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Thursday, July 10, 2003

Iran, 9 luglio 2003. Eppur si muove. Mi sembra che il fatto più degno di nota di questo 9 luglio in cui ricorreva il quarto anniversario della dura repressione operata nel 1999 dal regime teo-clerico-fascista degli ayatollah sugli studenti sia stato l'arresto, anzi, il sequestro, avvenuto ieri mattina, di tre leader di uno dei maggiori movimenti studenteschi (La notizia). Le manifestazioni ci sono state in serata attorno alle Università, hanno coinvolto migliaia di persone, non solo studenti, non solo giovani. Sembra che i movimenti abbiano scelto una protesta di basso profilo per non offrire alibi e pretesti alla repressione del regime. Slogan 'per la libertà', ingorghi e clacson, anche se però non sono mancati scontri, soprattutto tra manifestanti e pasdaran fedelissimi degli ayatollah, e arresti. I più eclatanti quelli appunto dei tre leader studenteschi, sequestrati dai vigilantes del regime al termine di una conferenza stampa da loro stessi indetta, davanti a tutti i giornalisti, mentre spiegavano di aver perso completamente la fiducia nei riformisti guidati da Khatami, e di volersi rivolgere invece alla comunità internazionale, indirizzando come primo atto una lettera al segretario generale dell'Onu Kofi Annan, in cui si denuncia "l'apartheid sociale e politico che è il risultato di un'interpretazione errata della religione". Il segnale più inquietante e allo stesso tempo più nuovo di questi ultimi giorni non è tanto rappresentato dall'intensità della protesta, quanto piuttosto dall'intensità della "repressione preventiva": migliaia di arrresti e sequestri mirati, volti a decapitare i leader e i più alti livelli dei movimenti studenteschi, ben prima e durante questa data.

Quando una 'n' e una 'q' fanno la differenza. A Roma, dalle ore 19, in piazza Campo de' Fiori, si svolgeva la manifestazione a sostegno degli studenti per la libertà e la democrazia in Iran organizzata dal quotidiano il Riformista. E' stata un discreto successo, anche se, come era facile da prevedere, le grandi masse mobilitatesi per protestare contro la forza militare utilizzata per liberare l'Iraq non si sono viste. Molte però erano le bandiere multicolori della pace che sventolavano riciclate per l'occasione, ma con l'emblematica aggiunta della scritta "Iran libero". Mi ha colpito, mi son detto, e ho sussurrato a robba che mi era accanto, fosse una 'n' in più e una 'q' in meno a fare la differenza. Perché qualche mese fa non si scendeva in piazza chiedendo sì la pace, ma anche la libertà per l'Iraq e gli iracheni? Oggi si grida a ragione 'Iran libero', ieri dalle piazze non giungeva altrettanto forte il grido 'Iraq libero'. E attenzione, perché questa riflessione pone una questione che va oltre l'essere a favore o contrari alla guerra che è stata fatta. Gridare 'Iraq libero' lo si poteva fare comunque, pur essendo contrari all'uso della forza. Il pacifismo, delle varie estrazioni ideologiche, semplicemente non lo ha fatto. Ieri sera invece eravamo in piazza con Antonio Polito al grido 'Iran libero'. E' una contraddizione questa che non sfiora il popolo delle piazze, perché ieri infatti, a Campo de' Fiori, non c'era. E questa assenza non è casuale, è politica: per l'Iran non c'erano bandiere da bruciare. Ieri c'erano D'Alema, Veltroni, Macaluso. Poi, una sola bandiera Ds in tutta la piazza (la sezione è a pochi passi), di rappresentanza, ma 'la base' non c'era, non ha seguito gli inviti e la linea del segretario Fassino sull'Iran. Quanto lavoro ancora vi aspetta cari D'Alema, Fassino, Veltroni! C'era La Malfa, ed era pieno di bandiere del Nuovo Psi, c'era Cicchitto di Forza Italia, troppo poco da chi si chiama Casa delle libertà. C'era l'associazione 'Amici di Israele', c'erano militanti radicali, anche se i vertici e Pannella, per vanità poco ghandiana, hanno snobbato l'iniziativa. C'era dunque chi qualche mese fa gridava 'Iraq libero', come oggi sente la necessità di gridare 'Iran libero'.

Ora la politica. Stendiamo un velo pietoso sulle solite parole retoriche e vuote pronunciate da Rutelli. E' riuscito a farsi contestare da un iraniano inferocito. Per la verità gli argomenti della contestazione erano stati anticipati anche al termine dell'intervento di D'Alema: ''Più politica preventiva e meno guerre preventive'', aveva detto in maniera condivisibile il presidente dei Ds. ''Noi - aveva ammesso - facemmo un'apertura di credito nei confronti delle speranze che suscitava allora il riformismo iraniano, speranze che sono andate purtroppo un po' deluse. L'affermarsi di una democrazia, non necessariamente di tipo occidentale costituisce per tutti un'enorme sfida", concludeva D'Alema, ricordando che, se "nessun relativismo etico può giustificare" le dittature, la sinistra non deve più commettere l'errore di tollerarle in chiave antiimperialista, come troppo spesso in passato ha fatto. Già qui si era levata dal pubblico dei dissidenti iraniani una prima protesta, ' bipartisan', per i rapporti intrattenuti dai governi italiani con l'Iran degli ayatollah, per un quarto di secolo, e con il "falso" riformista Khatami, negli ultimi anni: ''Voi italiani, come i francesi e i tedeschi state facendo affari col governo di Teheran sulla pelle del nostro popolo''. E risiede proprio in queste battute spontanee, giunte dalla piazza, tutto il grande nodo di quale deve essere la politica dell'Occidente nei confronti della democrazia, dei diritti, della libertà, nei paesi dove questi beni di prima necessità mancano. Da una parte si chiede più politica, più diplomazia, dall'altra c'è l'esigenza che, in varie forme, e a dir la verità sempre più spesso, giunge dai popoli oppressi, di una maggiore intransigenza, anche scontro, delle democrazie occidentali nei confronti dei regimi. Alla politica e al dialogo suggeriti da D'Alema e Rutelli, il dissidente iraniano di Campo de' Fiori ha reagito chiedendo disperatamente il bastone di Bush. Al di là dell'opportunità o meno dell'uso della forza (da giudicare caso per caso, e mi sembra sia un dibattito a parte), se si vuole procedere nella globalizzazione dei diritti e nell'esportazione della democrazia va posta con forza la questione di quale deve essere l'atteggiamento politico dell'Occidente nei confronti delle dittature o delle non-democrazie: quante aperture, quanta fermezza, come dosarle, quando, quali attori politici, quali regole per le istituzioni internazionali. E' giunta l'ora di porre il parametro democrazia e diritti al centro delle relazioni internazionali, discriminante in negativo, ma anche in positivo. Con gradualismo, elasticità, realismo, ma determinazione. L'America, con Bush, dopo l'11 settembre, ripeto - perché questi tre termini sono importanti - l'America, con Bush, dopo l'11 settembre, ha cominciato a farlo.

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