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Wednesday, June 30, 2004

Peter Mandelson è ottimista: «Con l'America discutiamo, ma dividersi è impensabile»

Mandelson parte dall'«angoscia da una parte e dall'altra dell'Atlantico circa il futuro delle relazioni transatlantiche». Stato d'animo «ben sintetizzato nell'ambiguo titolo del nuovo libro di Robert Gordon, della Bookings Istitution: Allies At War». Ma non è la prima volta che le relazioni transatlantiche sono in crisi. I «valori condivisi» e la realpolitik ci porteranno a sanare la frattura sull'Iraq. L'Europa però «deve essere all'altezza della sfida»: «Joseph Nye, l'eminente accademico di Harvard, ha scritto che l'America ha bisogno di riscoprire le virtù del potere soft. Sono d'accordo. Ma anche gli europei devono convincersi che la necessità del potere hard è, di tanto in tanto, inevitabile».
«Oggi abbiamo chiaramente tutti interesse a creare un Iraq stabile e democratico, indipendentemente da quale sia stata la nostra opinione sull'azione militare per rimuovere Saddam Hussein. Non siamo riusciti ad andare in Iraq tutti insieme: dovremmo almeno andarcene tutti insieme». Leggi tutto l'articolo
Corriere della Sera
Peter Mandelson, ex consigliere di Blair e presidente di Policy Network, ha collaborato al seminario della Fondazione Italianieuropei sulle relazioni transatlantiche, stasera a Roma.

In Istanbul Summit: An Alliance Waiting for November, sull'International Herald Tribune di ieri, Philip Gordon e Jeremy Shapiro commentano, dopo il vertice Nato in Turchia, gli esiti di un mese cruciale per l'Alleanza: con l'Europa che aspetta le elezioni americane di novembre per non avvantaggiare Bush.
Di qualche tempo fa sui rapporti transatlantici è la Letter to Europe di Philip Gordon: «If we don't find a new way to deal with each other soon, the damage to the most successful alliance in history could become permanent». Gordon teme una nuova epoca in cui i rapporti tra America ed Europa potrebbero essere basati su una confrontation piuttosto che sulla «cooperazione», non più una partnership, ma una reciproca «opposizione».

Le ridicole e penose intemperanze di Chirac

Inventa la formula del training militare «oltre le frontiere» irachene per minimizzare il coinvolgimento della Nato in Iraq ottenuto da Bush, rema contro il ritiro israeliano da Gaza lodando Arafat, Bush poteva starsene zitto invece di auspicare l'allargamento dell'Ue alla Turchia. Leggi qui: «Il problema per l'Europa è che questa strategia di Chirac poggia non su una grande potenza, ma su una nazione che ha perso rovinosamente il suo impero 43 anni fa, quindi oggi tenta arbitrariamente di fare sua, di piegare ai propri fini, la forza degli altri partner dell'Ue, con effetti peraltro stravaganti. Lo si è visto a Istanbul e proprio a proposito della Turchia e del suo ingresso nell'Ue. Fino a pochi mesi fa Chirac era schierato a favore dell'allargamento ad Ankara e sosteneva che "la Turchia per la sua storia e il suo presente fa già parte dell'Europa". Perché, come ha detto ieri il principale alleato europeo dell'Eliseo, il cancelliere Gerhard Schröder, "tutti quelli che pensano di avere una ragione per negare l'adesione della Turchia dovrebbero ripensarci, dovrebbero veramente ripensarci"». E' per fare un dispetto a Bush che ora Chirac capovolge la sua posizione e non vuole nell'Ue quella Turchia che sta diventando un importante pilastro strategico dei piani americani in Medio Oriente. Solo che in questo giochino ci va di mezzo l'Europa, che perderebbe una buona occasione per dimostrare di non essere un club religioso.
«... ricondurre alla ragione il gollismo a scoppio ritardato di una Francia incapace di proporre visioni alternative ma decisa a frenare le strategie altrui è un pedaggio che l'Europa deve pagare alla sua stessa storia».
Il Foglio
Che Chirac (con Schröder e Zapatero) tifi per Kerry è evidente da tempo. Ma anche se Bush dovesse perdere le elezioni la vecchia e imbelle Europa rimmarrà delusa da JFK.

Tuesday, June 29, 2004

Bush prenota un posto in Europa per la Turchia

E' solo l'ultimo, in ordine di tempo, dei discorsi di Bush sulla necessità della democrazia in Medio Oriente. Pronunciato proprio sul Bosforo, dove Europa e Asia si congiungono. All'Università di Galatasaray, prima di lasciare Istanbul, sede del vertice Nato.
«La libertà è il futuro del mondo arabo». I Paesi islamici «non debbono avere timore della democrazia», è il nuovo messaggio del presidente americano al mondo musulmano. Comprende le esitazioni, ma assicura che la democrazia è per tutti ed è il modo migliore anche per realizzare la società giusta che l'Islam predica: «In alcune parti del mondo, specialmente nel Medio Oriente, c'è preoccupazione verso la democrazia, spesso basata su equivoci. C'è gente nelle culture musulmane che identifica la democrazia con il peggio della cultura popolare occidentale e non vuole averci nulla a che fare. Posso assicurare loro che, quando parlo dei doni della libertà, non ho in mente video scollacciati e volgare commercialismo».
In qualcosa abbiamo sbagliato: «Dobbiamo rafforzare i legami di fiducia e buona volontà con i popoli del Medio Oriente riconoscendo responsabilità dell'occidente nella diffidenza del mondo arabo nei suoi confronti».
La Turchia è un esempio di Paese musulmano, laico e democratico, che ha trovato il suo posto «nella comunità delle democrazie». Ora spetta all'Unione europea, accettando l'adesione della Turchia, provare che «non è il club esclusivo di una sola religione».

E ora? Cosa sarà dell'Iraq?

Provano a vederci meglio, con occhio realistico, quelli dell'Heritage Foundation: il problema principe rimane la sicurezza. Gli Stati Uniti possono portare la libertà agli iracheni, ma non imporgli la democrazia. In fin dei conti, obiettivi più realistici e pragmatici servono meglio gli interessi nazionali americani.
Michael Ledeen invece rilancia, la rivoluzione non è ancora compiuta, occorre affrontare i mullah iraniani o tutto sarà vano.

Qualcuno la definì l'escalation infernale

Il Jerusalem Post raccoglie la cronaca della morte.
Grazie a mic

Arrivano i momenti in cui bisogna crescere, o si scompare/1

«Di Forza Italia non c'è che da prendere atto della sua permanente inesistenza. Un partito di plastica era e di plastica è rimasto: un partito cioè che non produce né insediamento sociale né organizzazione di interessi né personale politico perché essenzialmente non è un partito ma un puro e semplice seguito elettorale, un serbatoio di consenso politico allo stato puro che si aggrega in funzione di un solo obiettivo, anch'esso esclusivamente e puramente politico: impedire la vittoria del centrosinistra».
Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera

Monday, June 28, 2004

Uranio Connections. File da riaprire

Reportage del Financial Times. Funzionari di tre servizi segreti europei hanno rivelato che nel 1999 si sapeva che alcuni Paesi, tra cui l'Iraq, stavano cercando di acquisire uranio in Niger. Oltre all'Iraq, la Libia, l'Iran, la Cina e la Corea del Nord. Vi sarebbero prove che l'uranio del Niger sarebbe stato consegnato ad almeno due dei cinque paesi. Comunque, vi erano indizi sufficienti per concludere che il Niger era al centro di un'operazione internazionale per il contrabbando di uranio. Informazioni da fonti ritenute «affidabili». Come si vede, troppe pagine sono state chiuse in fretta. La storia completa.

C'è chi parla con i fatti



Da oggi, l'Iraq è di nuovo sovrano. Dura 13 mesi la "colonia" Usa. Ma in molti rimarranno sordi alla lezione dei fatti.

Friday, June 25, 2004

Il revival realista su Foreign Affairs

Sulla rivista del Council on Foreign Relations, due repubblicani, sostenitori dell'amministrazione Bush, riportano in auge la scuola realista kissingeriana nel dibattito all'interno dell'establishment su quale debba essere la politica estera repubblicana: prima la stabilità, poi - quando verrà - la democrazia. Più diplomazia, e guardarsi bene da pericolose ambizioni imperiali. L'America non è un impero, ma ci assomiglia, è un "iperpotenza" ed è bene che ne prenda atto e che si comporti come tale. E' una democrazia egemone, che con libero mercato e benessere riuscirà ancor meglio che con le armi (pronta comunque a usarle, in casi estremi).
  • La storia e l'iperpotenza è il contributo di Eliot Cohen, storico militare autore di "Supreme Command". Dissoltisi gli imperi, dopo la Prima, la Seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda, non torneranno. Gli Stati Uniti non sono dunque un Impero, ma sono ciò che nessun impero è stato. La supremazia militare americana sul resto del mondo è maggiore di quella di Roma ai suoi tempi, e di qualunque impero successivo. Nessuna potenza si ergerà a contraltare americano nei prossimi anni. Né l'Onu a diventerà il governo del mondo. Né, tanto meno, che l'America può si ritirarsi dalle sue responsabilità lasciando il mondo all'anarchia e al terrore. Ma poiché per Cohen resterà sempre valido il monito tucidideo della impossibile coesistenza tra democrazia e imperialismo, l'America non deve dimenticare le lezioni della storia: i leader di un paese egemone non potranno mai pensare di dominare l'intera agenda dei problemi mondiali; il destino di un paese egemone è di essere invidiato, sospettato e odiato da parte di nemici ed esclusi dal suo mix di forza e benessere. Bisogna evitare errori fatali, come unire il nemico. I leader devono essere educati e forgiati con le doti politiche e culturali necessarie per un'egemonia democratica.

