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Thursday, April 15, 2004

L'Iran ha le mani in pasta, e non va bene
La strategia di presentarsi come mediatori di crisi dopo averle create. Pagherà?
Una delegazione inviata in Iraq dal ministero degli Esteri iraniano è dietro ai più miti propositi espressi oggi dal pupillo di molti a Teheran, Moqtada Al-Sadr, il quale comunque sembra aver ottenuto quello che voleva: visibilità politica per accreditarsi e legittimarsi agli occhi degli sciiti come difensore della rivoluzione islamica khomeinista anche in Iraq. E' l'ultima chiamata per costruirsi questo ruolo politico nel nuovo Iraq del dopo 30 giugno. Al-Sadr ha rinunciato alle precondizioni - ritiro delle truppe straniere dalle zone urbane e rilascio di tutti i detenuti - per cominciare i negoziati con le autorità americane. Sarebbe addirittura pronto a trasformare la sua milizia in un movimento politico, senza finalità militari, e anche a presentarsi davanti a un tribunale iracheno. Intanto, 2.500 marine si tengono pronti alle porte di Najaf per catturarlo «vivo o morto», ma sembra che non ci sarà bisogno.

L'Iran ha le mani in pasta in Iraq e il gioco è estremamente duttile. Da una parte, con un'iniziativa diplomatica senza precedenti, con la quale Teheran si offre di cercare una soluzione alla "crisi Sadr" (al prezzo non indifferente di avere resa pubblica la richiesta americana di aiuto), mantiene una linea moderata e conciliante con i possibili sviluppi del nuovo Stato iracheno. Perché Teheran non può permettersi di rompere totalmente con Washington, né con i buoni amici inglesi e italiani; perché l'ayatollah iracheno Alì Al-Sistani è un moderato ed è molto influente sugli sciiti iracheni. Dall'altra parte, è anche bene non illudersi sul fatto che l'Iran stia facendo di tutto - pur senza compromettersi definitivamente - per contrastare la costruzione di un Iraq democratico, non rinunciando affatto a provocare, nel tempo, una nuova rivoluzione islamica khomeinista. L'Iran farà sentire tutto il suo peso per evitare di trovarsi ai confini una democrazia araba. E' questa la battaglia epocale in cui siamo coinvolti. Il fondamentalismo è al potere in Iran da 25 anni e oggi l'Iraq è un campo di battaglia tra chi vuole esportare la rivoluzione democratica e chi vuole esportare la rivoluzione khomeinista. La posizione iraniana è di forza, ma anche di debolezza, al suo interno e all'esterno. Teheran non può permettersi né una democrazia irachena prospera, né la rottura totale con Stati Uniti e parte dell'Europa.

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