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Thursday, October 07, 2004

Iraq 2003. Le armi non c'erano, la minaccia sì

Powell all'OnuAl momento dell'attacco anglo-americano all'Iraq di Saddam Hussein nel 2003 non c'erano in Iraq armi di distruzione di massa in quantità militarmente rilevanti, ma laboratori per veleni e armi chimiche da usare per assassinii segreti. Saddam usava il programma oil for food - corrompendo i funzionari dell'Onu - al fine di indebolire il regime delle sanzioni e far ripartire i programmi per la produzione di armi di distruzione di massa. Due questioni rimangono aperte: la possibilità che alcune armi siano state trasportate in Siria e l'esistenza di laboratori mobili per armi biologiche. Queste sono le conclusioni contenute in un rapporto di 900 pagine reso pubblico ieri e frutto del lavoro durato 15 mesi, dal termine della guerra, di più di mille ispettori americani guidati da Charles A. Duelfer. Il lavoro della commissione continuerà sugli aspetti ancora oscuri.

1. L'Iraq ha distrutto le sue armi illecite nei mesi successivi la fine della I guerra del Golfo e perso la sua capacità di produrre quantità militarmente significative di armi non convenzionali nel 1996. Al momento dell'invasione anglo-americana del 2003, l'Iraq non possedeva quantitativi militari di quelle armi da 12 anni e non stava cercando di riprodurle. Anche se avesse cercato di produrne, non avrebbe avuto quantitativi rilevanti per almeno un anno, mentre ci sarebbero voluti più anni per la bomba atomica.

2. Tuttavia, Saddam Hussein stava sfruttando i programmi di alleggerimento delle sanzioni, come oil for food, per gettare le basi di una ripresa dei programmi di riarmo non convenzionale se le sanzioni fossero state tolte. L'Iraq ha consapevolmente mantenuto le basi di conoscenza necessarie per riavviare quei programmi. Saddam cominciò a distruggere le sue armi nella speranza della fine delle sanzioni, ma appena cominciarono ad affluire i soldi di oil for food e si indebolì il regime di sanzioni riacquisì la capacità di riarmo.

3. Saddam Hussein ha deliberatamente mantenuto l'ambiguità sul possesso di armi di distruzione di massa in una strategia rivolta all'Iran, a Israele e agli Stati Uniti. Molti esponenti del regime furono tenuti nell'incertezza riguardo il possesso di tali armi. Durante gli interrogatori Saddam non ha mai chiarito cosa ne fosse stato delle armi possedute.

4. Laboratori clandestini sono stati ritrovati a Baghdad. Servivano per testare armi chimiche e veleni da usare per assassinii segreti piuttosto che a stragi di massa.

5. Il team di ispettori Usa non ha escluso la possibilità che armi di distruzione di massa possano essere state trasferite in Siria, né l'esistenza di laboratori mobili per armi biologiche.
Fonte: New York Times
E' lecito, a questo punto, affermare che l'amministrazione Bush ha mentito? Il regime di Saddam Hussein non rappresentava una minaccia «imminente», ma potenziale. Ciò non significa che dietro questa guerra vi siano complotti inconfessabili o guadagni personali: sarebbe stato così difficile infatti completare l'inganno e chiudere ogni partita inscenando il ritrovamento nei dintorni di Baghdad di una sola cassa di quelle fialette mostrate da Powell all'Onu? No. Invece oggi una commissione indipendente dà torto a Bush.

E' stata la ragion di Stato a prevalere ancora una volta, una questione del tutto politica, e di quelle al più alto livello: la sicurezza nazionale. Infatti, nonostante le rivelazioni di questo rapporto, è innegabile che il regime di Saddam Hussein rappresentasse una minaccia per gli Stati Uniti, divenuta intollerabile nel mondo post-11 settembre, e l'Iraq un nodo geostrategico importante. Rompere la fragile e ingannevole stabilità di una regione infestata dal fondamentalismo islamico nella quale l'Iraq praticava e finanziava il terrorismo; impedire il concretizzarsi dei contatti - questi sì provati - fra l'Iraq e Al Qaeda, costringere i regimi arabi a schierarsi, e ridefinire, il proprio atteggiamento nei confronti degli Stati Uniti; avviare dall'Iraq un progetto di lungo termine di esportazione della democrazia in Medio Oriente, perseguendo una vision fondata sulla «fede nel potere trasformatore della libertà»; creare un nuovo fronte, ma ben visibile, della guerra al terrorismo, che servisse sia ad identificare il nemico - perché di nemico si tratta - sia a stanare dai loro nascondigli i terroristi, sfidandoli in campo aperto, sia a esorcizzare un terrore più efficace quando si fa mano invisibile e inafferrabile.

Tuttavia, questi obiettivi - politicamente legittimi ai fini della sicurezza nazionale - mal s'incontravano con le prassi burocratiche e pseudo-processuali del palazzo di vetro. L'amministrazione Usa sceglieva così la via multilaterale, credendo di poter legittimare il suo intervento facendo leva sul mancato rispetto delle risoluzioni Onu da parte dell'Iraq. Dunque, l'errore più grave è stato quello di non aver puntato esclusivamente sulla legittimità politica e morale - anche legale guardando alla Carta delle Nazioni Unite - di un intervento che liberava da una delle dittature più atroci e sanguinarie milioni di persone, e di aver invece inseguito una legittimità giuridica rinnegata poi dall'unico principio che conta all'interno del Consiglio di Sicurezza: la protezione degli interessi costituiti dei suoi membri permanenti. Questa guerra è stata giusta.

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