  • Sette principi per una politica estera repubblicana, del senatore Chuck Hagel. Scontata la supremazia militare Usa, «ma mai da usare nella solitudine dei nostri alleati», 1) usare la forza economica per stringere accordi e coinvolgere nella rete del mercato, 2) marcia indietro sul no al Protocollo di Kyoto, 3) rilancio di Nato e Onu, 4) pazienza e fermezza nel perseguire il progetto "Grande medio oriente", 5) estensione e irrobustimento del Nafta all'intero continente americano e al Pacifico, 6) impegno nella lotta all'Aids e alla povertà, 7) raddopio delle energie nella diplomazia tradizionale (Europa, Russia, India e Cina non possono fare a meno della partnership americana). Aveva ragione Nixon: «La democrazia ha bisogno di tempo e conoscerà varianti diverse da paese a paese».
  • Il mondo «apolare». Uno scenario "medioevale"

    «Imperi in declino, revival religioso, anarchia incipiente, imminente ritirata nelle città fortificate», la «deglobalizzazione». Ma oggi sono praticamente infinite le possibilità di distruzione.
    «La prospettiva di un mondo apolare ci dovrebbe terrorizzare molto più di quanto terrorizzasse gli eredi di Carlo Magno. Se gli Stati Uniti rinunciano al ruolo di egemone globale, i suoi avversari non devono crearsi illusioni sul fatto che sta per aprirsi una nuova epoca di armonia multipolare. Non è affatto detto che l'alternativa alla unipolarità sia necessariamente la multipolarità. Potrebbe essere un vuoto globale di potere. Bisogna sapere che cosa si desidera».
    Niall Ferguson, Wall Street Journal

    «Sull'Iraq ho ripetutamente difeso il presidente Bush dalla sinistra»

    «Io non penso che siamo lì per il petrolio. Non siamo andati lì per ragioni imperiali o finanziarie. Siamo andati lì perché lui s'è convinto delle analisi di Wolfowitz e Cheney secondo cui gli iracheni sarebbero stati meglio, che avremmo potuto scuotere regimi autoritari del medio oriente e che avremmo usato il nostro potere per far crescere le possibilità di pace tra palestinesi israeliani. Lasciatemi essere chiaro su questo, dopo l'11 settembre chiunque fosse stato presidente avrebbe pensato: bin Laden ha trasformato tre aerei in armi di sterminio. Seduto lì, da presidente, vuoi prendere bin Laden, fare l'Afghanistan e tutto il resto. Ma avresti detto anche: la mia prima responsabilità ora è quella di fare tutto il possibile per essere certi che i terroristi non riescano ad avere armi chimiche o biologiche. Avrei dovuto fare questo. Ecco perché ho sostenuto questa cosa dell'Iraq».
    Solo che avrebbe concesso agli ispettori Onu il tempo di concludere il lavoro. Una differenza di approccio, ma spesso, «come in Bosnia e in Kosovo, ci conduce allo stesso posto». «Ho fatto anch'io cose in modo unilaterale». I neocon sono pazzi invasati? «Be', prima di tutto, penso che dopo l'11 settembre avessimo bisogno di un po' di zelo missionario».
    Bill Clinton a Time
    Il dossier dell'amministrazione Clinton contro Saddam
    Weekly Standard

    Le radici dell'odio

    Ci sono anche insegnanti e genitori sauditi che protestano contro la "cultura della morte" nelle scuole del regno.
    Memri

    Informazione. Non ci crediamo, ma ci piace così

    Sembra che «la faziosità nei media tira, rende, vende. La notizia piace di più se è smaccatamente di parte. Così almeno in America, secondo un rapporto dell'autorevole Pew Research Center. Lettori di giornali, telespettatori, naviganti in Internet non hanno una grande opinione di quel che gli viene servito, né molta stima di chi li "informa". (...) La grande maggioranza ritiene che i media "facciano le notizie, anziché riferirle", riassume Andrew Kohut del Pew. Il che non equivale a dire che le inventino, ma che la priorità è diversa dal fornire un'informazione "oggettiva" e neutra».
    «Comprano i giornali, zappano in tv, non in base a chi ritengono gliela "conti più giusta", a chi pensano fornisca un notiziario più veritiero ed equilibrato, fair and balanced, bensì in base alle proprie preferenze politiche. Come se alla notizia neutra preferissero una notizia di parte, con imprimatur fazioso, marchio ideologico, anziché di attendibilità, come se al fastidio di farsi dire qualcosa di nuovo o che rischia di disturbare le idee che si sono già fatte, preferissero la più rassicurante conferma di ciò di cui sono convinti».
    Siegmund Ginzberg, Il Foglio

    Più interessi, meno ipocrisie. Parigi trova il suo «mediocrate»

    E' Dassault, cognome mitico dell'aviazione francese.
    Giuliano Ferrara si chiede «cosa sia questo mitologico editore puro, privo di interessi estranei alla produzione di giornali e tv, visto che l'editoria, non solo quella moderna e multimediale ma anche quella antica, è un business nel mercato, e non si vede come i suoi proprietari possano purificarsi, se non per finzione ipocrita, dal rapporto con la politica, con la finanza, con i costi e i ricavi di un mestiere che non è contropotere ma potere tra i poteri. E forse ne concluderanno che, finito il tempo delle favole, anche i giornali che si dicono liberi sono soltanto semiliberi, e che la libertà non è un patto sindacale ma una complicata partita, mai chiusa una volta per tutte, tra persone che ragionano, soggetti che rischiano in proprio, un match che non finisce quasi mai in parità».

    Amato per tutte le stagioni

    E in tutte le stagioni, professore sì, ma vergognoso come politico.

    Thursday, June 24, 2004

    La inesorabile prova dei fatti

    Berlusconi «non ha capito che, una volta al governo, non poteva più funzionare l'antipolitica che aveva funzionato nel '94. Quell'esperienza era stata troppo breve perché gli si potesse chiedere conto dei risultati, e poi c'era stato il lungo periodo dell'opposizione, che ben si accorda con l'antipolitica. Ma dopo tre anni chi ti ha votato pretende fatti». «Ingiusto» dimenticare l'11 settembre e che in Italia è «complicatissimo agire», ma solo 4 esempi importanti:
  • «Come mai siamo ancora alle prese con la riforma delle pensioni (parlo ovviamente di una seria riforma, non di quella debole e annacquata ora in cantiere), e come mai non è stata fatta nel primo anno, quando la forza del governo era intatta?».

  • «Come mai non è stata fatta una seria riforma della giustizia? Quella in discussione, a mio avviso, assomiglia a una sentenza suicida: è velleitaria, non risolve i grandi nodi, non attua la separazione delle carriere».

  • E «la cosiddetta riforma costituzionale, ovvero una buona idea (il rafforzamento del premier) affogata in mezzo a molte sciocchezze (uno «pseudofederalismo confusionario»).

  • La "deburocratizzazione" non c'è stata, così come non c'è stato il ridimensionamento dei lacci e lacciuoli statalisti, e le corporazioni sono sempre fortissime. Succedeva anche nel centrosinistra, che però non pretendeva di fare la rivoluzione thatcheriana. E' la coalizione di centrodestra ad aver vinto alle politiche del 2001 sull'apertura al mercato e sulla riduzione del ruolo dello Stato».

  • Né ha giovato al governo la politica degli annunci, perché «un premier dotato di una maggioranza forte, come quella di Berlusconi, non deve fare annunci, ma annunciare le cose già fatte». E ora nella maggioranza «riemergono il vecchio linguaggio, le vecchie formule, le "verifiche" e gli "scambi": «Ma bisogna vedere che cosa si scambia. Un conto è dire: diamo alla Lega un federalismo accettabile, ragioniamo sui suoi costi e garantiamo al paese che siano accettabili: insomma, rendiamo "gradevole" e positiva per il paese questa concessione alla Lega. Altro è dire: facciamo il federalismo comunque».

    Gli amici dell'Ulivo. «Se da un punto di vista strettamente numerico il loro risultato non è cattivo, tenuto conto del fatto che è stato ottenuto in un sistema elettorale proporzionale, sono andati male da un punto di vista politico: non hanno intercettato i voti degli scontenti di Berlusconi e non sono riusciti ad arginare la sinistra massimalista. E il vero vincitore delle elezioni è Bertinotti». La Margherita ha perso consensi e, se Prodi sarà il prossimo candidato premier, rischia di essere ancora una volta un «professore senza partito», ma «non è affatto detto che sia proprio lui il futuro candidato». Il centrosinistra ha una sola possibilità di andare al governo, se l'avversario farà abbastanza errori da permetterglielo.

    «Temibile» il ritorno al proporzionale.
    Angelo Panebianco sul Foglio
    Insomma, comunque vada nel 2006, delle riforme neanche l'ombra.

    Wednesday, June 23, 2004

    Aria nuova per favore, presto!

    Lippi sarebbe la solita e banale scelta di continuità. Una generazione avanti rispetto al Trap, ma non abbastanza per una svolta radicale.
    Svolta anche in Rai per favore, con queste telecronache vili. Aldo Grasso sul Corriere, leggete qua: E l'armata della Rai dà fiato alla retorica.

    Sarei stato contento di pagare questo pranzo, ma era scritto..

    Cerchiamo di non fare i moralisti con danesi e svedesi, e piuttosto, cominciamo a chiederci quali sono gli sporchi giochini in base ai quali vengono fatte convocazioni e formazioni. Del Piero sono 2 mondiali e 2 europei che è una pena, sembrava un difensore bulgaro, sempre pronto a liberare l'area e ad anticipare Cassano. Vieri un prosciutto appeso, possibile che in allenamento nessuno se ne sia accorto? Materazzi era fuori da mesi per squalifica. Inutile ripetere che ci doveva essere chi non c'era. «Inutile prendersela ancora con un c.t. che in sei partite tra Mondiali ed Europei ha battuto solo Ecuador e Bulgaria». Il «trio» che non ha funzionato, e il caldo, e la pioggia, e il gol sfortunato, ed eravamo stanchi, e gli arbitri, e gli scandinavi. Non se ne può più. In tutto questo, non riesce proprio a dire: «Sì, certo, qualcosa ho sbagliato anch'io». Gli sputi in faccia li merita Trapattoni.

    Tuesday, June 22, 2004

    I-ta-lia! I-ta-lia!

    Qui a RR.it si è scommesso sul passaggio del turno. Posta in palio: un pranzo (per qualcuno dicesi «colazione») di lavoro. Red. spaccata, un 3 a 2, ovviamente non svelo le varie posizioni.
    A Stoccolma, il cugino svedese di Metro, il quotidiano gratuito Stockholm City, ci "avverte" che oggi è Tisdag (martedì) 2-2 giugno.

    Quante, quante bugie!

    Quanto, quanto furbacchione questo Michael Moore, che ha trovato una vena d'oro commerciale inesauribile e la cavalca. Ma meglio di me, vi può convincere Christopher Hitchens con il suo Unfairenheit 9/11, su Slate. Qui Jack Shafer.

    L'Iran a lavoro per battere Bush a novembre

    La strategia: portare il prezzo del petrolio al barile fino a 60 dollari.
    Michael Ledeen, National Review

    Sunday, June 20, 2004

    Were We Wrong?

    Se lo chiede la sinistra americana che fu a favore della guerra contro Saddam. Rispondono Thomas Friedman, editorialista del New York Times, Paul Berman, autore di "Terrore e Liberalismo", Fareed Zakaria, direttore di Newsweek, Anne Applebaum, editorialista del Washington Post e premio Pulitzer per il libro "Gulag", Kenneth Pollack, specialista di Iraq nelle amministrazioni Clinton, Martin Peretz, Peter Beinart e Leon Wieseltier, di New Republic, il senatore democratico Joe Biden e John McCain, il senatore repubblicano che John Kerry avrebbe voluto come suo candidato alla vicepresidenza.
    L'editoriale del numero speciale di New Republic.

    Ne parla Christian Rocca sul Foglio: «Sull'Iraq (nonostante Bush) non ci siamo sbagliati, parola dei falchi liberal, cioè di quella sinistra americana che i giornali italiani non raccontano».
    La ragione strategica (le armi di distruzione di massa di Saddam) si è rivelata sbagliata, ma non perché Bush avesse voluto ingannare l'America. Resta la ragione morale, la stessa che valse in Bosnia e Kosovo: fermare i dittatori e i genocidi. I costi sono stati alti, «ma ora le chiavi del nuovo Iraq sono nelle mani degli iracheni, i quali sono liberi di discutere e di pretendere la democrazia» e «nel mondo arabo, grazie all'intervento americano, ora si discute di democrazia, si redigono appelli ai regimi, si chiedono diritti, si convocano manifestazioni. Thomas Friedman crede nel regime change e «nella trasformazione democratica del medio oriente, perché la minaccia principale per l'America è il "popolo di distruzione di massa", quella micidiale arma prodotta dalle politiche oppressive dei dittatori arabi». Zakaria spiega che l'Iraq c'entra con al Qaida: «Le cause originarie del terrorismo islamico si rintracciano nelle politiche del medio oriente, dove fallimenti e repressione hanno prodotto fondamentalismo e violenza. L'Islam politico è cresciuto come alternativa mistica alla miserabile realtà delle dittature laiche che dominano il mondo arabo». A Bush si rimprovera di non aver ancora iniziato la «battaglia per le idee», «niente però è irreversibile».

