianco, «un'altra "buona idea", strettamente collegata, quella della "lega delle democrazie" (sostenuta da molti gruppi occidentali, fra i quali, in Italia, i radicali di Pannella) stenti ad affermarsi».

Il "Documento" pubblicato oggi dal Corriere (leggi tutto) è tratto dal libro "The Cause of Democracy", dell'ex dissidente sovietico e ministro israeliano Natan Sharansky. Un libro che Bush continua a tenere sul comodino e che probabilmente sarà alla base delle scelte di politica estera che farà nel suo secondo mandato. L'idea dell'autore non è lontana da quella dei neocons, ma più che di «esportazione della democrazia», si parla di «rimozione degli ostacoli che impediscono lo sviluppo di una società libera e democratica», del potere di attrazione dei diritti e delle libertà, partendo proprio dall'esperienza dei Paesi dell'Est europeo.
«Quanti negli Stati Uniti pensano che l'Unione Sovietica sia sull'orlo del collasso economico e sociale, pronta a precipitare alla prima lieve spinta, sono semplici sognatori, si ingannano».
Una frase di Arthur Schlesinger jr. che fu contraddetta dallo shock con cui il mondo apprese nel 1989 della caduta del muro di Berlino e dell'inatteso dissolvimento dell'Unione sovietica. Sharansky ci ricorda anche la tesi del dissidente Andrei Amalrik:
«Uno Stato costretto a destinare tanta parte delle proprie energie al controllo fisico e psicologico di milioni di persone non può sopravvivere all'infinito».
Tesi liquidata in Occidente da «miopi leader democratici», ma che a Mosca presero sul serio, sapendo che toccava «i nervi scoperti» del regime: «La più piccola scintilla di libertà avrebbe appiccato l'incendio all'intero sistema totalitario». Bastò la piccola breccia della glasnost a travolgere il potere.
«Come ha fatto un dissidente sovietico a vedere da solo quello che legioni di analisti e di policymaker in Occidente non vedevano? (...) Amalrik non era né meglio informato né più intelligente di chi non ha saputo prevedere il trapasso dell'Urss. È che diversamente da loro, capiva il potere grandioso della libertà.
(...)
Noi dissidenti eravamo certi che alla prima opportunità le masse si sarebbero prese la loro libertà: capivamo che paura e profondo desiderio di essere liberi non si escludono a vicenda. In questa situazione, la politica di accomodamento messa in atto da molti leader occidentali - indipendentemente dalle intenzioni - aveva l'effetto di rafforzare il regime sovietico».
A comprendere «la debolezza di uno Stato che nega la libertà ai propri cittadini» furono il senatore Henry Jackson e il presidente Ronald Reagan. La logica «era semplice»; in cambio della legittimazione, dei vantaggi economici, della tecnologia di cui i sovietici avevano bisogno, Reagan chiedeva che il regime cambiasse atteggiamento verso il popolo. Una rivoluzione in politica estera: prima legata alla condotta internazionale di un regime antagonista, poi legata alla sua condotta interna. Pressati dall'interno e dall'esterno per il rispetto degli impegni presi, cedettero, e una «scintilla» bruciò l'impero di fronte all'Occidente «ammutolito».

Oggi la «lezione sovietica» è completamente dimenticata in Europa.
«Anziché riporre la propria fiducia nel potere della libertà per trasformare rapidamente gli stati totalitari, sono di nuovo impazienti di arrivare alla coesistenza pacifica e alla distensione con i regimi dittatoriali».
"La questione non è la democrazia in Arabia Saudita. È la stabilità in Occidente", ci viene detto, ma «l'11 settembre 2001 abbiamo visto le conseguenze di quella stabilità».

La «fiducia nel potere della libertà» è un merito che al presidente Bush (e a Blair) va riconosciuto, ma gli «scettici della libertà» sono tornati e i loro argomenti sono tremendamente «familiari»:
«C'è una cosa che unisce tutte queste argomentazioni: la negazione che il potere della libertà trasformi il Medio Oriente. Io sono invece convinto che la libertà in qualsiasi luogo renderà il mondo più sicuro in ogni luogo. E sono convinto che le nazioni democratiche, guidate dagli Stati Uniti, abbiamo un ruolo cruciale da svolgere nell'estendere la libertà sul pianeta. Perseguendo politiche chiare e coerenti che legano le relazioni con i regimi non democratici al livello di libertà di cui godono i sudditi di quei regimi, il mondo libero può trasformare qualsiasi società sulla Terra, comprese quelle che dominano il paesaggio attuale del Medio Oriente. Così facendo, la tirannia può diventare, come la schiavitù, un male senza futuro».

2 comments:

Anonymous said...

la vuoi sapere una cosa? i tuoi post sono tanto belli' che ti passa la voglia di commentarli. :-)

JimMomo said...

Lo prendo per un complimento. Chi sei?