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Wednesday, February 11, 2004

Il Riformista Day
Il riformismo in Italia? Può attendere. Mettetevi comodi. E i motivi sono diversi.
Un primo di ordine sociologico. Bisogna ammettere che noi italiani abbiamo un curioso atteggiamento schizofrenico. Invochiamo cambiamenti, ma siamo legati ai privilegi della nostra "corporazione", guai a chi ce li tocca, critichiamo i governi perché non fanno le riforme, ma quando ci pizzicano è pure peggio, allora diventa un attacco ai "diritti". Le riforme sì, purchè riguardino gli altri. Siamo il popolo più individualista, un popolo di privilegiati che i diritti veri non sa cosa siano. Meglio un gioco truccato - una volta a me, quella dopo pure, quella dopo ancora a te, forse - piuttosto che il rischio di regole, poche, ma chiare. Meglio non fare sacrifici oggi, che goderne i frutti un domani. Dal fisco ai partiti, dall'assistenzialismo al condominio, dalle raccomandazioni al campanilismo, un popolo che non riesce a farsi comunità, dove ogni caso fa a sé e c'è sempre un'eccezione alla regola, una porta che d'incanto con una parola magica si può aprire.

Il secondo di ordine politico. I leader della sinistra che si dicono "riformisti" hanno perso, anzi, non hanno affrontato, la battaglia di "cultura politica" che in questo decennio gli si chiedeva di intraprendere per costruire un'alternativa di sinistra credibile e responsabile. Piuttosto che guidare la base, sono stati succubi di un facile "nostalgismo", del massimalismo di volta in volta forcaiolo, girotondino, cgiellino, pacifista. Hanno ceduto alla tentazione ideologica post-comunista, senza divenire anticomunisti. Hanno seguito l'onda del consenso, soprattutto rimanendo saldamente legati e condiscendenti ai blocchi sociali più conservatori del paese, sacrificando ai loro privilegi gli interessi della collettività. Anche oggi le cose non sembrano diverse. Cadono le braccia a sentire Fassino, Rutelli and company. Sembrano aspettare, convinti di una vittoria cercata più nel crollo dell'avversario (probabile), che nella possibilità di ricevere la fiducia degli italiani sulla base di un serio progetto riformista: «Berlusconi si è messo fuori gioco da sé, che bisogno c'è di dannarsi l'anima con una battaglia di idee all'interno del centrosinistra?», questo sembrano confessare. Già, d'altra parte, convincere costa fatica e si mette in gioco la propria carriera. Altri sintomi. Prodi è una minestra riscaldata, che di riformista e di "nuovo" non ha proprio nulla, e, tra l'altro, nella percezione degli elettori, potrebbe risultare implicato con Berlusconi nel "caro-euro". Bertinotti, Cossutta e Pecoraro Scanio verranno imbarcati di nuovo, ma non si vince con l'allargamento indefinito dei partiti che compongono la coalizione. Piuttosto contano lo slancio, la capacità di convincere ed entusiasmare che avrà la proposta politica. Di idee forti, trainanti, neanche l'ombra. Di gesti di rottura, di sterzate, di svolte, neanche a parlarne. E' una questione di coraggio politico, di statura morale, di coerenza personale. Ma non solo.

Un terzo di carattere istituzionale. Se ai leader di governo, di destra come di sinistra, manca il coraggio riformista è anche perché il meccanismo della fiducia parlamentare e la legge elettorale ibrida - che enfatizza proporzionalismi e cespugli - pongono i governi, anche quelli guidati dai leader più carismatici, metti un Berlusconi, sotto costante schiaffo sia dei partiti alleati in cerca di visibilità, o espressione dei diversi conservatorismi, di destra come di sinistra, sia dei poteri forti e sotterranei del paese. Ci vorrebbe quanto meno un premierato (meglio un presidenzialismo), dove chi viene eletto governa 4 o 5 anni venisse giù il mondo, senza sfiduce possibili, né ribaltoni, né rimpasti; e quanto meno un bipolarismo (meglio un bipartitismo) con coalizioni omogenee e consolidate. Un sistema maggioritario puro, delle primarie.

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