    Quando Harry Potter avrà 50 anni con il suo ciuffo e gli occhialini

    Al Corriere della Sera parla Douglas Feith, neocons: «La guerra al terrorismo ha tre fasi. Primo, scompigliare le file dei terroristi. Secondo, proteggere il suolo domestico. Terzo, smantellare l'ideologia che genera i terroristi».
    Sul punto tre, la battaglia di idee, «siamo in difficoltà. Gli abusi nel carcere di Abu Ghraib sono stati una sconfitta terribile. E mi fa paura vedere vacillare il consenso degli americani sulla guerra in Iraq. Una democrazia non può combattere, se il fronte interno non è solido. C'è un punto che non riusciamo a far comprendere, né negli Stati Uniti né in Europa. La sola sicurezza in Medio Oriente, la chiave della pace nel mondo arabo, è la democrazia. Solo quando quelle società saranno stabilizzate da valori democratici, orrori e ingiustizie svaporeranno».
    Difesa dalle accuse: «Sono più sicuri mondo e Medio Oriente senza Saddam? Sì. Il resto tocca al futuro. Il vero problema di Bagdad non va mai in prima pagina. E' la riluttanza degli iracheni a farsi carico della loro vita, della gestione quotidiana del Paese.
    La sicurezza. «Spero si arrivi presto a una forza multinazionale diretta da un generale americano. (...) la sicurezza resta problema serio. Non che l'Iraq possa essere la Svizzera domattina, ma devono esserci progressi presto».
    Lotta al caos. «Noi ragioniamo sull'incertezza. Non crediamo ai piani che prevedono il futuro e provano ad anticiparlo. Siamo coscienti dei limiti della nostra intelligenza e della nostra conoscenza. Non c'è un piano di ricostruzione dell'Iraq a tavolino, sarebbe artificiale (...) le formule a priori non funzionano. Se io vedo che a Falluja la stabilità torna dopo l'accordo con le tribù, faccio l'accordo con le tribù».
    L'Europa? «Assumetevi più, non meno responsabilità. Siamo divisi da scelte politiche, lo so, ma uniti da valori comuni. Allora prendetevi più carico nel mondo, nei fatti. La mia paura è veder dividersi l'intesa atlantica, con Russia magari, o Cina, che scelgono il partner più favorevole del momento. Un imperdonabile errore strategico».
    Complotto neocons? «La verità è difficile da cogliere in questo tragico momento. Molto più facile immaginare un complotto rassicurante, dove i cattivi siamo sempre noi».
    «Nessuna maggioranza può permettersi di non funzionare di qui al 2006, prigioniera delle proprie contraddizioni, in attesa che elezioni su base maggioritaria provvedano a cavarle le castagne dal fuoco. E nessuna opposizione può navigare nelle proprie ambiguità, senza indicare con chiarezza le sue scelte di fondo».
    Stefano Folli, Corriere della Sera

    Nemesi pallonara

    Il mondo del calcio italiano è costretto a temere un inciucio tra Danimarca e Svezia, che ci escluderebbe dai campionati europei. D'altra parte le combine, noi, siamo abituati a vederle per davvero in tutti i nostri campionati. Noi, per eccellenza il popolo del biscotto e dell'inciucio in tutti i settori, chiediamo fair play e lealtà agli scandinavi, gli chiediamo di impartirci una lezione di stile che vada a nostro vantaggio (con che faccia?). Ecco, questa è la giusta pena del contrappasso che ci meritiamo. Ma tutto il mondo è paese. Noi ci crediamo più furbi, crediamo che gli altri siano più corretti, tanto stupidi da poterli fregare, ma l'unica differenza sta nel melodramma: per noi il melodramma è tutto. Se davvero quel maledetto 2 a 2 dovesse verificarsi (ed è probabile), apriti cielo! avremo il nostro alibi. Non sarà frutto di un accordo, ma di un tacito - quindi lecito - interesse reciproco, e allora? Niente da dire, davvero, niente scandalo, dovremo dire: stavolta siamo stati fregati noi, si sa, chi di spada ferisce, di spada perisce.
    Per la precisione, credo che agli azzurri nuocerebbe anche il risultato apparentemente più vantaggioso: se una tra Danimarca e Svezia dovesse vincere e a noi bastasse uno striminzito 1 a 0 alla Bulgaria, ecco che vedo materializzarsi il terzo pareggio.

    Saturday, June 19, 2004

    Lo «spirito di Monaco» aleggia ancora sull'Europa

    ... e soffia forte
    Lo "spirito di Monaco" passerà alla storia come il simbolo dell'ignavia dei governanti europei di fronte alle minacce delle dittature. Nel 1938, la conferenza di Monaco portò gli Stati europei - Francia, Gran Bretagna e Italia - ad aprire ad Hitler le porte per l'invasione della Cecoslovacchia. Per preservare la "pace" non si esitò a sacrificare l'indipendenza dei cittadini cechi e slovacchi, ritardando solo di un anno il confronto con la minaccia nazista, con una politica detta dell'appeasement. Quello spirito però, ancora «aleggia e soffia sull'Europa». Ne è fermamente convinto il presidente del Senato, Marcello Pera, intervenuto al convegno «Il Nuovo Spirito di Monaco in Europa», organizzato dalla Fondazione Magna Charta in collaborazione con il quotidiano il Riformista. segue >>
    RadioRadicale.it

    Parlando di democrazia e Iran con Azar Nafisi, autrice di «Reading Lolita in Tehran»

    «Un racconto non deve essere esplicitamente politico, o contenere un messaggio politico, per essere sovversivo». «Non credo che la battaglia contro la tirannia ed ogni imposizione avrà mai fine. E' una battaglia a tutto campo e senza limiti geografici. (...) «una battaglia anche contro noi stessi, una battaglia da dentro noi stessi. Sicuramente. Dove è la fine? Non c'è mai una fine». «Oggi, nel nostro mondo, visto che ne abbiamo i mezzi, la nonviolenza è l'unico modo per la promozione della democrazia». segue >>
    RadioRadicale.it

    Aggrapparsi alla «nota positiva»

    «Questi terroristi sanno di poter contare sulla simpatia e sul sostegno di ampie fasce popolari che sono state indottrinate alla cultura della «guerra santa» e del «martirio». Non sono estranei al tessuto sociale e culturale, bensì parte integrante di esso. E’ il frutto di una strategia folle della monarchia che ha trasformato la stessa Arabia Saudita in un ingovernabile nido di vipere».
    «Preoccupa inoltre il fatto che i terroristi di Al Qaeda stiano riuscendo nell'impresa di scatenare un'offensiva congiunta in Iraq e in Arabia Saudita, stringendo d'assedio il Kuwait. I tre Paesi detengono complessivamente metà delle riserve internazionali di greggio».
    «L'unica nota positiva è il cambiamento di tono da parte dei media arabi legati al governo saudita. Come la televisione Al Arabiya. Ieri il conduttore di un talk-show serale ha detto: "Questo terrorismo è il male assoluto, basta con il riversare tutte le cause dei nostri mali sulla questione palestinese". L'ospite in studio Ayman al Saqdi, direttore della tv giordana, ha affermato: "I terroristi sono nostri nemici ancor più di quanto non siano nemici dell'Occidente, hanno ucciso più musulmani che occidentali"».
    Magdi Allam, Corriere della Sera

    Friday, June 18, 2004

    Sempre questa sciagurata indole catenacciara!

    Grande Italia a briglie sciolte nel primo tempo. Poi nel secondo, fa tutto Trapattoni: il povero stupido se la fa sotto e toglie i migliori in campo (e non si dica che erano i più stanchi!). Via Cassano, il migliore davanti, via Gattuso, migliore dietro, evvai tutti sotto la doccia. Peccato che agli svedesi andava di giocare fino al 90'!
    Gli eccezionali:
    Cassano, Panucci, Gattuso, Zambrotta, Pirlo, Buffon
    Gli inguardabili:
    Vieri (un prosciutto appeso) e Del Piero (la coppia che si tira addosso), Trapattoni

    A Kofi Annan non rimane che dimettersi, e vergognarsi

    "Barboncino da salotto" in silenzio per il resto dei suoi giorni
    La Risoluzione 1546, «che tanto ha fatto sperare ma dietro cui si cela il cinismo di tanti, assegna alle Nazioni Unite compiti cruciali: indire la Conferenza nazionale per luglio; preparare le elezioni; partorire la nuova Costituzione; gestire gli aiuti e la ricostruzione; garantire i diritti umani; stilare il censimento». Dovrebbe ricordarsi Annan che quando «l'Onu s'è fatta prendere dalla burocrazia pavida di un malinteso senso di equidistanza tra male e bene, tra dittatori e democrazie, tra criminali di guerra e forze di pace, allora è precipitata nella vergogna», come a Srebrenica. «La diplomazia, la prudenza, il tatto nel mondo grande e terribile sono da sempre sigla Onu e codice genetico del segretario Annan. Oggi però la bilancia in Iraq va fatta pendere senza indugi dalla parte della pace, della stabilità e della semina di democrazia. Lasciare che le polemiche, anche aspre, di un anno fa, i giochi delle cancellerie, il risentimento per lo scandalo "oil for food", i fondi neri di Saddam ai tempi delle sanzioni, offuschino l'impegno delle Nazioni Unite e releghino la 1546 tra le tante Risoluzioni calpestate come gride dell'Azzeccarbugli, mina il prestigio dell'Onu e logora la capacità di intervento del segretario».
    Gianni Riotta, Corriere della Sera

    «Kofi Annan ha proclamato la totale impotenza, l'inutilità e anche la pavidità dell'Onu». «L'Onu non va là dove i suoi dirigenti rischiano la pelle», è la nuova concezione dell'Onu, escogitata «da chi – per sua ammissione – nulla fece per evitare il genocidio in Ruanda; dal corresponsabile del disastro della missione in Somalia; da chi affidò la vita di Sergio Viera de Mello, suo rappresentante in Iraq, a un apparato di sicurezza interno all'Onu che un'inchiesta ha definito "scandaloso". L'Onu versione Annan serve soltanto come studio notarile per mediare protocolli diplomatici. Quanto agli iracheni, che hanno un bisogno drammatico quanto evidente della presenza fisica, della bandiera, della sede dell'Onu, quale simbolo della legalità internazionale contro il terrorismo... che si arrangino. Che se ne prenda atto e si scelga tra l'unilateralismo di George W. Bush e quello di Kofi Annan, l'ignavo».
    Il Foglio

    Quel ragazzo di piazza Tien an Men

    «... armato di soli due sacchetti di plastica».
    Christian Rocca

    Thursday, June 17, 2004

    Parole sagge

    La «missione» di Silvio Berlusconi. «Cambiare l'Italia. Per realizzarla, aveva inventato uno strumento: il Partito liberale di massa. Ma se, poi, come è accaduto, si infarcisce Forza Italia di ex democristiani, il partito liberale di massa finisce con l'assomigliare a una brutta copia della vecchia Dc. Ne sono un esempio la mancata alleanza con i radicali; l'esclusione di uomini come Taradash, Calderisi e Rebuffa - cui il Cavaliere aveva garantito fino al giorno prima il posto in lista -; la sterilizzazione politica di Marcello Pera alla presidenza del Senato; la marginalizzazione di Urbani ai Beni culturali e di altri liberali e riformisti; la diaspora degli intellettuali laici reclutati nel 1994. Il presidente del Consiglio avrebbe dovuto procedere subito e rapidamente alla riforma dei regolamenti parlamentari e della forma istituzionale. Con regolamenti parlamentari tagliati sul sistema elettorale proporzionale e sul consociativismo, e una forma istituzionale che mette al centro il Parlamento, non si cambia niente. Senza uomini che vogliano davvero il cambiamento e sappiano come realizzarlo non si incomincia neppure. Lamentarsi, poi, che non solo l'opposizione - che fa il suo mestiere - ma anche i propri alleati si "mettano di traverso", invece di chiedersi perché ciò possa accadere, è una dichiarazione di sconfitta, non è una giustificazione per le riforme non fatte. E' da qui, dalla natura della cultura politica della coalizione, e della stessa Forza Italia, che dovrebbe partire la riflessione post-elettorale del centrodestra».
    La «missione» del centrosinistra: se «il riformismo dei cosiddetti riformisti non si traduce in una linea politica autonoma, ma, da un lato, nella "contrapposizione per pura negazione" di quello che fa il governo e, dall'altro, nella ricerca di una mediazione con il massimalismo degli altri partiti della coalizione, il risultato è una politica economica e sociale come "nostalgia" del proprio passato governativo, cioè conservatrice e già sconfitta nel 2001, e ondivaga su quello internazionale. Così, a un centrodestra che non è neppure in grado di liberalizzare le licenze dei tassì di Milano, il centrosinistra finisce con l'opporre una politica economica neo-corporativa che, con la concertazione, elegge le corporazioni addirittura a interlocutori del proprio futuro governo. Così, al filo-americanismo di Berlusconi, il centrosinistra oppone l'appiattimento dell'Italia sugli interessi economici e sull'anti-americanismo della Francia di Chirac».
    Piero Ostellino, Corriere della Sera

    Già trovata la pistola fumante in Iran

    Mentre l'Europa perde tempo col bilancino: oncia più-oncia meno d'uranio
    «If there had been no press, no investigations by the Parliament, no Article 90 Commission, I think that I would still be in prison or I would be dead. They made sure that I was not forgotten…If I had spoken out and no one knew my name from the newspapers, I would be dead. I am sure of this. Now, there are those students in prison, and no one knows their names, and they are rotting in a corner somewhere thinking that no one in the world knows where they are. And now, how will we know?»
    Hossein T., studente attivista.

    Dal bacio di Andreotti allo sputo di Totti

    Parla l'avvocato Giulia Bongiorno: il video girato per novanta minuti su un solo giocatore è «una prova trappola». «In un'ora e mezza - ha spiegato - si trova sempre una gomitata, uno sputo o un'azione illecita da mostrare poi due giorni dopo, una volta studiate attentamente le immagini. Da domani qualsiasi squadra potrebbe comportarsi così».
    E' stato fatto notare alla commissione Uefa che: «Le immagini provengono da una telecamera che è stata puntata su Totti per tutti i 90'. Totti non solo non aveva autorizzato questo tipo di ripresa, ma non ne era nemmeno a conoscenza. Accogliere una prova-trappola del genere potrebbe creare dei precedenti pericolosi per il futuro. Le squadre si potrebbero organizzare con telecamere fisse su ogni giocatore avversario e nel corso dei 90' di una partita sicuramente potrebbero evidenziare illeciti e irregolarità che per forza avvengono».

    Wednesday, June 16, 2004

    Ritratti dal nuovo Iraq (1): il presidente Ghazi Al Yawer

    Memri

    Primavera realista

    A Washington è di nuovo di moda il realismo. Festeggiamenti europei e delle sinistre per l'arretramento dei neocons. Ma cosa comporta questa novità primaverile?
    Il presidente Bush risponde così: «Coloro che si autodefiniscono realisti contestano che la diffusione della democrazia in medio oriente debba essere in alcun modo una nostra preoccupazione. Ma in questo caso i realisti hanno perso contatto con una realtà fondamentale: l'America è sempre stata meno sicura quando la libertà arretrava; l'America è sempre più sicura quando la libertà è in marcia».
    Oggi Christian Rocca ne parla in relazione alla sfida tra Kerry a Bush: «Da una parte c'è un candidato di centrosinistra che crede che l'America si difenda meglio promuovendo stabilità piuttosto che democrazia. Dall'altra c'è un presidente di destra convinto che la libertà degli uomini sia l'ingrediente necessario per sconfiggere il terrorismo. (...) Come diceva Reagan, "se possono scegliere, gli uomini scelgono sempre la libertà". La più realista delle ricette idealiste».
    Per questo sputo contro un avversario Totti rischia di prendersi una dura squalifica (si parla di europeo finito). E si possono fare tutti i moralismi del caso, il gesto è irresponsabile per un professionista e rischia di danneggiare in modo irreparabile la nazionale. A chi pensa però che Totti «fuori dal Raccordo Anulare non è presentabile», rispondo ricordandogli che chi non è presentabile è Del Piero, che per la quarta volta dal '98 (due mondiali e due europei) è il 12° uomo in campo per i nostri avversari.

    Guardando a destra si vede un paesaggio sempre peggiore

    Berlusconi perde voti sia perché non ha ancora fatto le riforme promesse, sia perché dice di voler fare proprio quelle riforme. Avanza la parte peggiore e più conservatrice della Casa delle Libertà. E avanza anche grazie alla delusione per l'operato del governo dei tanti che hanno aspettato per tre anni le riforme promesse da Berlusconi. Tra gli elettori di Forza Italia scontenti, c'è chi è rimasto spaventato dai progetti di riforma contrastanti con gli interessi della propria corporazione, più o meno statale, o del proprio ceto: questi - soprattutto al sud - hanno portato voti all'Udc e ad An; e chi invece è deluso proprio dalle mancate promesse riformatrici del premier (liberalizzazioni, riduzioni del carico fiscale, alleggerimento del peso e del ruolo delle burocrazie statali, e di rilancio dello sviluppo): questi - soprattutto al nord - hanno votato Lega e, in gran parte, si sono astenuti, non potendosi affidare ad un centrosinistra che si presenta con un'«offerta politica» tutt'altro che riformista. Mentre a dare buoni consigli al Cav. ci pensa sempre Ferrara, l'analisi del voto nel centrodestra è quella di Angelo Panebianco sul Corriere: «A causa del declino del personale carisma elettorale del leader e perché la mediazione dovrà essere tentata non più prevalentemente all'interno di Forza Italia, ma soprattutto fra partiti (come la Lega e l'Udc) in crescita e con interessi elettorali diversissimi, le cose sono ora molto più difficili. Perché Berlusconi dovrebbe riuscire a fare ciò che non fece quando le condizioni politiche erano migliori? Quali che saranno le sorti future del governo, la "questione settentrionale", la questione della rappresentanza politica del Nord, sembra sul punto di riaprirsi». I movimenti di Alemanno e Tabacci fanno tremare i polsi. Alfredo Biondi lancia la proposta di un antidoto liberale.

    Sedicenti rifomisti: Basta parole, servono fatti

    La fretta di Prodi - con il suo frettoloso appello per un'assemblea costituente del centrosinistra - è comprensibile: il poco entusiasmo elettorale che ha circondato la Lista unitaria mette in discussione ogni giorno di più la sua leadership. Ma se davvero l'obiettivo è una forza politica riformista in una democrazia dell'alternanza, come scrive oggi Salvati sul Corriere, la prima cosa da fare è esprimere nei comportamenti istituzionali una politica riformista. Cosa che finora non è stata fatta e si è pagato, cedendo voti al centro a cospetto di una sinistra radicale più forte in grado di dettare condizioni. Si può ipotizzare inoltre, che la posizione assunta dal triciclo per il ritiro delle truppe dall'Iraq abbia ricompattato l'elettorato dei Ds, favorendone il successo elettorale a scapito della Margherita, i cui voti in uscita invece potrebbero aver contribuito al successo dell'Udc.
    Prodi lo «scioglipartito», è il titolo dell'editoriale di Ferrara: «La Margherita è servita per sciogliere i Popolari, il Triciclo per sciogliere Margherita e Ds, e ora la costituente dovrebbe coronare l'opera, lasciando in piedi solo l'unità attorno all'Insostituibile». I mugugni resteranno tali e «a dire che è insostituibile sono stati i vari leader dei partiti, e ora sono costretti a pagare la cambiale che hanno incautamente sottoscritto».

    Come i popoli europei rischiano di perdere la propria sovranità in politica economica

    «Da un lato il varo della nuova Costituzione europea dovrebbe dare coesione all'Unione, in presenza di un voto che, tra affluenza alle urne (meno del 30 per cento di votanti nei 10 stati nuovi entranti) e bocciatura dei leader europeisti in Francia, Germania e Gran Bretagna, ne consiglia un rilancio». D'altro lato, però, la Costituzione europea aumenterà i poteri proprio di quelle istituzioni che soffrono di un insopportabile deficit democratico, che è tra le cause principali dell'avversione e dello scetticismo dei cittadini europei nei confronti dell'Ue. Se l'orizzonte di un referendum europeo sul nuovo Trattato fosse chiaro a tutti i leader dei Paesi membri forse verrebbe fuori una testo migliore.

    Tuesday, June 15, 2004

    Voto/3 Delusione Bonino! Solo il 2,3%

    Un risultato allarmante. Confrontato con il 2,2% delle scorse politiche, e considerando che il sistema proporzionale avrebbe dovuto avvantaggiare i radicali, bisogna ritenerlo un calo rispetto al 2001. Avanti così è facilmente prevedibile un ulteriore disastroso calo per le prossime politiche, intorno all'1%. Non serve abbattersi, come fa Emma in tv, occorre esserci sempre di più. O si cambia tutto, si rinnovano comunicazione, strategie, Radio&Internet, o è la "morte elettorale".
    Due gli eletti. Le preferenze all'interno della Lista: se la Bonino o Pannella dovessero farsi da parte, i numeri dicono Della Vedova, Cappato o Capezzone.


    Totali:
    Bonino 238.768
    Pannella 66.042
    Cappato 6.767
    Capezzone 5.710
    Della Vedova 3.334

    Circ. Nord Ovest: 1 eletto
    Bonino 71.535
    Pannella 13.334
    Della Vedova 3.334
    Cappato 2.550

    Circ. Nord Est: 1 eletto
    Bonino 49.782
    Pannella 10.019
    Cappato 4.217
    Capezzone 1.947

    Circ. Centro
    Bonino 56.744
    Pannella 16.566
    Capezzone 3.763

    Circ. Sud
    Bonino 33.101
    Pannella 16.758
    D'Elia 1.470

    Circ. Isole
    Bonino 27.606
    Pannella 9.355
    Milio 2.052

    Voto/2 Puniti nell'Ulivo. Il Listone nato morto, altro che riformisti

    La cosa che mi fa più incazzare è la seguente: come fanno tre partiti che si mettono insieme per fondare, dicono, una forza riformista, a castrarne in soli pochi mesi la più piccola possibilità di successo? Beh, ci sono riusciti. Alla prima occasione buona per esprimere una politica davvero "riformista" si sono invece appiattiti sulle posizioni pacifiste, votando la richiesta di ritiro delle truppe dall'Iraq. Il progetto di Prodi è apparso così subito privo di credibilità: sono andati persi i voti al centro e in uscita dalla CdL (penalizzata soprattutto la Margherita, ha giovato ai Ds), mentre la lista ha retto a fatica alla sua sinistra. Rifondazione comunista sfonda, e si rafforza tutto il "fascio" pacifista (era prevedibile), ma il triciclo è già in affanno, non entusiasma, prende molto meno della somma dei partiti alle amministrative. Adesso ci dovranno dire come faranno a far pesare la proposta "riformista" all'interno della coalizione che s'intravede: sotto totale scacco di Bertinotti. Come rimedieranno ora al «credito che hanno concesso alla sinistra della demagogia, che intanto gli ha organizzato un bel 10, 12% di rompicoglioni capaci di farli restare per un altro lustro all'opposizione»? Il neonato progetto riformista l'hanno ucciso nella culla.
    Al Cav. col «bozzo in fronte» ci pensa Ferrara, ma a Prodi che «non tira»? «Non hanno messo insieme neanche i voti che avevano prima di fare il Listone della speranza. Capacità espansiva: zero. E vanno in giro a vantarsi di essere il primo partito, quando tutti sanno che non avranno nemmeno un unico gruppo parlamentare in Europa». Due leader logori, uno per le riforme che non ha fatto, l'altro per la disastrosa commissione che ha guidato. Chi gli crede più? Dicevo tempo fa - confermo oggi - che Berlusconi per vincere nel 2006 deve sperare nell'Ulivo + Rifondazione nuovamente guidati da Prodi. Se c'è un tema che il centrosinistra può sfruttare in campagna elettorale è quello economico (abbiamo visto che l'Iraq e la politica estera pesano poco), ma gli elettori hanno ben chiaro che, quanto Berlusconi, è Prodi, con il suo euro e la sua commissione «disastrosa», tra i maggiori responsabili della mancata ripresa. Se invece alla guida del centrosinistra ci fosse una novità, tipo Veltroni...

    Voto/1 Il bivio dell'Unione europea. O cambia, o diventa "Oppressione"

    E' l'Europa la grande bocciata. L'Iraq non ha pesato, crisi economica ed eurosfiducia sì
    Eurostatalismo, eurodirigismo, europrotezionismo, euroburocrazie, eurocomunismo, euroimpotenza, eurocarrozzone, euroghost. In che nuovo blocco siamo finiti? Cosa e chi si nasconde dietro la retorica europeista per la quale è lesa maestà mettere in discussione l'Europa come sta venendo su? Il superstato leviatano di Bruxelles calpesta ogni giorno le libertà dei suoi cittadini e il deficit democratico delle istituzioni europee è ormai divenuto insopportabile. I 300 milioni di cittadini europei hanno scoperto il bluff, temono l'abbraccio mortale di questa grande piovra che frena lo sviluppo ed esita di fronte alle minacce globali. E, meglio fra tutti, lo hanno denunciato coloro che ne sono rimasti fuori: britannici, cechi, polacchi. Non solo l'astensionismo come risposta alla mancanza di idee, di visione, di progetti, di leader, ma vera e propria, sana, democratica avversione. Forse occorre accorgersi che sì, tornare indietro si può, e non è scandaloso rifletterci su.
    E' perfetto, su questo, l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di oggi: denuncia l'«impotenza delle culture politiche» che hanno «tenuta a battesimo» l'Europa e che «in buona sostanza ancora la dominano: quella socialdemocratica e quella cristiano-democratica. Ipnotizzate dal virtuismo pacifista, avviluppate in sistemi di welfare ormai paralizzanti, da almeno un decennio esse non producono un'idea nuova, non alimentano alcuna visione capace di guardare al futuro, non si fanno conquistare da alcun sogno, soprattutto, come notava proprio ieri Jürgen Habermas su queste colonne, non annoverano più nelle proprie file "politici coraggiosi"».
    Definirei "confusione morale" il grande male che spiega l'impotenza e l'inadeguatezza delle classi dirigenti della "vecchia Europa" continentale. La ricetta è liberale e americana?

    La peggiore commissione europea

    «Come misureremo, onorevoli parlamentari, signora Presidente, i cinque anni della nostra attività? Come misureremo i risultati di quei cinque anni? Nnn lo so, ma certamente l'unità di misura può essere la sfida che dobbiamo intraprendere. Prendiamo un parametro molto semplice: la partecipazione al voto delle prossime elezioni europee. Se sarà più elevata di quella precedente, vuol dire che avremo vinto la nostra sfida».
    Romano Prodi (Strasburgo, discorso di insediamento, 15 febbraio 2000)

    Friday, June 11, 2004

    Dichiarazione di voto (arrivederci per i commenti)

    JimMomo vota Lista Emma Bonino, scrivendo Emma Bonino, Daniele Capezzone, Benedetto Della Vedova (no comment sulle altre preferenze)
    L'unica che ha parlato dei temi europei:
  • dell'importanza di aprire i negoziati, a cui si oppongono Francia e Germania, per l'ingresso della Turchia nell'Ue: politica di inclusione nei confronti dell'Islam moderato e laico;

  • dell'importanza di farla finita con il protezionismo europeo che strangola l'Africa e con i sussidi europei agli agricoltori francesi: i paesi poveri non ci chiedono la Tobin Tax, ma un mercato aperto e una concorrenza leale;

  • dell'importanza degli Stati Uniti d'Europa e d'America, di un'Organizzazione mondiale delle democrazie che promuova libertà, democrazia e diritti contro il terrorismo;

  • dell'importanza di sostenere quanti nel mondo arabo vogliono riforme democratiche, perché il problema è la mancanza di libertà e diritti laggiù, e non l'America;

  • dell'importanza di Israele nell'Ue per dare una prospettiva democratica e di pace al Medio Oriente;

  • perché "Uniti per Prodi", ma Prodi non c'è; Berlusconi capolista, ma non sarà parlamentare europeo, eppure tutto è ridotto alla falsa dicotomia Berlusconi-Prodi;

  • perché gli appelli al "voto utile", a non votare i piccoli partiti, sono del tutto fuori luogo, non essendo questa un'elezione maggioritaria, ma proporzionale;

  • perché è importante scegliere i deputati che meglio possono rappresentarci in Europa per i prossimi 5 anni, piuttosto che preoccuparsi del dibattito sul significato del voto, che durerà solo due giorni;

  • perché «un gruppo di radicali federalisti europei a Strasburgo farà la differenza rispetto a un deputato in più che tricicla o a un forzista».
  • Riforme in Medio Oriente/2. Le Ong arabe bocciano la Lega araba

    La speranza per una via interna alle riforme in Medio Oriente riposta nelle dichiarazioni di Sana'a e di Alessandria. La delusione delle Ong arabe per la Lega araba: lo scopo delle dichiarazioni retoriche «non è di riformare, ma piuttosto di fuorviare l'opinione pubblica araba e la comunità internazionale» segue >>
    «Questa incapacità di progredire e la continua repressione dei riformisti da parte dei governi arabi - spiegano - creano il pretesto per organismi esterni di fare pressioni, legittimando le iniziative esterne di riforme». «I governi arabi insistono nel rimandare e perdere tempo, legando la realizzazione di riforme alla soluzione del problema palestinese e alla fine dell'occupazione in Iraq, come se per liberare Palestina e Iraq occorresse mantenere corruzione, torture, leggi dispotiche e mancanza di democrazia, di leggi e di diritti umani nel mondo arabo», denunciano le Ong.

    Riforme in Medio Oriente/1. Il G8 prova a promuoverle dall'esterno

    «Partnership for Progress and a Common Future with the Region of the Broader Middle East and North Africa» è la nuova denominazione dell'iniziativa americana per il "Grande Medio Oriente" fatta propria dal G8 al vertice di Sea Island. Turchia protagonista. Reazioni contrastanti dal mondo arabo: permangono le diffidenze, ma non mancano le voci favorevoli. segue >>
    Bush: «I cambiamenti non possono essere imposti dall'esterno», non c'è la volontà di imporre il modello occidentale, ma di far avanzare la riforma che, ha assicurato Bush, «deve riflettere le necessità e le realtà di ciascun paese ed incontrare le aspettative dei popoli. Abbiamo il dovere di sostenerli nella ricerca di un futuro di libertà e prosperità».
    Saad Ibrahim: se il piano viene fatto proprio dal G8, i regimi arabi non potranno facilmente bollarlo come una mera «intrusione» americana nei loro affari.
    L'ex ministro giordano dell'Informazione avverte: «La più grande menzogna è che tutti i paesi arabi respingono l'iniziativa». In molti nel mondo arabo, sono «favorevoli al cambiamento e non hanno nulla in contrario a che venga imposto dell'esterno, se non si può ottenerlo dall'interno», poiché lo «status quo non può continuare». E aggiunge: «Non c'è niente di male se noi impariamo dall'occidente, compresi gli Stati Uniti», conquiste ed esperienze che «non sono monopolio di una nazione, ma successi umani ai quali hanno contribuito tutti i popoli». L'ex direttore del quotidiano londinese in lingua araba Al Hayat osserva che «non si deve respingere l'iniziativa solo perché è stata proposta dagli Stati Uniti», mentre il direttore del Centro di studi politici e strategici Al Ahram avverte che far dipendere la riforma dalla soluzione del problema palestinese è «una sicura tragedia politica e morale».

    «La sbandata del Triciclo» e la gira-svolta di Amato

    Della serie: il grande leader riformista che ha il coraggio di parlare a giochi fatti. Troppo tardi caro mio. Andrà lontano.
    Sull'Iraq, né arte né parte del Triciclo
    Il Foglio
    Riprendo, e sottoscrivo, da Belcastro: Un leader unico, uno che metta "ordine nel bailamme" per non continuare a "sprofondare nel pastone televisivo della sera, insieme a Fassino e Rutelli e poco prima di Diliberto, Pecoraro e Mastella". E' ciò che invoca oggi il Riformista (menomale che ci siete voi, amici arancioni) in merito alla imbarazzante (loro la definiscono "tormentata") vicenda del centrosinistra nostrano impegnato da ieri nel "nuovo mantra", quello inaugurato da Piero Fassino: ci vuole l'Europa, l'Europa deve fare la svolta, sia l'Ue "a decidere il destino delle nostre truppe in Iraq dopo averlo chiesto all'Onu'. Il quotidiano di via della Scrofa pone con durezza un problema di classe dirigente. Perché «se i decisori di politica estera sbagliano clamorosamente la previsione della manovra diplomatica in corso all'Onu, e se i presidenti dei gruppi parlamentari si mettono a fare politica estera e scrivono mozioni di tre righe perché di più non possono osare, che succede? Vanno a casa o restano?». Se non se ne vanno, scrive altrettanto chiaramente il quotidiano arancione, «continuerà il piccolo cabotaggio, quello che magari fa vincere qualche battaglia ma mai la guerra».

    Thursday, June 10, 2004

    Greater Middle East Initiative, questa sconosciuta

    Mentre se ne è discusso al G-8, in Europa - e in Italia - nessuno ne sa nulla. E' il secondo pilastro, quello armato di attrazione, democrazia e riforme, della dottrina Bush in Medio Oriente. Gli Stati Uniti, commenta Emma Bonino, «hanno messo sul tavolo un progetto politico, anche discutibile», ma quali sono l'atteggiamento e le risposte dell'Europa? Semplicemente l'assenza di politica. «Chi fa sbaglia e chi non fa ha diritto di critica gratis e fa anche chic».
    E di cosa si parla da noi in campagna elettorale? "Uniti per Prodi", ma Prodi non c'è; Berlusconi capolista, ma non sarà parlamentare europeo perché già presidente del Consiglio. Nei dibattiti televisivi, osserva la Bonino, dei temi europei non si parla, o nessuno ti risponde. Silenzio sull'adesione della Turchia, sull'Afghanistan, sui massacri in Sudan, sulla procreazione assistita. Tutto ridotto alla falsa dicotomia Berlusconi-Prodi.

    Basterà perché la smettano di chiedere il ritiro?

    Dalla bozza di documento conclusivo per il prossimo vertice Ue: il Consiglio europeo «accoglie con particolare soddisfazione» il ruolo assegnato alle Nazioni Unite in Iraq dalla nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e «invita tutte le parti in Iraq ad assistere gli sforzi del governo ad interim e delle Nazioni Unite». Anche l'ultima richiesta di Rutelli e Fassino (fatta appena ieri sera in tv), cioè il coordinamento dell'Ue all'indomani della nuova risoluzione per l'Iraq, sta per essere accolta. Basterà perché la smettano di chiedere il ritiro?

    In difesa del manifesto di An sulla liberazione degli ostaggi


    "La sinistra li chiamava mercenari, la destra li libera". Così recita più o meno il manifesto della Federazione romana di An. E' questo il manifesto alla gogna e non quello che mostra dei cadaveri con la scritta "Colpa di Bush".
    Non tutta la sinistra ha definito mercenari i quattro ostaggi italiani in Iraq. E' un dato di fatto. Ma che parte consistente della sinistra, non solo quella antagonista, Rifondazione o i Disobbedienti, usasse definirli mercenari o cercasse di insinuare il sospetto che lo fossero, anche questo è incontestabile. Se poi mi si dice che quel manifesto era inopportuno, concordo anche su questo. Troppo facile per Fassino dire "Io non l'ho mai detto", farebbe bene invece a riflettere un momento e a prendersi la responsabilità di cosa per settimane è uscito dalla bocca di suoi compagni di partito e di Ulivo, anche parlamentari (Diliberto lo disse in un Porta a Porta, persino la Gruber e Mimosa Martini lo ipotizzarono), o sulle pagine del suo quotidiano, l'Unità (per non parlare di Manifesto, Liberazione, Indymedia o altri siti estremisti)
    «Per la legge sono mercenari», scriveva Toni De Marchi il 13 aprile: «Troppo mistero per della gente che dice di essere soltanto dei super-vigilantes impegnati in una zona un po' più pericolosa del normale. Un grande Bronx, o poco più. In realtà secondo la legge italiana, la definizione che si dovrebbe applicare loro è quella di "mercenari"».
    L'Unità del 27 maggio: «Ma intanto non c'è solo il centrosinistra a giudicare poco opportuno il riconoscimento di meriti da eroe per il "contractor". Anche il sindacato degli agenti Unione sindacale di polizia si risente riguardo all'ipotesi del conferimento alla memoria della medaglia al valore civile. "Questa proposta - afferma l'Usp - che viene da un esponente della coalizione di governo, offende la memoria dei veri eroi, caduti a Nassiriya combattendo sotto il tricolore italiano per una missione di pace e che non erano certamente mercenari come Quattrocchi"».
    «Erano mercenari e hanno avuto quello che sono andati a cercarsi», dichiara un missionario comboniano all'Unità il 27 aprile. Ad insinuarlo è lo stesso Furio Colombo il 14 aprile, mentre lo stesso giorno Robert Fisk parla tranquillamente di mercenari riferendosi a tutti gli uomini che lavorano per la sicurezza delle missioni in Iraq.

    Tic televisivi

    Credo che ormai tutti gli italiani si siano accorti che quando in tv Fassino comincia a parlare ad occhi chiusi, o sbattendo freneticamente le palpebre, vuol dire che è a corto di argomenti, cerca disperatamente di divagare e puntualmente gli si legge in faccia che neanche lui crede a ciò che sta dicendo.
    Ieri sera, a Ballarò, Rutelli ha dato dell'esoterico a Tremonti, che per tutta risposta gli ha chiesto di spiegare ai telespettatori cosa significasse quel termine. Ciccio c'è riuscito dopo un paio di blocchi di pubblicità, mentre Floris cercava di aiutarlo: «Viene dal greco, è un po' come dire esotico».

    Wednesday, June 09, 2004

    Cile!

    La bombetta al comizio di Fini è una bruttissima faccenda. Roba da Cile o giù di lì. L'informazione è quella che è, ma se neanche si può più andare ad un comizio di piazza siamo messi davvero male: sono minacciate le libertà fondamentali, la democrazia ne esce malconcia. Una brutta storia che però non sorprende in questo clima di costante delegittimazione e demonizzazione del governo, che, con tutti i difetti, è uscito dalle urne. Se lo si chiama regime, poi a qualcuno gli va di chiamarla "resistenza".

    Nuova risoluzione, la terza, e all'unanimità

    Nuovo mercato delle vacche, per chi si riempie la bocca di Onu
    Bush convinto alla svolta dalle elezioni imminenti e dagli insuccessi sul campo. Svolta che risale almeno all'ottobre dello scorso anno.
    Un testo che riconosce i progressi sul campo, legittima il nuovo governo, sostiene il processo in atto, conferma la missione Onu, chiede esplicitamente (come già la risoluzione 1511 del 2003) il contributo dei Paesi membri. Grave l'assenza di riferimenti alla Costituzione provvisoria. Francia, Germania e Russia accettano, e incassano (= successo evidente, pagato con generosi compromessi, per gli Stati Uniti e i loro alleati).
    «Tra soli 7 mesi ci saranno le elezioni in Iraq. Gli iracheni avranno un governo democraticamente eletto. Che contrasto con la tirannia di Saddam Hussein!». Di chi il merito?
    Le solite arroganti dichiarazioni francesi: anche se non pienamente soddisfatti, votano a favore tanto per non intralciare la soluzione della «tragedia» irachena. Ma c'è voluta tutta la forza degli accordi tra Stati Uniti e il nuovo governo iracheno, i quali proprio non si potevano calpestare questa volta, a convincerli.
    Ma i dettagli da mettere a punto, oggetto dei negoziati in Consiglio di Sicurezza, ci scommetterei, non erano quelli riguardanti la sicurezza, la sovranità e i rapporti tra governo iracheno e forze della Coalizione, bensì le più tangibili assicurazioni su come l'Iraq farà fronte ai suoi contratti e debiti con Francia e Russia. Quale assise che si occupa della pace e del bene dei popoli è l'Onu!
    1972 spiega bene di quale portata sia il "successo" della linea Zapatero: si ritirò ritenendo ormai impossibili, per colpa degli americani, una «svolta» e l'accordo per una nuova risoluzione dell'Onu entro il 30 giugno, inutile aspettare. Ieri, essendo la Spagna persino membro del Consiglio di Sicurezza, è stato costretto a votare sì, non potendo neanche vantarsi della «svolta» come fanno Francia, Germania e Russia.

    Tuesday, June 08, 2004

    Liberi, anzi, liberati

    Altro che liberazione che unisce, senso di responsabilità istituzionale! A denti stretti, peccato, solo a denti stretti, i leader del centrosinistra hanno espresso gioia, sollievo, soddisfazione, nessuno si è congratulato né con il governo, né con i servizi segreti, né tantomeno con le forze speciali americane e polacche. Ecco il fair play.
    Non mancano anzi, sciacalli che mettono le mani avanti, strumentalizzano, insinuano il dubbio, speculano. La liberazione a pochi giorni dal voto avvantaggerà Berlusconi? Può darsi, ma i meriti sono lì, visibili a tutti, a scorno di chi, testate e avversari politici, non aveva esitato a gettare fango su governo e servizi. Di sicuro l'uccisione anche solo di un ostaggio, nel tentativo, da parte dei terroristi, di condizionare il voto, era ipotesi più che plausibile e dalla quale era necessario difendere la nostra democrazia. E' stato giusto aspettare fino all'ultimo, ma anche intervenire prima che i terroristi potessero essere tentati di usare gli ostaggi per vincere loro le elezioni. Ecco perché era chiaro che la soluzione di questa vicenda, in un senso o nell'altro, sarebbe arrivata sotto elezioni.

    Monday, June 07, 2004

    Lo staff di RadioRadicale.it ricorda così Rino Spampanato, ad un anno dalla morte


    Creatore e responsabile di RadioRadicale.it e curatore dei siti radicali scomparso all'età di 33 anni.

    Tv revisionista (fascista) censura il D-Day

    Strepitano strepitano per la diretta televisiva del 1° maggio, o delle oceaniche manifestazioni "pacifinte", e sono guai se la Rai si rifiuta, censura! gridano. Invece, no, le celebrazioni dei 60 anni dal D-Day, quelle no. Ma che tv abbiamo?, si chiede Aldo Grasso oggi sul Corriere. Cnn, Fox News, Sky News, Sky Tg24 non hanno mancato l'appuntamento con «uno spettacolo così solenne e carico di significati» a cui hanno partecipato tutti i leader dell'Occidente e che ricorda il grande evento che ha reso possibile vivere nell'Europa di oggi. La Rai, servizio pubblico, ha preferito repliche, telefilm, trash. Ha ignorato la ricorrenza con spirito che definirei revisionista. Unica eccezione Gianni Minoli, con «La Storia siamo noi» di Rai Educational, sbattuto per punizione alle 7 del mattino. Il guaio è che neanche i ministri competenti se ne sono accorti.

    Sunday, June 06, 2004

    Bush alla Greatest Generation: «Ce l'avete fatta, ci siete riusciti»




    In Normandia per stringere il patto di una nuova alleanza necessaria.
    A Chirac: «L'alleanza per la libertà serve ancora».

    Un'altra macchia su Chirac, che incredibilmente ha escluso l'Italia dalle celebrazioni. Si interroga sul gravissimo gesto francese Sergio Romano sul Corriere di oggi: un dispetto a Bush, incompatibilità con Berlusconi, o volontà di escludere l'Italia dai grandi? «E' giusto che un Paese dell'Unione trascuri a tal punto gli obblighi di lealtà e solidarietà che dovrebbero legarlo ai suoi partner?»

    Per l'Iraq si passa anche da Caen. Stefano Folli sul Corriere di oggi: «Rispetto a questi sviluppi, sanciti dal riavvicinamento di Bush a Francia e Germania, la linea seguita dal centro-sinistra rivela tutte le sue incongruenze. Aver chiesto il ritiro delle truppe alla vigilia del ritorno sulla scena delle Nazioni Unite sembra un grave errore di analisi, a meno di non voler spiegare tutto con il tatticismo elettorale. In realtà è già in corso la correzione della linea. Le plateali distanze dai cortei "pacifisti" costituiscono il primo passo della riconversione. Il secondo è più difficile perché riguarda il rapporto con l'Onu, che il centro-sinistra ha appena sfiduciato in Parlamento. D'Alema sostiene che non è la sinistra a essere incoerente, ma è la maggioranza berlusconiana a cambiare parere dopo aver tanto sminuito, non credendoci, il ruolo delle Nazioni Unite. È esatto, ma si tratta di una magra consolazione. Nel caso di Berlusconi, l'incoerenza va tutta a suo vantaggio; per la semplice ragione che il governo si è da tempo issato sul carro di Bush e logicamente ne segue l'evoluzione pro-Nazioni Unite. Rallegrandosene. Invece il centro-sinistra ha compiuto il percorso inverso e adesso si sforza di ritrovare il punto d'equilibrio. Bene che vada, ha regalato all'avversario un cospicuo vantaggio».

    Per tutti i popoli c'è un «diritto al D-Day»




    Il giorno più lungo. L'ora dell'onore e della libertà costa sacrifici
    Alle 6.30 di 60 anni fa ha inizio la più imponente invasione della storia. Dall'Inghilterra, via mare, via cielo, raggiungono la costa francese della Normandia, su 6000 mezzi navali di ogni tipo, 2.800.000 uomini, mentre sopra le loro teste sono in azione contemporaneamente 13.000 aerei. Questi uomini il 28 agosto 1944 arriveranno a Parigi, il 7 marzo 1945 sul Reno. In Italia, a leggere i giornali, sembra quasi che stia vincendo la Germania.

    Nel pieno della notte, verso le 2.30 antimeridiane, le LSH (Landing ship Headquarters, Navi da Sbarco, Comandi Generali) Bayfield e Ancon avevano già raggiunto le 11 miglia dalle spiagge Omaha e Utah. Pochi minuti dopo, l'immensa flotta di piccole imbarcazioni, carri armati anfibi, mezzi dei genieri cominciò la sua traversata. Per rispettare l’ordine di attaccare con la marea crescente, l’invasione avvenne in orari differenti da ovest a est, partendo dalle 6.30 AM di Utah Beach fino alle 7.20 AM circa della spiaggia Sword.
    Alle 5.50 AM le navi della US Navy e della Royal Navy arrivarono nella zona delle 7 miglia nautiche. Da lì cominciarono il pesante bombardamento costiero contro le difese tedesche.

    Alle 6.30 i primi soldati della 4a divisione di fanteria americana cominciarono a sbarcare a Utah Beach. La risacca era minima, la resistenza tedesca ancora inferiore. Tutto si svolse come pianificato, ma più a sud del luogo previsto. Da questo errore nacque il successo dello sbarco a Utah Beach. Praticamente nessuna perdita umana e dopo due sole ore, le avanguardie della 4a divisione erano già sulla strada verso S.te Mère Eglise per potersi ricongiungere con i paracadutisti che difendevano la zona dalla notte precedente.

    «Ciò che il destino sembrava aver concesso sulla spiaggia Utah, se lo riprese con gli interessi a Omaha Beach». L'avvicinamento della 1a divisione di fanteria americana era stato travagliatissimo. Alcune imbarcazioni erano affondate nella traversata. I primi plotoni che misero piede sulla spiaggia furono massacrati da una fitta pioggia di piombo che proveniva dalle difese costiere tedesche. I sopravvissuti poterono vedere il mare rosso del sangue delle persone che li avevano preceduti o seguiti e come la risacca accumulasse a poco a poco i cadaveri sul bagnasciuga. Grazie a Dio nessuno si fermò. Continuarono a sbarcare, a correre, a scavalcare i commilitoni morti, a cercare quel poco riparo che la nuda spiaggia poteva fornire.

    I 60 DD tanks che dovevano accompagnare la prima ondata di invasione scomparvero in mare o penetrati dalle batterie di artiglieria costiera dalla Punta d'Hoc, alla sommità di una scogliera di diverse decina di metri perpendicolare al mare. Il 2° battaglione dei Rangers americani la espugnò, ma i pezzi da 155 mm non erano altro che tronchi d'albero. Le vere armi erano verso l'interno.

    A Gold, Juno e Sword, britannici e canadesi travolsero tutto. Nella sola mattinata del D-Day, allargano la propria zona d’influenza alla regione costiera di Arromanches a ovest e di St. Aubin a est. Alla mezza, la 4a divisione americana si era ormai riunita con le truppe aviotrasporte nella zona di S.te Mère Eglise e le truppe britanniche erano a una manciata di chilometri dalle prime case di Bayeux. A Omaha Beach, solo una manciata di uomini aveva lasciato la spiaggia

    Poco dopo le dodici, Winston Churchill si presentò davanti alla Camera dei Comuni: l'operazione Overlord prosegue secondo i piani. Gli Alleati avevano fatto grandi progressi durante la mattinata, ma la situazione a Omaha Beach era ancora preoccupante. Inoltre con il ritorno di Rommel sul suolo francese, la 709a divisione di fanteria tedesca contrattaccò per più di due ore tra le 13.00 e le 15.00, ma nonostante forti perdite, gli aviotrasportati della 82ma e 101ma divisione americana mantennero il contatto con la fanteria e fecero fallire definitivamente il contrattacco.

    Hitler si convinse che i movimenti in Normandia non erano altro che un diversivo in vista della vera invasione che sarebbe avvenuta a Calais. In ragione di ciò, vietò categoricamente a Rommel di usare la 15ma armata. Le spiagge erano in mano agli alleati, che già si stavano apprestando a montare i porti Mulberry e a cominciare lo sbarco di altre divisioni, la 29ma e 90ma americana e la 51ma e 7ma corazzata britannica. I tedeschi avevano poco tempo per approfittare della disorganizzazione degli alleati, poi tutto sarebbe stato perduto. Così alle 21.00 cominciò il viaggio della Panzer Lehr che avrebbe dovuto contrattaccare all'alba disperdendo le truppe nemiche intorno a Caen. Ma quei mezzi corazzati furono quasi tutti distrutti dall'aviazione alleata e il contrattacco non si verificò per tutto il giorno 7, concedendo un giorno in più ai rinforzi alleati per giungere dalla Gran Bretagna.

    Il giorno dell'invasione toccarono il suolo francese circa 155.000 uomini delle forze alleate. Gli obbiettivi previsti dal piano originario non erano stati raggiunti, anzi nelle posizioni intorno a Omaha Beach, le conquiste si limitavano a un paio di chilometri di terreno sabbioso. Caen e il suo aero porto rimanevano ancora in mano tedesca, Cherbourg era potentemente difesa e non avrebbe mai concesso le proprie strutture portuali intatte. Ciononostante il Vallo Atlantico era stato forzato in cinque punti e, elemento ancor più importante, tutto il mondo libero era a conoscenza che le Democrazie avevano cominciato la propria marcia sul continente europeo.

    La preparazione
    14 agosto 1943. Si apre a Quebec la Conferenza Quadrant, cui partecipano Roosevelt, Churchill, il premier Canadese MacKenzie King e i rispettivi capi di Stato Maggiore.
    30 novembre 1943. Vengono emanate le direttive per la pianificazione di "Overlord".
    6 dicembre 1943. Il generale Eisenhower viene nominato comandante delle forze alleate di invasione
    17 gennaio 1944. Il comando supremo delle forze di invasione alleate (SHAEF) si stabilisce a Londra.
    1 febbraio 1944. Presentazione del piano "Overlord", viene disposto l'inizio della pianificazione della fase anfibia dell’invasione (piano "Neptune").
    18 aprile 1944. Iniziano i bombardamenti in preparazione dello sbarco.
    8 maggio 1944. D-day fissato per il 5 Giugno.
    4 giugno 1944. D-day posticipato di 24 ore a causa delle condizioni metereologiche sulle aree di sbarco.
    5 giugno 1944. Alle 21.30 decollano gli aerei con le divisioni aerotrasportate per la prima ondata dell’assalto.
    Fonte: Cronologia.it

    Made in Usa. E' morto Ronald Reagan

    Anche lui ha liberato milioni di europei
    Un pezzo d'America, ispirato e ottimista, il grande comunicatore, la rivoluzione liberista, l'eroe della guerra fredda, un po' neocons, odiato, come tutti i presidenti Usa, dalle sinistre antiamericane. Ha lasciato una nazione rinvigorita, un mondo più libero. Al fronte per la libertà, è tra i grandi che hanno sconfitto l'«impero del male». E da queste parti, di questi tempi, ci piace ricordarlo.
    Il ricordo dei grandi

    Saturday, June 05, 2004



    «Soldiers, Sailors and Airmen of the Allied Expeditionary Force!
    You are about to embark upon the Great Crusade, toward which we have striven these many months. The eyes of the world are upon you. The hopes and prayers of liberty-loving people everywhere march with you. In company with our brave Allies and brothers-in-arms on other Fronts, you will bring about the destruction of the German war machine, the elimination of Nazi tyranny over the oppressed peoples of Europe, and security to yourselves in a free world.
    Your task will not be an easy one. Your enemy is well trained, well equipped and battle-hardened. He will fight savagely.
    But this is the year 1944! Much has happened since the Nazi triumphs of 1940-41. The United Nations have in­flicted upon the Germans great defeats, in open battle, man-to-man. Our air offensive has seriously reduced their strength in the air and their capacity to wage war on the ground. Our Home Fronts have given us an overwhelming superiority in weapons and munitions of war, and placed at our disposal great reserves of trained fighting men. The tidehas turned! The free men of the world are marching together to Victory!
    I have full confidence in your courage, devotion to duty and skill in battle. We will accept nothing less than full Victory!
    Good Luck! And let us all beseech the blessing of Al­mighty God upon this great and noble undertaking».
    Gen. Dwight D. Eisenhower alle truppe

    Friday, June 04, 2004

    Welcome to Rome (oggi come 60 anni fa)

    Le unità della V armata Usa convergono su Roma, mentre le ultime retroguardie tedesche stanno ormai abbandonando la capitale. I primi reparti del gen. Clark entrano da sud in mattinata e alle ore 19,15 l’88ma divisione americana raggiunge Piazza Venezia.
    Il mattino del 4 giugno il gen. Mark Clark arriva nei dintorni di Roma e se la prende con i suoi sottoposti per non aver spinto l'affondo finale. Ancora troppo agguerriti sono i tedeschi, è la spiegazione, ed è pericoloso spingersi in avanti. Il generale, notando il cartello stradale "Roma", si mette in posa per farsi fotografare, proprio mentre lo raggiungono delle raffiche di mitra di cecchini tedeschi. «Ha capito ora perché non ci siamo spinti in avanti?». Il giorno dopo Clark fece staccare il cartello e se lo portò a casa come souvenir. Il 5 mattina, all'alba di una giornata di sole, Clark sale su una Jeep, imbocca la Casilina e cerca - sbagliando cinque volte strada - di arrivare al Campidoglio per passare in parata davanti al Colosseo. L'ingresso delle truppe alleate in centro è trionfale, la popolazione gli riserva un'accoglienza entusiastica quanto inattesa. A piazza Venezia, c'era l'inviato della Bbc Godfrey Talbot: la sua corrispondenza. Il re Vittorio Emanuele III, secondo gli impegni presi, abdica in favore del figlio Umberto di Savoia.
    Il sacrificio. Per poter giungere a Roma la V armata americana ha perduto 30.000 uomini (tra morti, feriti e dispersi); 12.000 sono le perdite dei reparti dell’VIII armata britannica; contro le 25.000 dei tedeschi.

    Su RadioRadicale.it (a cura di Michele Lembo) i ricordi di Angiolo Bandinelli, l'«attesa vera di libertà e di liberazione» di quel giorno.

    Churchill aveva esitato a dare forza all'offensiva alleata su Roma. In gioco c'erano ancora gli assetti del dopoguerra e una liberazione troppo repentina dell'Italia rischiava di pregiudicarli a vantaggio dell'influenza sovietica. Gli bastava che una sola divisione, quella del gen. Usa Mark Clark, avesse liberato le zone di sbarco laziali e non Roma, per concentrarsi sulla Manica. Ma la liberazione di Roma era il centro dei pensieri ambiziosi di Clark, ci teneva ad arrivare per primo, ritardando di inseguire i tedeschi in rotta. Roma era un obiettivo importante e spettacolare che avrebbe demoralizzato i tedeschi. Clark avrebbe potuto puntare il più velocemente possibile verso est con tutte le sue forze per intrappolare la 10ma armata tedesca di Vietinghoff, dando un'accelerazione decisiva alla fine della guerra in Italia. I tedeschi ebbero invece il tempo di riorganizzarsi e di attestarsi sulla "linea gotica", dove quasi indisturbati vi rimarranno per oltre sei mesi. Da lì Kesserling ebbe il tempo di predisporre un'altra formidabile difesa. La scelta di Clark costerà all'Italia settentrionale un altro intero anno di guerra e di bombardamenti fino al 25 aprile del '45.

    Con la faccia pulita cammina per strada...

    Ha la faccia pulita Fausto Bertinotti quando a Porta a Porta attribuisce la responsabilità della seconda guerra mondiale e della morte dei civili italiani sotto i bombardamenti alleati al fascismo. Un po' meno pulita quando attribuisce la responsabilità delle morti del terrorismo in Iraq o altrove alla politica "imperialista" americana. A rigor di logica, se sessant'anni fa furono responsabili Mussolini e Hitler, oggi lo sono altrettanto i vari Saddam e Milosevic, e non i Clinton e i Bush.
    Ma Bertinotti ha un vero e proprio problema "faccia pulita". Rifiuta l'etichetta di antiamericano (eppure non esiste presidente Usa che negli ultimi 50 anni non sia stato contestato dalla sua sinistra), lui le bandiere non le brucia (fa niente se lo fanno i parlamentari del suo gruppo), lui manifesta anche contro il terrorismo (fa niente se poi gli scappa di dire che il primo terrorista è Bush). Il problema è cavalcare, espandendone il consenso, l'onda di Movimenti (noglobal, antimperialisti, pacifisti a senso unico e violenti) che rappresentano - dalle basi ideologiche all'idea di società, dall'individuazione del nemico fino alle forme di lotta - gli epigoni dell'ideologia marxista-leninista nel XXI secolo. A questo serve la sua nuova retorica della nonviolenza, praticata solo da lui in tv da Vespa - da nessun altro né nel suo partito, né nella sua area ideologica e culturale - per grattare voti ai danni della sinistra moderata, per far superare il 5% di consensi ad una piattaforma ideologica che per fortuna in Italia - almeno fino a poco tempo fa - rappresentava il 3-4%. In tutte le sue apparizioni svolge egregiamente la funzione di "faccia pulita e presentabile", istituzionale, di quella nuova sinistra estrema, la quale "rigenerata" dall'ingresso dei Movimenti è tornata su posizioni e pratiche irriducibilmente antagoniste del sistema, evidentemente antidemocratiche. L'arma più potente, come sempre, la retorica dell'ingiustizia e dei diritti invocati a senso unico, arma brandita contro il nemico ideologico di sempre: le democrazie con i loro baluardi, Stati Uniti e Gran Bretagna. Qui, l'errore si trasforma in crimine, altrove, dove il crimine si è fatto sistema, è come se non ci fosse.

    Thursday, June 03, 2004

    La democrazia in Medio Oriente la chiave per battere il terrorismo

    Ancora ci crede, ma la strategia non sembra coerente
    Un Iraq democratico «cambierà i dati» della guerra contro il terrorismo e solleverà «un'ondata di democrazia» in Medio Oriente. Lo ha ribadito Bush parlando all'Accademia dell'Aviazione, in Colorado. E la diffusione della democrazia in Medio Oriente, migliorando le condizioni economiche e sociali, favorirà il superamento del fanatismo e del terrorismo. Bush rinnova così - da tempo non lo faceva - la sua lunga tradizione di discorsi sulla democrazia in Medio Oriente.

    More connections

    Saddam-bin Laden, un legame suggestivo, ma discusso. Ne ha parlato sul Weekly Standard, oggi e qualche giorno fa, Stephen F. Hayes, autore anche di un libro pieno di prove di cui ha scritto oggi sul Foglio Christian Rocca.

    Road to Rome/3

    Cadono finalmente in mano alleata Albano, Lanuvio e Frascati. L'avanzata può proseguire speditamente su tutto il fronte: unità della 3a divisione Usa e del Corpo di spedizione francese lungo la statale n. 6, mentre nel settore dell'VIII armata britannica, il I corpo canadese raggiunge Anagni.
    Il feldmaresciallo Kesselring riceve da Hitler l'autorizzazione a ritirarsi da Roma, ma l'operazione di disimpegno è già in corso e la resistenza dei tedeschi a sud e a sud-est di Roma deve protrarsi il più a lungo possibile per consentire il ritiro delle truppe dalla capitale, e soprattutto alla 14ma armata di ritirarsi al di là del Tevere.

    Wednesday, June 02, 2004

    Road to Rome/2

    A questo punto, in seguito allo sfondamento della cosiddetta "linea Gustav", il feldmaresciallo Kesselring ordina alla 10ma e 14ma armata di ritirarsi, fino alla linea gotica, una linea fortificata che taglia trasversalmente l'Italia dal Mar Ligure (tra La Spezia e Viareggio) fino all'Adriatico all'altezza di Pesaro, passando a nord di Lucca e Pistoia e a sud di San Marino.
    Da Albano a Lanuvio, dalle alture ad est dei Monti Cavo e Tano alla statale n. 7, gli alleati del VI corpo Usa avanzano quindi su tutto il fronte seguendo il disimpegno tedesco.
    Unità dell'85ma divisione conquistano Maschio d'Ariano, i monti Fiore e Ceraso, spingendosi quasi fino alla statale n. 6. Avanzano il 7mo e del 30mo reggimento della 3a divisione Usa verso Palestrina e Valmontone, da poco abbandonate dai tedeschi.
    Dopo il ricongiungimento, avvenuto il 25 maggio, del II corpo Usa, che saliva verso nord lungo la costa tirrenica, con il VI, che sfondava l'accerchiamento tedesco ad Anzio dopo lo sbarco; dopo la conquista di Cisterna e Cori da parte della 3a divisione e l'avanzata decisa della 1ma verso Velletri; visto il consolidarsi del fronte, il gen. Mark Clark, a capo della V armata americana, aveva deciso di puntare direttamente su Roma. E l'avanzata alleata proseguiva velocemente grazie anche alla rapidità della ritirata tedesca (25 maggio - 1° giugno).

    Ricatto o tragedia annunciata?

    L'ennesima richiesta dei terroristi per riavere vivi i tre ostaggi italiani nelle loro mani. In sé poco significativa, perché manifestazioni contro Bush e Berlusconi il 4 giugno sono previste - ahimé - da tempo. Ma questo gioco al continuo rialzo fa temere il peggio. Se vorranno giocarsi tutte le loro carte cercheranno di influenzare gli esiti delle elezioni europee e a farne le spese, dopo Quattrocchi, potrebbe essere un altro di quei poveretti. Vorrei sbagliarmi, ma quando è chiaro al nemico che si è l'anello debole (politicamente) di una catena...
    Auguri Repubblica. Sei malandata, ma uomini e donne di buona volontà sono la maggioranza silenziosa.

    «Niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi».
    Francis Bacon

    Tuesday, June 01, 2004

    Road to Rome/1 (25 maggio - 1° giugno)

    Il 25 maggio i britannici superano Aquino, unità del X corpo conquistano Monte Cairo e le divisioni del II corpo polacco entrano a Piedimonte San Germano. Il 26 maggio, a fronte di una crescente resistenza tedesca, la 45ma e la 34ma divisione Usa avanzano fino sulla linea della Stazione di Campoleone-Lanuvio, mentre la 1ma divisione tenta invano di raggiungere Velletri. Rafforzate intanto, le posizioni a ovest di Priverno. Il 27 maggio, la 3a divisione Usa conquista Artena, mentre unità dell'88ma divisione raggiungono Roccagorga; più a nord, i francesi conquistano Amaseno, Castro dei Volsci e il Monte Siserno. Nel settore dell'VIII armata, unità del I corpo canadese attraversano il fiume Liri e occupano Ceprano. Britannici e indiani continuano gli attacchi per raggiungere Arce. Il 28 maggio, il VI corpo Usa che sale da sud incontra una crescente resistenza da parte delle forze tedesche. Il 29 maggio, la 1ma divisione corazzata Usa attacca sulla strada per Albano, conquista la stazione di Campoleone, ma la sua avanzata viene rallentata dalla decisa opposizione dei paracadutisti tedeschi. Anche a Lanuvio la 34ma divisione viene rallentata, mentre nel settore dell'VIII armata britannica, il I corpo canadese inizia l'avanzata da Ceprano verso Frosinone.

    Dal 30 maggio al 1° giugno si combatte per i Colli albani. Il VI e il II corpo Usa lanciano l'offensiva, mentre i tedeschi tengono le posizioni tra Albano e Velletri contro la V armata e resistono sia ad Albano che a Lanuvio. Intanto, l'85ma divisione Usa conquista Lariano e raggiunge le posizioni oltre la strada che collega Velletri ad Artena. Nel settore dell'VIII armata britannica, il I corpo canadese entra a Frosinone e il X corpo conquista Sora. A sud dei Colli albani, il 141mo reggimento della 36ma divisione Usa conquista Velletri, dopo una durissima battaglia. Iniziava l'offensiva finale del II corpo Usa su Roma, dalla strada statale n. 6: sul suo fianco sinistro, l'85ma divisione attaccando il Monte Ceraso, sul fianco destro la 3a divisione attaccando a nord, verso Valmontone.

    One Nation, One Moment

    L'albero della libertà deve essere innaffiato di quando in quando con il sangue dei patrioti e dei tiranni. E' un concime naturale.
    Thomas Jefferson